S. Giovanni Battista De La Salle

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L'Amore e la Divozione di S. Giovanni Battista De La Salle verso Gesù Crocifisso,1

L'imitatore del Crocifisso.

Che S. Giovanni Battista De La Salle sia stato un gran devoto e un fervido amante di Gesù Crocifisso, l'abbiamo provato con le testimonianze a noi lasciateci dai suoi contemporanei e secondo quello che si può rilevare dai suoi scritti medesimi.

Ora ci resta a considerare in quale misura egli abbia amato Gesù Cristo, e fino a qual segno abbia spinto la propria divozione verso di Lui.

La prova più certa dell'amore è la conformità dell'amante con la persona amata, e la misura di quest'amore è data dai fatti, cioè dal sacrificio, dall'immolazione totale di se medesimo, delle proprie vedute, per far piacere all'oggetto del proprio amore, per uniformarsi perfettamente al suo volere.

Che l'amore e la vera devozione, infatti, non consista nelle sole parole, lo sappiamo dal Santo Vangelo stesso: « Non tutti quelli che a me dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi entrerà nel regno dei cieli. » ( Mt 7,21 ).

Ora, qual è la volontà del Padre celeste rispetto a noi?

Ci risponde San Paolo: « La volontà di Dio è questa: la vostra santificazione »

E in qual modo potremo santificarci?

Imitando gli esempi del Figliuol di Dio fatto uomo, il quale, dopo essersi reso nostro modello in tutta la sua vita, ha potuto esclamare con ragione: « Vi ho dato l'esempio, affinché come ho fatto io, cosi pure facciate voi »

Convinto e tutto penetrato di queste sante verità, S. Giov. Batt. De La Salle si sforzò in tutta la vita di ricopiare in se medesimo il divino Crocifisso, oggetto del suo più vivo amore e della sua tenera divozione, e vi riuscì così bene da divenirne un'immagine vivente.

Tutte le virtù che spiccano in Gesù Crocifisso, egli le fece brillare nell'anima sua in modo meraviglioso ed eroico.

La povertà.

Simile al suo Maestro che sulla Croce appare nudo e spogliato di tutto, il De La Salle visse sempre povero e distaccato da ogni cosa.

Spogliatosi del canonicato e del suo ricco patrimonio, si sposò alla povertà evangelica sino a mendicare il pane, e scegliere sempre per sé le cose più vili, la più povera cella, i più miseri e logori abiti; ad amare e a beneficare i poveri, specialmente i fanciulli, per i quali ultimi fondò le scuole gratuite, a prezzo d'innumerevoli sacrifici e d'inaudite privazioni.

La mortificazione.

La mortificazione, ossia l'amore delle croci e delle sofferenze, fu cosi familiare al nostro Santo, da essere riputato come uno dei più grandi penitenti del suo secolo.

Acceso d'amore per Gesù Crocifisso, ch'egli riguardava come il più gran penitente della Chiesa e il modello dei penitenti, amava le croci e non impallidiva mai, allorché vedeva appressarsene qualcuna, anzi andava loro incontro con gioia, felice d'aver parte alle Croce di Gesù e di bere al suo santo Calice.

Duro e implacabile verso il proprio corpo, lo maltrattò tanto con le più gravi austerità, da dover chiedergli perdono, in punto di morte, d'essere stato fin troppo severo verso di lui.

Non bastava all'ardente suo amore per Gesù Crocifisso d'essere un poco lungi da Lui sul Calvario, ma voleva essergli vicino con Maria, attaccato alla Croce; perciò se fu tanto simile a Gesù nudo e povero, non meno conforme fu a Gesù ricolmo di obbrobri, di dolori e di umiliazioni.

Come se volesse imitare la flagellazione del suo Signore, si flagellava aspramente quasi ogni giorno.

Non potendo coronare di spine il proprio capo a imitazione di Gesù, coronava, per così dire, il suo corpo con un aspro cilicio e portava ai fianchi una cintura di ferro, guarnita di acutissime punte.

Si studiava di tenere crocifissi i suoi piedi, nei lunghi viaggi che faceva senza mai usare cavalcatura, tanto d'inverno che d'estate; e teneva come crocifisse le mani mortificandole in varie guise, e specialmente negando loro ogni calore, quando d'inverno erano così intirizzite dal freddo, da non poter più neanche sostenere la penna per scrivere.

Tutto il suo corpo, in una parola, teneva crocifisso, col digiuno, con la preghiera prolungata in posizione molto scomoda, con la privazione del sonno e di quei piccoli sollievi che la natura richiede con insistenza.

Crocifisso per tal modo col suo divino modello, S. Giov. Batt. De La Salle poteva con molta ragione parlare in questo modo ai suoi Fratelli: « Tenetevi attaccati alla Croce di Gesù Cristo e non ve ne distaccate; nonostante lo strepito dell'inferno, dite corraggiosamente che non ve ne separerete mai e che nulla potrà separarvene.

Se prenderete cosi generosa risoluzione, Nostro Signore verrà in vostro aiuto e vi sosterrà amorevolmente con la sua santa mano ».

Tali accenti non potevano uscire che dalla bocca di lui, il quale, secondo l'Apostolo, portava sempre la mortificazione di Cristo nel proprio corpo.

Pazienza e rassegnazione.

La Croce è la scuola e la prova di tutte le virtù e la pazienza ne è il compendio e la perfezione.

La fede animò senza dubbio i Martiri, ma la pazienza fece loro riportare le più belle vittorie; anzi, molti sono riputati Martiri solo di pazienza.

Una tale virtù riuscì a mettere sul capo del De La Salle la più bella corona di gloria, che l'ha reso un vero Martire, anche senz'avere sparso il sangue per la Fede.

Il suo biografo lo chiama « Novello Giobbe » e assicura che pochi uomini ebbero, come lui, la pazienza messa a così dura prova e diedero di questa virtù tanti e così fulgidi esempi.

Di dove mai attinse il nostro Santo tanta e così eroica pazienza?

Dal Santissimo Crocifisso ch'egli contemplava e abbracciava spesso e si sforzava d'imitare in ogni cosa.

Allorché gli si comunicò la triste nuova della perdita dei suoi genitori, morti a breve distanza l'uno dall'altro, solamente ai piedi d'un Crocifisso trovò forza e rassegnazione per degnamente sopportare così acerba sventura.

La Vittima del Golgota era il suo asilo in tutte le pene della vita, e alla vista delle abiezioni e delle sofferenze del Redentore, gli parevano perfino dolci e preziosi i disprezzi, i rifiuti e i dolori, che il mondo non mai gli risparmiava.

Ora la malattia colpiva lui stesso o gli amati suoi Fratelli e la morte gli toglieva proprio coloro che gli erano umanamente più necessari.

Talora il nemico d'ogni bene spingeva all'infedeltà della propria, vocazione i più deboli o indocili, lasciando lui, Superiore, in grave imbarazzo.

Altra volta veniva fatto segno a persecuzioni d'ogni sorta, e i suoi nemici giungevano perfino a saccheggiare le Scuole da lui fondate, e a disperdere spaventati maestri e scolari.

L'autorità dei suoi persecutori giungeva talvolta a rendere timidi coloro che potevano difenderlo, riuscendo perfino a chiuder loro la bocca; così egli restava in balia di chi aveva giurato di fare del male a lui e al suo Istituto.

Ora l'affliggeva l'ingratitudine degli scolari e dei loro parenti, ora lo sconfortava l'infelice riuscita d'un contratto di fondazione d'una Scuola per le secrete mene d'invidiosi o giansenisti.

In questi casi dolorosi in cui la pazienza del nostro Santo era messa a così dura prova, egli, abbracciando il suo Crocifisso, esclamava: « Dio sia benedetto! Egli m'ha tutto dato, Egli m'ha tutto ritolto, sia fatta la sua santa volontà ».

Non si lamentava mai di nulla, ne si scorgeva sul suo volto alcun segno di noia, di fastidio o di ripugnanza per qualche cosa; era sempre contento, ne dava il minimo indizio d'impazienza.

Per una caduta, il santo Prete batté fortemente la testa, per cui gli venne un ascesso dolorosissimo che non trovò altra via di sfogo che per l'orecchio.

Chi può dire i dolori che l'uomo di Dio soffri nei lunghi giorni di questa pericolosa infermità?

Ebbene, la sua pazienza fu inalterabile, e contemplando il Crocifisso seppe talmente dar forza a se stesso, da soffrire con volto sereno i più atroci dolori, mentre chi lo vedeva in quello stato non poteva frenare le lacrime.

Per guarire di un tumore al ginocchio, fu costretto a sottoporsi a una cura assai dolorosa, simile, in qualche modo al martirio di S. Lorenzo.

Doveva cioè tenere la gamba malata stesa sopra una specie di graticola, sotto cui ardeva un lento fuoco.

Ebbene, durante il lungo periodo che durò siffatta cura, il De La Salle non emise mai un gemito o un lamento: la contemplazione del Crocifisso e la recita dell'Uffizio Divino bastavano a infondergli la pazienza per soffrire coraggiosamente i suoi dolori.

Che dire poi dell'eroica pazienza con cui sopportava i suoi nemici?

A imitazione del suo Signore che dall'alto della Croce pregò perdono ai suoi crocifissori, il nostro Santo perdonava con gioia a chi lo calunniava o l'ingiuriava, e pareva non riserbasse le più tenere affezioni del suo cuore che per quelli che l'offendevano.

Anche dai suoi Fratelli richiedeva siffatta pazienza, anzi voleva che a imitazione degli Apostoli « fossero contenti di patire ingiurie per il nome di Gesù ».

E per indurli all'amore di Gesù Crocifisso ripeteva loro sovente questo passo degli Atti Apostolici, quasi per incatenarli ai piedi del loro Signore in Croce, e tenerli ben disposti a bere con pazienza e rassegnazione il calice dei patimenti e delle umiliazioni di questo divin Salvatore.

F. E.

( Continua ).


1 Vedi Bollettino, Anno VII, N. 2, Marzo-Aprile 1923, pag. 10;

N. 3, Maggio-Giugno, 1923, pag. 18