La vita spirituale nel periodo ellenistico

Una serie di testimonianze letterarie nell'ambito della letteratura sapienziale, dell'apocalittica e della storiografia ci offrono un'immagine viva dell'intensa e multiforme vita spirituale dell'epoca ellenistica.

L'incontro col mondo ellenistico produsse una rinascita della letteratura sapienziale.

Nel periodo successivo all'esilio si ebbe, in primo luogo, un confronto critico con alcune fondamentali dottrine della precedente letteratura sapienziale.

La sapienza dell'epoca precedente l'esilio aveva constatato una stretta correlazione fra la condotta dell'uomo e la sua prosperità.

Neppure il libro di Giobbe mette in dubbio questa correlazione: esso si rivolge, tuttavia, con l'idea che tale corrispondenza sia qualcosa di verificabile, che dalla sventura di un uomo sia lecito dedurre una sua colpa o che, viceversa, l'uomo devoto possa pretendere, in forza del suo comportamento, al benessere e alla salute.

Uno scetticismo radicale di fronte alle possibilità della sapienza prende la parola nel libro dell'Ecclesiaste ( III secolo a.C. ): per mezzo e sul fondamento della sola sapienza non è possibile la realizzazione di una vita che sia piena di senso.

Accanto a questo confronto critico troviamo, in epoca ellenistica, una nuova interpretazione teologica della sapienza: essa viene adesso personificata; appare come maestra, che esorta e attira a sé i suoi discepoli; diventa infine l'ipostasi, l'essenza intermedia preesistente alla creazione e attraverso cui la creazione ha ricevuto il suo ordine ( Pr 1-9, IV-III secolo; Gb 28, III secolo; Sir 1.24, 190 a.C. circa; Sap 6-9,1 secolo a.C. ).

È inoltre caratteristico dell'epoca ellenistica il fatto che la sapienza e la devozione alla Legge siano poste in stretta connessione: la sapienza può essere paragonata alla Legge ( Sir 24,1-22.23ss ); il saggio assume i tratti dello scriba ( Sir 38,24-39,11 ); la vera sapienza consiste nell'adempimento della Legge ( Sir 19,20; Sal 18; Sal 118 ).

I personaggi del libro di Tobia, un racconto pedagogico-sapienziale, sono rappresentati come modelli di autentica devozione.

Essi si distinguono per timor di Dio e fiducia in Dio, rispetto dei genitori, pietà verso i morti, carità verso i poveri; il loro agire è accompagnato dalla lode e dalla preghiera.

La loro prosperità deve chiaramente manifestare che Dio guida, da protezione e benedizione a coloro che lo temono.

Nella Sapienza di Salomone ( I secolo a. C. ) si avvertono influssi della filosofia greca sulla dottrina ebraica della sapienza.

Essa viene esaltata ( Sap 7,25s ) come maestra delle quattro virtù cardinali stoiche ( temperanza, prudenza, giustizia, fortezza ).

La dottrina platonica della preesistenza e dell'immortalità dell'anima compare in Sap 8,20.

Innegabili influssi sulla sapienza esercitò infine l'apocalittica ( Sap 10-19).

L'Apocalittica è l'erede della profezia veterotestamentaria.

Gli scrittori apocalittici, che generalmente mettono il loro annuncio in bocca a personaggi dell'antichità, accolgono le attese escatologiche contenute qua e là nei profeti, indirizzano su di esse tutta la loro attenzione e interpretano l'intero corso della storia universale ,a partire da questo evento del tempo finale.

Suddivisione della storia del mondo in diversi periodi, simbolismo aritmetico e speculazione sui numeri, linguaggio allegorico e simbolico, dualismo fra mondo terreno e celeste, fra l'eone presente e quello futuro, fra luce e tenebre, sviluppo della dottrina degli angeli e degli spiriti, aspettazioni messianiche, attesa dell'imminente fine del mondo, del giudizio finale, della resurrezione dei morti e dell'inizio dell'eterna signoria di Dio sono alcune fra le caratteristiche dell'apocalittica ebraica, sulla quale, accanto alle tradizioni veterotestamentarie, soprattutto proferiche, hanno esercitato la loro influenza anche concezioni indo-iraniche.

Il racconto, composto nel III secolo, che narra del sogno di Nabucodonosor sui quattro regni della terra ( Dn 2 ), rappresenta il primo passo in questa direzione.

A tale racconto si collegano le visioni di Daniele ( Dn 7-12 ), risalenti al periodo di oppressione sotto Antioco IV, prima ancora della nuova inaugurazione del tempio, e aggiunte ai racconti di Daniele ( Dn 1-6 ), composti nel III secolo.

Questi racconti, che testimoniano della superiorità del Dio d'Israele sulle potenze del mondo ostili a Dio, dovettero acquistare, al tempo in cui la comunità era osteggiata da Antioco IV, un'attualità nuova.

Nelle visioni di Daniele la storia del mondo viene interpretata come una successione di imperi universali guidata dall'alto, al cui termine sta la distruzione della potenza del mondo e l'edificazione dell'eterna signoria di Dio: il quale ha incluso nella sua guida provvidenziale anche il presente tempo di crisi, in cui la potenza del mondo a lui ostile tocca il suo culmine estremo.

Esso costituisce semplicemente il segno che l'inizio della sua signoria è imminente.

Le visioni del libro di Daniele esercitarono un'influenza duratura: esse ridestarono negli oppressi nuove speranze e rafforzarono la loro capacità di resistere alle avversità.

L'annuncio della resurrezione dei morti all'inizio del regno di Dio ( Dn 12,2 ), che compare qui per la prima volta, contribuirà in maniera decisiva all'impegno eroico degli insorti.

Nel corso del II e del I secolo a.C. sorse un'intera serie di scritti apocalittici, che però, a differenza del libro di Daniele, non furono inseriti nel canone dell'Antico Testamento, ma sono da annoverare fra i cosiddetti apocrifi, o meglio pseudoepigrafi ( come l'etiopico Enoch, il Testamento dei dodici patriarchi, il III libro sibillino, il « rotolo di guerra » della comunità di Qumran ).

Un indizio dell'importanza decisiva che si attribuiva agli avvenimenti dell'epoca dei Maccabei e degli Asmonei è il fatto che per la prima volta dai tempi di Davide e di Salomone gli storiografi vennero registrando gli eventi loro contemporanei o meglio quelli del passato più recente.

Il « diario del sommo sacerdote Giovanni Ircano », citato in 1 Mac 16,23, e l'opera storica in cinque volumi di Giasone di Cirene su « Giuda il Maccabeo e i suoi fratelli » ( 2 Mac 2,19 ), non ci sono più conservati.

Il I libro dei Maccabei, risalente al principio del I secolo a.C., scritto in originale ebraico ma conservateci soltanto in traduzione greca, tratta degli avvenimenti occorsi fra il 175 e il 135 ( da Antioco IV a Simone ).

Suo scopo è magnificare le imprese dei Maccabei e presentare il loro cammino come voluto da Dio.

Il II Libro dei Maccabei, redatto in greco prima del 60 a.C., costituisce un compendio dell'opera di Giasone di Cirene; si limita all'inizio delle lotte dei Maccabei, e abbraccia il periodo che va da Seleuco IV fino alla sconfitta di Nicanore ( 161 ).

Accanto a singole notizie storicamente attendibili, contiene molto materiale leggendario.

Oltre alle opere letterarie, ebbe un ruolo sempre più importante, dall'epoca ellenistica in avanti, l'interpretazione scritturale dei rabbini, che veniva impartita oralmente e, almeno in un primo tempo, oralmente trasmessa.

Il procedimento dell'interpretazione scritturale era detto « midras » ( dall'ebraico « daras » = ricercare ): esso si distingueva in « halaka » ( dall'ebraico « halak » = camminare ), cioè interpretazione della Legge, e « haggada » ( dall'ebraico « higgid » = rivelare, raccontare ), vale a dire interpretazione delle parti narrative dell'Antico Testamento.

Dato il presupposto che nella Legge sono contenute delle norme valide per tutti i campi e i casi della vita, il compito dell'interpretazione scritturale dei rabbini era di ricavare dalla Torah delle nuove regole al fine di stabilire con precisione e in modo vincolante, per ogni singolo caso, ciò che è la volontà di Dio, ciò che è permesso e ciò che è proibito.

Si riteneva che l'interpretazione sviluppasse semplicemente ciò che già era contenuto nella Torah medesima: per questo motivo si attribuì all'interpretazione dei rabbini la stessa autorità della Legge, tanto più che la tradizione dell'interpretazione era fatta risalire a Mosé in persona: « Mosé ricevette la Legge dal Sinai e la trasmise a Giosué, Giosué agli anziani e gli anziani ai profeti, e questi la tramandarono agli uomini della grande sinagoga.

Questi affermavano tre cose: sii prudente nel giudicare! scegliti molti discepoli! fa' un recinto intorno alla Legge!

Con l'espressione « recinto intorno alla Legge » si intende una serie di norme supplementari intese ad impedire che la Legge sia violata inavvertitamente.

La Torah contiene, per esempio, la disposizione di non condannare il colpevole a più di 40 colpi di bastone ( Dt 25,5 ); per non trasgredire questo comando per un errore nel conteggio, i rabbini prescrivevano di infliggere al colpevole 39 colpi al massimo.

Una prima raccolta scritta di interpretazioni rabbiniche della Torah venne curata, verso la fine del I secolo a.C., da Rabbi Aqiba.

La codificazione definitiva avvenne nel corso del II secolo d.C. con la Misna.

Nella seconda metà del II secolo a.C., accanto ai Sadducei e ai Farisei, si formò all'interno dell'ebraismo un nuovo gruppo: quello degli Esseni, menzionati da Giuseppe Flavio, Filone e Plinio.

Una diramazione di questo gruppo costituì la comunità che si stabilì sulla sponda nord-occidentale del mar Morto, sopra una terrazza di marna, presso la foce di wàdi Qumran.

Grazie al sensazionale ritrovamento di manoscritti in undici grotte della sponda nord-occidentale, nei pressi di wadi Qumran, sono venuti alla luce numerosi documenti originali di questo gruppo, che finora ci era noto soprattutto attraverso fonti secondarie.

Fra questi documenti sono da menzionare in particolare:

la regola della setta, che ci fornisce un quadro della dottrina e della vita del gruppo;

il « midras » di Abacuc, che ci da un'idea dell'interpretazione scritturale della comunità;

i canti di lode di Qumran, simili, nel modello, ai salmi;

il rotolo di guerra;

uno scritto apocalittico che parla della lotta dei figli della luce contro i figli delle tenebre alla fine dei giorni e, infine,

il « targum » della genesi, scritto in aramaico.

Come i Farisei, anche gli Esseni provenivano dal movimento dei Chassidim.

Gli Esseni erano decisi oppositori del clero ufficiale: al sommo sacerdote in carica rinfacciavano di essersi rivoltato contro la legge divina, di aver patteggiato, per amore della ricchezza, con gli « uomini dell'ingiustizia » e coi pagani, e di aver « praticato i culti peccaminosi degli idoli ».

Questo gruppo, che per la maggior parte era composto da sacerdoti zadodti, si staccò di conseguenza dal culto ufficiale celebrato nel tempio e si stabilì sulla sponda nord-occidentale del mar Morto, dove costituì una comunità di tipo monastico.

Tale gruppo considerava se stesso il vero Israele e si designava come « la comunità di Dio », « la comunità della verità », « la comunità del nuovo patto », e i suoi adepti come « figli della luce », « figli della verità », in contrapposizione al resto d'Israele, che era nella perdizione.

Fra il « maestro di giustizia », che era, a quanto pare, colui che aveva fondato il gruppo o che, in ogni caso, gli aveva conferito la sua impronta caratteristica, e il sommo sacerdote in carica, che viene designato col titolo di « sacerdote d'empietà » ( si tratta o di Simone Maccabeo o di Gionata o di Giovanni Ircano ), si giunse ad un grave scontro.

Il tempo presente, secondo la dottrina della gente di Qumran, è il « tempo dell'empietà », in cui gli « spiriti della verità » lottano con gli « spiriti della perversità » per avere la meglio.

Di fronte all'approssimarsi del giudizio finale è necessario separarsi dai « figli delle tenebre », dai « figli della perversità ».

Fa parte delle regole fondamentali della comunità: « Vivere nella disciplina comunitaria; cercare Dio con tutta l'anima e con tutto il cuore; fare ciò che è buono e giusto davanti a lui, come egli ha comandato per mezzo di Mosé e dei suoi servi, i profeti; amare tutto ciò che egli ha scelto, ma odiare tutto ciò che egli ha rigettato; tenersi lontano da ogni male e attenersi ad ogni opera buona; ...amare tutti i figli della luce, ma odiare tutti i figli delle tenebre ».

Un tempo di prova di due anni, vari esami di ammissione con relativo giuramento, la festa annuale del rinnovamento del patto, una totale comunità di vita e di beni, ordinamento gerarchico, purificazione rituale per mezzo di quotidiane immersioni, rigida suddivisione della giornata in preghiera, lavoro e lettura delle Scritture, obbedienza assoluta verso i superiori, segretezza della dottrina della setta, pasti rituali comuni, rigorosa disciplina comunitaria sono fra gli elementi essenziali della vita di questa comunità.

« Tutti coloro che accolgono la sua verità devono mettere a disposizione della comunità di Dio tutto il loro sapere, tutte le loro capacità e tutte le proprie sostanze ».

« Essi devono mangiare in comune, in comune rendere grazie e insieme prendere decisioni ».

La comunità di Qumran crede che la retta interpretazione delle Scritture le sia stata rivelata.

In essa troviamo un ulteriore inasprimento delle prescrizioni della Legge e una severità ancora maggiore nell'osservanza di essa di quanto non sia presso i Farisei.

Attraverso l'interpretazione allegorica essa intende l'annuncio del profeta Abacuc come una predizione degli eventi del proprio tempo.

Così, per esempio, Ab 2,17 viene riferito alle violenze del sacerdote d'empietà, « quelle che ha commesso contro i poveri... inoltre « il Libano » indica il consiglio della comunità, e « la bestia » è simbolo dei sempliciotti di Giuda, trasgressore della Legge ».

In occasione degli scavi presso hirbet Qumran, 5 Km a sud-ovest dell'estremità settentrionale idei mar Morto, venne scoperto il centro comunitario di questo gruppo.

Vennero alla luce una robusta torre di difesa, un grande vano per la comunità, una sala per gli scrivani fornita di banchi e calamai, un forno per la cottura del pane, una fornace per il vasellame, macine per i cereali, magazzini, numerose cisterne e bagni e, ad est del centro abitato, un cimitero con circa 1.000 tombe.

Dai ritrovamenti di monete risulta che l'insediamento esseno di Qumran venne fondato intorno al 130 a.C., fu distrutto da un terremoto intorno al 30 a.C., venne più tardi ricostruito e verso il 70 d.C. nuovamente distrutto nel corso della prima insurrezione ebraica e infine abbandonato dagli Esseni.

Il Documento di Damasco ci informa che accanto al gruppo di Qumran, che viveva in una comunità di tipo monastico, vi erano altri gruppi di Esseni la cui vita comunitaria non era altrettanto severa, e che in particolare non imponevano la regola della povertà personale.