Conflitti armati

L'unione sacra delle dodici tribù d'Israele costituiva un organismo statale privo di una propria struttura politica e di una qualsiasi guida politica.

Di conseguenza, qualora si fosse trovata nella necessità di respingere attacchi da parte dei Cananei o degli stati confinanti per difendere il proprio spazio vitale, ogni singola tribù doveva confidare di regola nelle sue sole forze.

Ciò è quanto indica, fra le altre cose, l'esempio della tribù di Dan, che, scacciata dal territorio nel quale si era in origine stanziata, dovette cercarsi altrove una nuova sede.

Almeno nei primi secoli della sua esistenza, l'unione delle dodici tribù non intraprese azioni comuni, ne di tipo politico ne di tipo militare.

Quando tuttavia la sopravvivenza di una tribù era gravemente minacciata, poteva accadere che più tribù confinanti si unissero in vista di un'azione comune.

Comandanti e guerrieri di professione erano altrettanto estranei all'antico Israele quanto lo era del resto un esercito permanente; questo era formato, infatti, dai contadini liberi in grado di combattere, e veniva reclutato di volta in volta al suono del corno.

Comandanti dell'esercito erano dei capi carismatici che di volta in volta venivano presi spontaneamente dallo «spirito di Yahweh», e resi perciò capaci di imprese belliche straordinarie.

La loro legittimità ed autorità si fondavano sul fatto che Yahweh stesso li chiamava e li apprestava all'azione.

L'espressione «guerra di Yahweh», che troviamo documentata nell'Antico Testamento ( Nm 21,14; 1 Sam 18,17; 1 Sam 25,28; anche Es 17,16; 1 Sam 17,47 ), indica che Yahweh è il vero capo di questa guerra.

Interrogazione di Yahweh, promessa di vittoria tramite un suo portavoce ( «Yahweh ha posto i tuoi nemici nelle tue mani» ), invito a non temere e a confidare in lui, benedizione sacra e astinenza da parte dei guerrieri rientrano nei preparativi di tale guerra.

Dal momento che il vero signore della guerra era Yahweh, il quale guidava il suo popolo in battaglia con azioni potenti, a lui spettava di diritto l'intero bottino, che doveva essere votato all'«anatema», cioè interdetto all'uomo e consacrato a Yahweh: tutti i viventi venivano uccisi, e il rimanente bottino era presentato quale offerta votiva.

Il congedo dall'esercito avveniva al grido: «Alle tue tende, Israele!».

Nel libro dei Giudici i capi carismatici dell'epoca prestatale sono chiamati «eroi», «salvatori» o «giudici».

I termini «giudicare», «diritto», «giustizia», «giudice» non sono affatto limitati, nell'Antico Testamento, all'ambito giuridico, e neppure si riferiscono precipuamente a tale sfera.

Per «diritto» ( ebraico: mispat ) si deve intendere un ordinamento che salvaguarda, rende possibile, conserva e promuove la vita.

«Giudizio» indica qualunque attività, in campo politico giuridico sociale militare, sia in grado di realizzare, creare, rafforzare, conservare, favorire un tale stato, preservandolo da quanto lo minaccia.

Può dirsi perciò «giudizio» anche la difesa della propria comunità contro i nemici che ne minacciano l'esistenza, e «giudice» il condottiero di una tale impresa di guerra.

Da questi capi carismatici, tradizionalmente detti «grandi giudici», vanno distinti i funzionari tramandati nell'elenco dei «piccoli giudici» ( Gdc 10,1-15; Gdc 12,7-15 ), i quali verosimilmente esercitavano le loro funzioni all'interno delle viarie tribù.

Mentre i capi carismatici entravano in azione solo per portare a termine un compito determinato, i «piccoli giudici» detenevano a quanto pare una carica permanente.

È discusso se si trattasse di una carica estesa a più tribù o addirittura a tutta la comunità d'Israele, e i cui detentori si succedevano in una sequenza ininterrotta ( come ritiene M. Noth ), o se l'attività dei piccoli giudici si limitasse invece ad una singola tribù o ad un settore particolare all'interno di questa ( come pensano G. Fohrer, W. Richter, K.D. Schunck, S. Herrmann ).

Nella convivenza fra Israeliti e Cananei non potevano mancare, a lungo andare, tensioni e conflitti.

Contrasti di scarso rilievo ve ne dovettero essere di continuo.

Di un conflitto decisivo, e gravido di conseguenze, fra Israele e una città-stato cananea riferisce un racconto in prosa di Gdc 4, e un canto di vittoria ( Gdc 5 ) che è da annoverare fra le parti più antiche dell'Antico Testamento.

Lo sfondo storico di tale avvenimento va certamente individuato nella condizione di dipendenza delle tribù di Issacar, Zabulon e Aser nei confronti delle città-stato cananee.

Spinto dall'appello e dalla promessa di vittoria della profetessa Debora, Barak, della tribù di Neftali, scese in campo contro il re di Caroset, Sisaro, presso il margine nord-occidentale della pianura di Izreel.

L'esercito delle tribù di Nettali e Zabulon ( secondo Gdc 5 anche di Efraim, Beniamino, Machir e Issacar ) si radunò presso Kedes.

Nelle vicinanze di Taanach, sul torrente Kison, nella piamura di Izreel, gli Israeliti scendono dal monte Tabor e piombano sul reparto di carri di Sisara, il cui esercito subisce una disfatta totale: lo stesso re è costretto a fuggire a piedi e a cercare scampo nella tenda di un kenita, dove viene ucciso.

Questo episodio è di fondamentale importanza: è la prima volta, infatti, che gli Israeliti riportano la vittoria, in una battaglia campale, sui reparti di carri di una città-stato cananea.

Il predominio dei Cananei nella pianura di Izreel era in tal modo per lo meno intaccato; in seguito esso venne totalmente infranto, finché da ultimo, ancora nell'epoca prestatale, le tribù d'Israele conseguirono in tutta la regione un predominio pressoché completo sui Cananei.

Nell'epoca prestatale gli Israeliti dovettero affermarsi non soltanto contro i Cananei che abitavano insieme a loro la terra di Canaan: gravi conflitti si ebbero anche con gli stati confinanti.

Ciò vale, in particolare, per i popoli che, nella stessa epoca all'incirca in cui gli Israeliti si insediarono in Canaan, si erano stanziati nella Transgiordania orientale e meridionale e tentavano di estendere il proprio territorio verso occidente a spese d'Israele.

I Moabiti, stanziati in origine a sud dell'Amen, erano riusciti ad estendere il proprio territorio al di là di questo fiume in direzione nord, e ad attraversare addirittura il Giordano annettendo il territorio di Gerico e assoggettando al pagamento di un tributo i Beniaminiti che abitavano nei dintorni.

In occasione della consegna del tributo il beniaminita Eud uccise il loro re Eglon, approfittò dello scompiglio dei Moabiti e chiamò alle armi le tribù confinanti: gli Israeliti occuparono i guadi del Giordano e annientarono le truppe moabite che stazionavano ad ovest di questo fiume ( Gdc 3,12-30 ).

In seguito riusciranno addirittura a respingere i Moabiti nuovamente a sud dell'Arnon.

Gli Ammoniti erano stanziati sull'alto corso dello Iabboq: essi invasero il territorio occupato dagli Efraimiti, a sud del basso corso dello Iabboq, strappando loro la località di Galaad.

In tale momento critico, gli Efraimiti si rivolsero a Iefte, figlio di un efraimita e di una prostituta, il quale aveva radunato intorno a sé una banda armata e aveva acquisito una notevole esperienza militare nella terra, a noi sconosciuta, di Tob.

Iefte radunò l'esercito a Mizpa, in Galaad, e respinse con le armi gli Ammoniti ( Gdc 10,17-12,33 ).

Vi erano poi i Madianiti e gli Amaleciti, che a differenza dei popoli sedentari appena citati conducevano una vita nomade attraversando il deserto siro-arabico.

Nel corso del XII secolo, i Madianiti erano riusciti ad addomesticare il cammello.

Ciò diede loro la possibilità di compiere rapidi spostamenti percorrendo grandi distanze, e di fare incursioni nel Kulturland a scopo di razzia e di rapina.

In primavera essi irrompevano in grandi stuoli nel Kulturland, lasciavano che i loro cammelli brucassero le semine che stavano germogliando, predavano il bestiame e i raccolti e scomparivano con la stessa rapidità con cui erano venuti.

Anche per Israele essi vennero a costituire un pericoloso flagello; per la rapidità dei loro spostamenti e la stranezza del loro aspetto seminavano un vero e proprio terrore.

Dopo che ebbero compiuto l'ennesima scorreria nella pianura di Izreel e si furono accampati, dopo una fruttuosa razzia, alla sorgente di Carod, sul versante nord-occidentale dei monti di Gelboe, il manassita Gedeone, rassicurato dalla chiamata divina e dalla promessa di vittoria, raccolse intorno a sé una piccola schiera di uomini accuratamente scelti fra i più intrepidi, e di notte, con abile manovra, portò un attacco di sorpresa al campo dei Madianiti, che si diedero ad una fuga precipitosa e si ritirarono nel deserto.

In tal modo il pericolo dei Madianiti era bandito per sempre ( Gdc 6-8 ).

La minaccia di gran lunga più grave per gli Israeliti venne però dai Filistei.

Conflitti di scarso rilievo tra questi ultimi e la tribù confinante di Dan sono presupposti nelle storie di Sansone ( Gdc 13-16 ).

Nella figura di Sansone la tradizione ci presenta peraltro un capo carismatico che spreca inutilmente i doni ricevuti da Yahweh e non porta a termine il mandato affidategli.

È probabilmente da ricondurre non da ultimo alla pressione dei Filistei se la tribù di Dan non poté conservare la propria sede primitiva ( nella zona collinosa della Giudea ) e fu costretta a migrare a nord.

Fu infatti aspirazione costante dei Filistei estendere il loro territorio a oriente e ottenere il predominio sulla Palestina.

Per questo motivo, a lungo andare un conflitto decisivo fra Israeliti e Filistei doveva risultare inevitabile.