Patire ed essere disprezzato per te

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S. Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa, grande mistico del '500 e con S. Teresa d'Avila riformatore del Carmelo è certamente uno dei più grandi luminari che siano sorti nella Chiesa Cattolica.

Le sue opere, in cui è contenuta la dottrina più sicura e più alta della vita spirituale, sono sempre più studiate dai teologi e sono un punto di riferimento per tutte le anime di vita interiore.

Nella sua vita vi è un episodio, in perfetto stile con la sua dottrina e rivelatore della sua anima assai più delle numerose estasi e visioni di cui era favorito.

L'episodio è certamente storico, riportato nei processi di beatificazione e documentatissimo.

Il Santo aveva un fratello, Francesco de Yepes, suo emulo nella santità, favorito anch'egli di doni straordinari, di visioni, di rivelazioni nello sfondo di una semplicità e naturalezza incantevoli, ed a lui amava confidare i suoi segreti.

Nella primavera del 1591, ultimo anno della vita del Santo, questi, presago della prossima fine, una sera condusse Francesco all'aperto e sotto la volta profonda del cielo castigliano, limpido e pieno di stelle cominciò a parlargli.

« Voglio narrarvi, gli disse, una cosa che mi avvenne con Nostro Signore.

In convento avevamo un Crocifisso e mentre un giorno io gli ero dinnanzi desiderando che lo venerassero non solo i religiosi, ma anche i secolari, pensai che sarebbe stato meglio in Chiesa.

Quando ve lo ebbi collocato come meglio potei, un giorno che stavo ai suoi piedi in preghiera, mi disse: - Fra Giovanni, chiedimi ciò che vuoi, che io te lo concederò per questo servizio che mi hai reso - io risposi: - Signore chiedo di soffrire molte pene per voi e di essere disprezzato e tenuto per uomo da poco.

Il Signore, concludeva il Santo, ha accettato la mia richiesta.1

Una richiesta così è sconcertante.

Se mai si domanda di essere liberati dai mali di cui si è stati colpiti, o al più di soffrirli pazientemente.

E chi va a cercare i disprezzi? Essere tenuto per uomo da poco è cosa intollerabile: quante crisi di personalità, quanti sforzi per affermarsi.

Quali abbattimenti allorché si constata di essere davvero ritenuti uomini da poco.

Ma S. Giovanni della Croce aveva realizzato in sé quello spogliamento radicale e totale che egli indica nelle sue opere come condizione necessaria per l'unione con Dio, quel rinnegamento di sé di cui parla il Vangelo, che è liberazione e superamento, che è premessa e attuazione dell'amore puro e profondo: « Che io condivida le tue pene e le tue umiliazioni, o Signore, per essere con Te e simile a Te e ti dimostri così l'amor mio, come tu hai voluto patire ed essere vilipeso per amor mio ».

Il Signore volle dare compimento ad una domanda così generosa e consumò la vita del suo servo tra i dolori del corpo e dell'anima.

Un tumore ad una gamba, curato con i metodi barbari di quel tempo, glie la ridusse in cancrena e si propagò fino alla spalla, inchiodandolo sul povero giaciglio, tra dolori acutissimi.

Destituito di ogni autorità, allontanato dal suo convento e trasferito in una provincia lontana dalla sua, trovò pessima accoglienza dal Priore, che gli rinfacciava perfino la spesa di quelle magre cure mediche di cui non si poteva fare a meno.

Un processo diffamatorio venne istituito contro di lui per rovinarne la reputazione.

Uno dei suoi frati giunse a dichiarare, allorché apprese la notizia della sua morte, che ne era contrariato, perché sperava di farlo cacciare dall'Ordine e avrebbe voluto che fosse morto fuori di esso.

In queste condizioni, amando e soffrendo. Egli morì.

Nei momenti estremi, al confratello che iniziava a leggere la raccomandazione dell'anima chiese piuttosto di leggergli il Cantico dei Cantici e ne ascoltò i versetti con grande gioia.

Poi accostò le labbra al Crocifisso che teneva sempre in mano, pronunciò lentamente: « In manus tuas, Domine, commendo spintum meum » e spirò.

E il trionfo dell'amore che, dimentico di sé, vive solo per l'amato.

C. T.


1 Cfr. S. Giovanni della Croce, Dottore Mistico, del p. Crisogono.