Gli Zeloti alla guida dei rivoltosi

Giuseppe Flavio sembra quindi attribuire alle idee di questi ribelli "banditi" il ruolo di miccia che infiammò le sorti della Giudea fino a condurla alla completa distruzione ad opera dei Romani.

La loro "filosofia" viene così descritta:

"Questa scuola concorda con tutte le opinioni dei farisei eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è loro guida e padrone.

Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni, permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, purché possano evitare di chiamare un uomo "padrone".

Ma la maggioranza del popolo ha visto la tenacia della loro risoluzione in tali circostanze che posso procedere oltre la narrazione.

Perché non ho timore che qualsiasi cosa riferisca a loro riguardo sia considerata incredibile.

Il pericolo, anzi, sta piuttosto nel fatto che la mia esposizione possa minimizzare l'indifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle pene".

Giuseppe anticipa anche che:

"Questa frenesia iniziò ad affliggere la nazione dopo che il governatore Gessio Floro con le sue smisurate prepotenze e illegalità provocò una disperata ribellione contro i Romani".

Sembra quindi che proprio le idee di Giuda abbiano ispirato quello "zelo" sui giovani, e nella popolazione in genere, da scatenare la guerra poi persa contro l'impero romano: "tale, infatti, era il nome [ Zeloti ] che quelli si erano dati, quasi fossero zelatori di opere buone e non invece al massimo grado delle più turpi".

I sentimenti anti-romani trovavano facile alimento in una regione che da sempre aveva cercato la propria autonomia.

Senza un re della statura di Erode la regione sembrò sprofondare in un clima di assoluta anarchia:

"Fu un periodo di follia che si installò nella nazione perché non aveva un vero e proprio re che con la sua autorità vegliasse e tenesse a freno un popolo e perché gli stranieri che vennero da loro per smorzare le ribellioni erano essi stessi una causa di provocazione con la loro arroganza e la loro superiorità".

Così un primo romano che si prodigò a massacrare gli abitanti della zona fu Varo, governatore della Siria, che arrivò a crocifiggere duemila rivoltosi per sedare le ribellioni.

Oltre a pagare tributi ai dominatori ed essere obbligati ad accettare culti all'imperatore, i Giudei dovettero, come altre popolazioni limitrofe, sottostare agli effetti devastanti di una forte carestia

"[…] molta gente moriva perché sprovvista del denaro per acquistare ciò di cui abbisognava".

Questa calamità si abbatté mentre era procuratore Tiberio Giulio Alessandro ( 46-48 d.C. ).

Fu sotto di lui che vennero processati e crocifissi due figli di Giuda Galileo.

Come lui, anche i successivi procuratori sembra non avessero rispetto particolare per le usanze giudaiche e prendessero pretesto da qualsiasi occasione per soffocare nel sangue le proteste.

Tra i vari procuratori vi era infatti chi

"[…] non soltanto commetteva ruberie a danno di tutti nella trattazione dei pubblici affari, né si limitava a schiacciare tutto il popolo sotto il peso dei tributi […]"

oppure

"[…] si diede a spogliare intere città e a taglieggiare popolazioni intere […]"

Questo non servì a frenare le sommosse capitanate da personaggi che istigavano il popolo alla ribellione:

"Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da dio e macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo religioso e lo conducevano nel deserto promettendo che ivi dio avrebbe mostrato loro segni premonitori della liberazione".

"[…] i ciarlatani e i briganti, riunitisi insieme, istigavano molti a ribellarsi e li incitavano alla libertà, minacciando di morte chi si sottometteva al dominio dei Romani e promettendo che avrebbero fatto fuori con la violenza chi volontariamente si piegava alla schiavitù".

Rivolte che, secondo Giuseppe Flavio, furono la causa di tutti i mali della regione e della spietata risposta dei procuratori Romani:

"Intanto gli affari della Giudea stavano andando di male in peggio; perché la regione era nuovamente infestata da bande di briganti e impostori che ingannavano la gente.

Non passava giorno che Felice non prendesse e condannasse a morte molti di questi impostori e ribelli".

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