Crocevia

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La vita cristiana

La vita cristiana, è solo e sempre un tentativo.

È un fatto che dobbiamo accettare come limite84 umano e anche culturale.

Ci dobbiamo confrontare con l'utopia cristiana.85

Abbiamo molte conferme.

Uno dei pensatori più intelligenti del nostro tempo ci dice:

"... cristiano e utopico stanno faccia a faccia.

Entrambi sanno che l'impossibile deve essere reso possibile affinché l'uomo possa essere ciò che è.

È inutile unificare a tal punto possibile e impossibile che entrambi scompaiano nella vuota libertà dell'uomo di essere sia Dio sia diavolo; ciò è fallimentare quanto al compito della solidarietà umana; l'uomo è custode di suo fratello.

Ma il fratello è un "impossibile" come io lo sono; perciò soltanto insieme, in uno sforzo sostenuto dalla speranza utopica, possiamo impegnarci a camminare verso il punto in cui l'impossibile si rovescia nel possibile, reale e necessario.

L'utopia ha la gloria davanti a sé; è sospinta dalla forza di scatto dell'impossibilità di oggi.

Non può più esistere la morte, e più nessun dolore lamento e pena ogni lacrima deve essere aspersa, le cose di prima sono passate ( Ap 21,4 ).

Qualcosa nell'uomo e nel mondo ci autorizza a una tale speranza: il sapere che, controvoglia ( Rm 8,20 ), soggiaciamo ad una dominazione estranea ( Rm 5,14 ), e che sull'orizzontale "vanità" del nostro tempo qualcosa pende, qualcosa DEVE intervenire lungo la verticale, se l'adesso può in genere esistere nella sua impossibilità.86

Sono pensieri e parole difficili come è difficile vivere senza lasciarsi andare all'animalità abitudinaria e colpevole del nostro esistere proprio perché siamo coscienti dell'impossibilità di salvarci da soli.

Ma certamente è possibile accorgersi e ammettere di essere così, e questo basta; poi viene Lui.

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84 Ricardo Peter, Liberaci dalla perfezione, Ed. Cittadella
85 Mons Giuseppe Pollano, Cultura e santità, Ed. Piemme. "La cultura dell'uomo, il suo procedere pensandosi e facendosi, è un vasto tentativo che non include come obiettivo la riuscita, è un processo itinerante. Dopo Auschwitz non possiamo più permetterci ogni sentimento romantico o utopico a costo di beffarci dei nostri stessi morti. Affrontare la cultura significa contestare il suo ripiegamento sul limite stesso e sulla misura dell'uomo. Bisogna riconoscere con altra umiltà quali passi ci hanno portato ai cumuli di oppressi e soppressi che ora della nostra cultura ci chiedono conto implacabilmente. C'è bisogno di una post-crudeltà. La cultura è un'ambiguità chiusa ( cap. 3 p. 25 ). I progressi possono consolarci come aspetti realistici e autonomi d'un cammino il cui aspetto più radicale e profondo non ci appartiene. La malattia veramente mortale è di saper impersonare con pari vitalismo Caino e Abele, e questo ci mette continuamente nel rischio di vivere e il rischio implica inquietudine e paura. Dire no è il nostro modo di rispondere a tale ambiguità. Di qui viviamo in una cultura del risentimento desiderosi rivalsa vendetta e punizione, frutto di una critica distruttiva il cui segno è l'amarezza semplice. La cultura è tale questione, irrisolvibile nella testimonianza di oppressi e soppressi. Però c'è Dio e dalla rivelazione in Gesù Cristo sappiamo che noi potremmo con grande efficacia affrontare l'esistenza nel suo essere tentativo, limite e ambiguità, con risultati favorevoli agli oppressi e ai soppressi. La cultura ci interpella, dal profondo della sua rivelazione d'insufficienza e ci grida insomma che la questione radicale, l'unica questione determinante sta nella nostra scarsità d'amore ... proprio nell'amore siamo insufficienti e approssimativi, restiamo tentativo e un bambino coccolato e un bambino impiccato possono divenire gli emblemi della stessa epoca. Il Dio dell'amore totalizzante e totalizzato ci domanda perché continuiamo a non farci salvare da lui
86 H. U. Von Balthasar, Nuovo Patto, Ed. Jaka Book