I generi letterari dei libri biblici

I compositori finali dei libri biblici hanno compiuto un lavoro immenso, ma paradossalmente si potrebbe dire che non hanno inventato nulla di veramente nuovo.

Hanno messo di loro - ed è stato un apporto decisivo - quanto poteva custodire e potenziare una trama di sensi teologici già presenti in embrione in tradizioni più antiche.

Certamente, in epoca monarchica, erano già nate delle raccolte, dei cicli di narrazioni, delle collezioni di oracoli, di proverbi, di preghiere, nelle quali c'era un senso che scaturiva dall'insieme e si aggiungeva a quello, denso e polivalente, che ogni singola sezione più antica portava in sé, nella sua più breve ma già ben compaginata struttura linguistica preletteraria.

Prima dei libri, nati nel postesilio, ci sono stati cicli e raccolte.

A costo di semplificare troppo, potremmo dire che, come l'esilio è l'epoca dei libri, così il periodo monarchico è quello dei cicli, senza escludere che alcuni possano essere ancora più antichi.

Uno o più cicli di narrazioni sull'esodo dall'Egitto, sulle prove del deserto, sulle peripezie dell'Arca e altri ancora potrebbero essersi formati prima del periodo monarchico, ma il consolidamento di questi complessi narrativi, il raggruppamento in cicli sempre più ampi, il collegamento di uno all'altro e soprattutto i primi abbozzi di interpretazioni teologiche dei fatti, filtrate attraverso il modo stesso di raccontarli, sono da considerarsi un fenomeno tipico dell'epoca monarchica.

Non va però dimenticato che quella della monarchia è anche l'epoca in cui nascono continuamente testi nuovi, dietro la sollecitazione delle diverse situazioni della vita.

Molte volte, come si è detto, gli studiosi riescono a estrarre questi testi dalla trama dei libri in cui sono inseriti e ne riscoprono il senso primitivo ricollegandoli al momento storico e all'ambiente vitale in cui sono nati.

È affascinante indagare su quel che c'era prima che venissero alla luce i cicli, le raccolte e poi i libri, quando ancora poesie, canti, narrazioni circolavano, orali o già scritti ( i due filoni di trasmissione coesistono paralleli in tutta l'epoca biblica, compresa quella del Nuovo Testamento ), come parole immediatamente rispondenti a esigenze della vita vissuta, quando cioè un canto era veramente cantato e non solo riportato in un libro e un oracolo veramente rivolto a chi era coinvolto nei fatti e non solo riferito in un resoconto rievocativo.

Ancor più emozionante è ritrovare dei testi sicuramente risalenti ai primordi della storia degli Israeliti, al periodo pre monarchico, quello che va dal XIII al X secolo a.C.

Non è però un'impresa facile e i risultati sono spesso controversi.

Alcuni testi che un tempo si consideravano antichissimi, come il canto di Mosè di Es 15 o la chiamata di Abramo di Gen 12, oggi sono considerati nel complesso molto più recenti di una volta.

Forse, se si eccettua qualche brevissimo verso poetico, il carme che, almeno in alcune parti, può aspirare al primato di testo biblico più antico è il canto di Debora in Gdc 5, anche se è posteriore ai fatti cui si riferisce.

In questo cammino a ritroso si cerca di ricollegare le diverse sezioni, ora incorporate nei libri biblici, alle situazioni vitali in cui esse erano ancora parole vive, realmente in uso tra la gente di allora.

È lo studio che si denomina delle forme o dei generi letterari.

Il caso più tipico è quello delle leggi.

Ora le troviamo raccolte nel Pentateuco, entro codici che fondono insieme norme antichissime ad altre più recenti, mentre un tempo erano state diritto vigente, casistica reale, sentenze giudiziarie memorizzate per servire da modello per casi analoghi.

Molti dati di storia o di cronaca che leggiamo nei libri dei Re o delle Cronache vengono da liste, annali, documenti catastali, alcuni dei quali erano destinati non tanto a servire da fonte d'informazione per futuri storici, ma per garantire allora diritti di possesso o di pascolo su determinati terreni, rispetto di confini, privilegi, esoneri, tassazioni e mille altre necessità della convivenza civile in epoca monarchica o premonarchica.

Molti Salmi erano recitati in circostanze ben precise, come un pellegrinaggio, la salita al trono del re, una campagna militare, una malattia: solo quando nacque il libro divennero testi da leggere o recitare anche al di fuori del contesto concreto per cui erano nati.

I discorsi dei Profeti, quasi sempre di minaccia, si riferivano a situazioni reali del loro tempo: denunciavano colpe in nome di Dio e, con un caratteristico « perciò » di passaggio, minacciavano il corrispondente castigo.

I modi di esprimersi dei profeti sono dei mirabili adattamenti alla loro missione di modi di parlare presenti nel loro contesto sociale.

Dalla prassi dei messaggeri del sovrano, che proclamavano editti in suo nome, ricavarono quel modo di presentare la volontà di Dio, con il tipico attacco « così dice il Signore », che si classifica come formula del messaggero.

Altre volte hanno ripreso i modi di esprimersi dei sacerdoti quando commentavano la legge o pronunciavano per i fedeli giudizi vincolanti con il cosiddetto oracolo sacerdotale.

Si sono rifatti molte volte al linguaggio allora in uso nei processi per esprimere l'attitudine giudicante di Dio, immaginando talora veri dibattiti giudiziari tra Dio e il popolo.

Hanno utilizzato il genere dei lamenti funebri o quello pieno di gioiose aspettative dei canti nuziali, per esprimere di volta in volta la minaccia e la promessa di Dio.

I loro ascoltatori udivano parole simili a quelle che scandivano gli eventi della vita quotidiana di allora, ma attribuite a Dio, e potevano così sentirlo in immediato contatto con la loro vita reale come sovrano e giudice.

Anche i racconti, prima di entrare a far parte di cicli, come quelli di Abramo e di Giacobbe, o di complessi narrativi, come le due celebri storie della successione di Davide a Saul e di Salomone a Davide, che ora occupano gran parte del primo e secondo libro di Samuele, circolarono spesso in forma isolata, per rispondere a esigenze più limitate e circoscritte a certi ambiti vitali.

Molte storie dei patriarchi, ad esempio, sono spesso denominate saghe, perché, nella loro forma primitiva, avevano carattere familiare e localizzato.

Il loro scopo era quello di spiegare usi e costumi di gruppi o tribù, consuetudini matrimoniali o economiche, o di motivare le ragioni di relazioni amichevoli od ostili con altri clan.

A questo proposito si fa sempre l'esempio della storia di Abele e Caino, che ora è densa di significati teologici sul peccato e la misericordia divina per il peccatore, ma forse fu, prima di entrare in un ciclo più ampio e teologizzato, una storia che spiegava il perché del nomadismo della tribù dei Cainiti e delle loro relazioni amichevoli con gli Ebrei.

Il brano di Gen 19,30-38, che racconta come le figlie di Lot ubriacarono il loro padre per avere da lui un figlio e perpetuare la sua discendenza, serviva un tempo a spiegare le origini di Moabiti e Ammoniti e la loro orgogliosa separazione da altri popoli.

Ora, all'interno della più ampia storia di Abramo, acquista più profondi significati e mostra a quanto caro prezzo sia stato possibile salvaguardare la discendenza al di fuori della piena partecipazione alla benedizione divina.

Questi due esempi dimostrano l'interesse del cammino a ritroso verso le fasi più antiche, ma anche l'utilità della risalita in senso inverso al senso maturo e definitivo della redazione finale del testo.

Quando si isola o si ricostruisce la forma più arcaica di un testo, si vede dove è nato e si può rientrare in contatto con il vissuto, ancora grezzo e immaturo ma affascinante, dell'antica realtà storica; risalendo a poco a poco verso la redazione finale si tocca con mano la crescita e l'approfondimento progressivo della cultura e della fede dei nostri padri, che arricchirono di sensi sempre più profondi le esperienze di partenza.

La Bibbia è un mirabile fenomeno di continuo accrescimento di senso, che ci da la percezione della dimensione storica della rivelazione.