Lettera di un Aspirante infermo

B39-A5

Carissimo Fratello N.

La è pur triste nuova quella che sto per darle, e sono certo che l'aspetta tanto quanto l'aspettavo io dal Sig. Dottore.

Ieri il babbo mi condusse da un altro medico, per avere un'idea più chiara del male che, nonostante le cure, continua a travagliarmi; e questo, come l'altro Dottore, mi trovò una pericardite reumatica, senza versamento liquido, fortunatamente.

« Se ci tiene alla vita e alla guarigione, disse, faccia a modo mio: un mese di letto e, se non basta, anche di più, finché lo sfregamento pericardico cessi completamente; e poi non esca di casa, per nessun motivo né per nessun periodo di tempo, fino alla bella stagione ».

Come rimanemmo il babbo e io, Lei lo può facilmente pensare; se poi dovessi descrivere tutto ciò che accadde in me, non basterebbero cento lettere!

Il primo pensiero fu la scuola; feci obbiezioni al dottore, ma fu irremovibile; poi mi venne in mente la S. Messa delle domeniche, e così via via; rassegnato da una parte, m'assalivano dall'altra molti pensieri a tormentarmi, a rattristarmi, ancora.

E ogni volta che penso alle cose di fuori, sempre queste quattro pareti mi si stringono d'attorno minacciose, gridando: fermati sei prigioniero!

Ho pianto, lo confesso, ho pianto apertamente e nel mio cuore; ma ora non piango più, mi sono messo a ridere, a cantare, a pregare … sì, a pregare il Signore, perché mi dia forza di soffrire e di sopportare tutto pazientemente per amor Suo, e perché aiuti i miei genitori, poveretti, che risentono più di me il duplice male; Lei sa cos'intendo dire!

Signor Professore, Lei, ch'è tanto buono, n'è vero che unirà le sue alle mie preghiere? e che farà pregare anche i miei compagni?

Oh, i miei cari compagni! li saluti tanto, tanto, per favore, e dica che si ricordino di me, loro che han la fortuna d'assistere tutti i giorni alla S. Messa!

Ora che sono impossibilitato, sento di più il bisogno di averli compagni e amici; entreranno prima di me nella realtà della vita, ebbene, mi prepareranno la strada e me la insegneranno quando sarò anch'io al termine del sesto corso, se il Signore così vuole.

Per ora sto qui nel mio letto a continuare la nuova vita; il dottore m'ha detto di stare allegro, di leggere, ma non di studiare; e io rido e parlo con chi viene a visitarmi; leggo, gioco, come un fanciullo; ma sotto gli svaghi, le chiacchiere è l'altre cose, viene sempre a galla il pensiero: cinque mesi di questa vita, quanto sono lunghi!

Ma passeranno anche questi; e, poiché devo stare allegro per davvero, cercherò di ridere meglio che potrò; mancandone poi le maniere e le persone, riderò lo stesso con il mio Crocifisso: con Lui, c'è sempre la letizia per qualunque rispetto.

Non le pare, signor Professore, che io sia come la chiocciola, che si rinchiude in casa ai primi freddi e non ne esce finché il raggio d'aprile non viene ad annunziare la primavera?

A me par quasi così; e poi ho pensato che potrei, a imitazione di Silvio Pellico scrivere le mie … prigioni; peccato che non sia letterato!

Ora finisco, perché l'avrò annoiata anche troppo, con questa lungaggine; cosa vuole? cerco d'ingannare il tempo in tutti i modi leciti, e, per ora, in parte, ci riesco.

Mi perdoni se ho scritto male; ci ho messo due giorni, un po' alla volta, a fare questo scritto; non sono in comoda posizione e poi non posso né devo sforzarmi.

Saluti ancora per me i Professori e i compagni e dica loro che, in quei brevi momenti che pregherò, li ricorderò con vero affetto.

Riceva tanti saluti dai miei genitori e altrettanti dal suo

off.mo alunno F. B.

Torino, 15 novembre 1928.