La Devozione e le "devozioni"1

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( Continuazione )

Le devozioni a Gesù Crocifisso

La seconda Persona della SS. Trinità, il Figlio Unigenito del Padre, è innanzi tulto adorato, dalla devozione cristiana, in Dio: è il Verbo « ch'è dal principio e per cui sono state fatte le cose tutte », « ch'è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo » ( Gv 1,1-9 ) - la nostra ragione stessa non è che un'immagine partecipata del suo Logos, archetipo eterno di ogni creatura, e dal quale ci viene anche la Rivelazione soprannaturale della vita divina - ed è sempre stato assai grande, negli spiriti più illuminati il rispetto, il culto, la devozione al Verbo increato, alla divina Sapienza, alla eterna e sostanziale Ragione d'ogni essere.

Il Verbo incarnato

Ma era naturale che al Verbo incarnato, al Figlio di Dio fattosi uomo, per salvarci, la pietà cristiana, non solo riconoscesse l'onore e la devozione dovuti a ciascuna delle divine Persone; ma ancora, a cagione di quello che più particolarmente l'umanità deve all'Uomo-Dio « fattosi carne » per vivere con noi, ponesse il Cristo al centro di tutta la vita spirituale.

È del resto la subordinazione stabilita da Dio; che non possiamo andare a Lui, se non per mezzo di Nostro Signore Gesù Cristo ( Mt 11,27 ).

La devozione verso Gesù Cristo, - che le formule liturgiche, continuano a rappresentarci come Sacerdote del Padre, Pontefice dell'umanità.

Redentore, concelebrandone gli attributi di nostro Capo, di nostro Re e Giudice supremo, mentre dati strettamente teologici, lo conclamano nostro Fratello, e fanno della Chiesa e dei fedeli, « il Corpo immolato » di Lui, che pertanto continua la sua presenza e la sua azione fra di noi non solo come l'Ospite del tabernacolo, il Cibo eucaristico necessario per la vita delle nostre anime, ma ancora rivive, in ciascuno di noi, i riti sacrificali della sua obbedienza, del suo dolore, della sua carità, - ha le caratteristiche sue proprie nelle forme più specificamente devozionali ed intime della fiducia, dell'imitazione, dell'amore, dell'affetto riconoscente per quello che ha fatto per noi, Dio ma in veste umana; v'è la passione per i suoi dolori, la gioia per i suoi trionfi, l'entusiasmo d'un sacrificio che non neghi nulla agli interessi di Lui e delle anime …

Le quali cose nulla tolgono alla nostra esaltazione delle sue grandezze, né all'umiltà delle nostre preghiere.

È Dio ; ma la pietà cristiana lo considera ormai come affidategli dal Padre, e Lo adora, ama, serve con l'attributo umano; è Gesù bambino; è Gesù operaio; è Gesù maestro; è Gesù guaritore e amico dei peccatori; è Gesù che assolve l'adultera; che soffre la fame con i Dodici; ch'è tradito e venduto; che muore in croce …

Sono forme quasi infinite, e tutte hanno per oggetto l'umanità del Figlio di Dio, in cui la divinità, non è disgiunta, ma, in certo modo, come velata, così come nella sua vita mortale.

Tra di esse tengono il primo posto la devozione alla S. Infanzia, la devozione alla Passione, al SS. Sacramento, al S. Cuore.

Ciascuna di esse poi, nonostante i fatti specifici del Vangelo, cui si riallaccia, tocca ed ha un fondo generale e comune, ch'è tutto il Cristo, quello storico tanto per intenderci, cioè quello conosciuto dalla Scrittura, che ne preannunzia la venuta, e la certifica nella pienezza dei giorni, e che in certa guisa, ne stabilisce le stesse direzioni devozionali.

Gesù bambino

La devozione alla Santa Infanzia del Redentore, come tutte quelle che si riferiscono a Gesù, ha per oggetto determinati « fatti » del S. Vangelo: la Nascita nel presepe di Betlemme, la Circoncisione, l'Epifania, la fuga in Egitto, la Presentazione al Tempio, i primi anni a Nazaret, la disputa con i Dottori …

« Apparuit gratin Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus, erudiens nos, ut iihrt-egantes impietatem et saeculariu desiderici, sobrie et juste et pie vivamus in hoc sacculo » ( Tt 2,11 ).

La devozione alla Santa Infanzia, così dolce, - per la grazia di soavità del mistero d'un Dio che non disdegna la fragilità d'un bimbo, - è ben lungi dal rivolgersi ai soli fanciulli: apparirà anzi una « robusta devozione di adulti » non appena si pensi al culto della povertà, ad es., ch'essa comporta; all'amore dei poveri, in cui Dio s'identifica; e la tremenda responsabilità dell' « … In propria venit, et sui eum non receperunt » ( Gv 1,11 ).

Proprio di questa divozione, - oltre allo spirito di docilità, secondo quelle parole: « Se non vi farete simili ad un bimbo, non entrerete nel regno dei cieli » ( Lc 18,17 ), - è come il senso e il culto dell'eterna natività e creatività di Dio, la fede nell'innocenza e santità di Dio e di tutto quello che viene primamente da Lui; la certezza, che tutto ciò che si consuma nelle traiettorie del tempo e dello spazio, è, per il Verbo Incarnato, sottratto al gorgo della morte e del nulla, e stabilito, per sempre, in Dio.

Sotto l'aspetto educativo, poi, basterà pensare alle parole di Gesù dodicenne appena: « … io, his, quae Patris mei sunt, oportet me esse » ( Lc 11,49 ).

La passione

La nostra epoca maledice il dolore; nello sforzo suo frenetico di godere s'accanisce impotente su d'ogni croce; ma nessuna epoca più della nostra fu crocifissa.

È il sigillo di Dio. Se il malvagio è abbandonato al suo reprobo senso, - e v'è tanto disperante dolore nella morsa del « male », - la Chiesa ripete per i suoi figli: « … noi siamo ogni giorno messi a morte, siamo considerati come pecore da macello; ma di queste cose siamo più che vincitori, in virtù di Colui che ci ha amati ed ha dato se stesso per noi » ( Rm 8,36; Ef 5,2 ).

Nella vita umana, il dolore è irrecusabile, ed ecco il Christus patiens, con l'altezza del suo esempio, la nobiltà dei suoi motivi, l'innocenza del suo soffrire, farsi incontro ad ognuno di noi.

Dio non ci è mai tanto vicino, come quando soffriamo.

Dio ci aveva creati per la sua e la nostra gioia; ma poiché il primo uomo peccò, il Padre mandava il Figlio suo in carne umana, perché il dolore, divenuto necessario, non ci schiacciasse, ma diventasse in Lui, il sacramento della nostra grandezza e della nostra gioia.

La devozione alla Passione è innanzi tutto questa fede nell'amore di Dio, che ci perdona; la consapevolezza, che il nostro dolore non è inutile, né incomportabile.

È forse, la devozione che l'uomo - tutti gli uomini - sente più vicina.

Come non ricordare la preghiera dell'Orto: « … transeat a me, calix iste » ( Mt 26,39 ) e quella del Golgota: « Deus meus, Den-s meus, ut quid dereliquisti me? » ( Mt 27,46 ).

I fatti salienti, su cui si posa questa devozione, che nonostante l'efferatezza dei carnefici e la tremenda evidenza della sua rappresentazione, è soprattutto rivissuta nel nostro mondo interiore - chi, infatti, non ha avuto un amico, che l'abbia tradito? o un discepolo, che non l'abbia compreso? uno dei suoi, che non l'abbia rifiutato, posposto, schernito? - sono l'agonia nell'orto del Getsemani, la cattura e il processo, la coronazione di spine e la flagellazione, il rifiuto del popolo e la condanna capitale, il viaggio al Calvario, la crocifissione e la morte.

Si comprende facilmente quanto la devozione alla Passione sia ricca di grandi e profonde suggestioni, che attraverso il compatimento cordiale ed affettuoso ai dolori di Gesù, c'ispirano la pazienza e la dolcezza, il coraggio nelle prove e nelle persecuzioni, il perdono delle offese e soprattutto ci danno come l'evidenza della malizia del peccato e del prezzo della nostra anima agli occhi di Dio.

Nella nostra compassione, c'è già la contrizione dei peccati e, almeno embrionale, l'amore.

« Maiorem dilectionem nemo habet ut animam suam ponat quis prò amicis suis » ( Gv 15,13 ).

E del pari nessuno persevera nella meditazione e nella devozione alla Passione di Gesù, senza sentirsi come sospinto a dare a tutta la propria vita, un vero carattere cristiano, che è appunto la « complementarità » a Cristo: « Adimpleo in carne mea ea quae desunt Passioni Christi » ( Col 1,24 ), che è appunto il crocifiggere la propria carne, con le sue passioni.

La devozione alla Passione comincia con il segno della croce, ch'è, ad un tempo, ricordo della Redenzione operata dal Cristo, ed un richiamo al precetto della nostra conformità con Lui.

La pietà cristiana consacra alla Passione il venerdì d'ogni settimana: spesso, alle 15, una campana dà i rintocchi dell'Agonia.

Con la penitenza ecclesiastica dell'astinenza, s'accorda anzi naturalmente, la meditazione affettuosa della Passione, da cui si svolge una operante simpatia, che spinge ad accogliere volentieri il sacrificio della rinuncia e le forme crocifiggenti della mortificazione ascetica.

La Chiesa stessa, oltre la rinnovazione del Sacrificio dell'Altare, ha cura di richiamare la pietà dei fedeli, con il culto stesso e la celebrazione delle sofferenze e degli strumenti della Passione, e particolarmente con le celebrazioni della Settimana Santa.

Il Crocifisso

Il culto e la devozione alla croce sono antichissimi, nella Chiesa, anche se non mancarono sporadiche opposizioni di chi temeva di scorgervi un segno idolatrico.

Fosse l' « adorazione » del legno stesso della? croce ( Cfr., la festa dell'Inventio Sanctae Crucis ), o quella d'un comune legno-simbolo, nessuno ha mai dubitato che il culto non fosse reso al Divin Crocifisso.

È stato notato che l'uomo, nella stazione eretta, aprendo le braccia, forma una croce.

Ma la pietà cristiana non s'è accontentata: ha voluto che il divoto del Crocefisso portasse sopra di sé, l'immagine del suo Salvatore.

Con l'uso della Corona del S. Rosario, l'uso è invalso di portarlo all'estremità di essa.

Il Crocifisso sta naturalmente in capo al letto e sullo scrittoio: veglia i nostri sonni ed accompagna la nostra fatica.

La pietà dei superstiti ce lo porrà tra le mani, avanti l'ultimo addio e il Crocifisso adornerà la tomba cristiana.

L'arte si è fatta interprete di questa divozione.

Solo, o nelle composizioni d'un Calvario, il Crocifisso è, dovunque, il segno d'una divina civiltà, che riscatta l'uomo dalla barbarie della violenza e dalla schiavitù dei sensi.

Il Crocifisso è salito dal patibolo ai fastigi della regalità.

Eppure, il devoto alla Passione sa ch'era l'ultimo supplizio, quello dello schiavo, che non aveva corpus, che neppure poteva possedersi con la morte.

« Tradidit semetipsum prò nobis » ( Ef 5,2 ).

Il Crocifisso, nelle mani del fedele è la certezza del suo peccato, ma altrettanto e più, la certezza del suo perdono.

Un tempo, la tremula mano d'un vecchio segnava in fronte o sul capo dei suoi, la croce sacra della benedizione familiare.

Ancora qualche mammina con il pollice, segna, sul cuore del bimbo addormentato, la croce … perché il mondo non glielo rapisca.

Il mondo ha sempre odiato il Crocefisso.

Non lo può sopportare « chi vive da nemico di Cristo » ( Fil 3,19 ).

Così la società moderna l'ha tolto dalle scuole, dalle officine, dai tribunali, dai parlamenti.

Cristo non è più « cittadino » per gli uomini, che ignorano perfino il significato della loro terrena città.

Ma il Cristo ha detto: « Il mio regno non è di questo mondo » ( Gv 18,36 ).

Vero è « che non abbiamo altro segno, in cui essere salvati » ( Nm 21,9; Gv 3,14 ).

Via Crucis

Universalmente noto, questo santo esercizio, è tra i più fecondi della divozione alla Passione.

Il grande numero d'indulgenze, di cui la Chiesa l'arricchì nel corso dei secoli, sta a provarne la validità e l'eccellenza.

I Francescani, cui fin dal sec. XIV era stata commessa la custodia di Terra Santa, cominciarono a stabilire nei loro conventi « stazioni della via dolorosa », riproducenti, ad un dipresso il « viaggio » di Cristo dal pretorio al Calvario.

Si sa che cosa rappresentasse, nel M. E., andare in Terra Santa.

Ma anche al di fuori dell'empito, che portava i Cristiani a voler liberare il Sepolcro di Cristo, i luoghi stessi in cui Gesù era vissuto dovevano esercitare la loro suggestione.

Compierne il lungo pellegrinaggio era oltremodo gravoso e pertanto meritevole, specie quando fosse interposto un voto o una pena ecclesiastica.

Salutevole era tuttavia anche a chi non si recasse in Palestina, ripercorrere con il pensiero la « via dolorosa » e l'immagine dei luoghi valeva a fissare la mente, nel tempo stesso che il muoversi dall'una all'altra stazione riproduceva l'andamento d'un viaggio.

Varia per forme - da quelle semplici dell'incedere pellegrinante, a quelle più complesse per « contemplazioni » o « misteri » alle singole stazioni: a quelle gravi di penitenze, rappresentate da croci e flagelli - varia pure per numero di stazioni, finì con lo stabilirsi in un'armonica accezione divozionale, con preghiere, locomozione e canti, cui non si richiedeva, dapprima, che il « luogo canonico » dell'erezione, poi, per gli impossibilitati, bastò una recita privata.

La Chiesa non garantisce i particolari che offrono, o suppongono, le XIV stazioni odierne alla meditazione dei fedeli: riconosce l'esatteza dell'insieme, qualunque sia la ricostruzione mimetica del viaggio, poiché quello che preme sono i sentimenti di pietà, di compunzione, di penitenza, che devono ravvalorare l'esercizio della « Via Crucis », dove ciascuno può, di leggieri, con la Passione di Gesù, raffrontare più d'un caso della sua stessa vita.

Non ha formula fissa.

Vi sono Vie Crucis per tutte le età e tutte le condizioni.

E neppure ha un tempo determinato: può essere brevissima, e con sola orazione mentale.

Neppure occorre un'immagine del « fatto »: basta una croce, per stabilire una stazione, senza contare speciali indulti, che trasferiscono le indulgenze della Via Crucis, ad es., alla recita di venti pater, ave, gloria, su d'un Crocifisso espressamente benedetto per tale esercizio.

L'ora santa

È un esercizio di meditazione notturna, tra le 23 e le 24 del giovedì, in ricordo dell'agonia del Getsemani.

In una Chiesa, o Cappella, beneficia della stessa presenza reale del SS. Sacramento.

Ma anche fuori dalle forme dell'Arciconfraternita eretta presso il Monastero della Visitazione di Paray-le-Monial, ciascuno può facilmente soddisfare, in privato, la sua devozione, in famiglia, con i suoi cari o da solo.

Lo scopo è di invocare la divina misericordia sul mondo e specie sui peccatori, che ostinandosi, farebbero irrita, nei loro confronti, la Redenzione, e nello stesso tempo consolare Gesù, con quell'ora di veglia riparatrice, per l'abbandono degli apostoli, per le nostre proprie negligenze, per le improntitudini in genere, e la mancanza di generosità nostre e altrui.

L'ora notturna e la particolare suggestione che promana dalla « contemplazione » dell'agonia di Gesù, con il mistero di quel triplice lamento divino: « Se è possibile, allontana da me, o Padre, questo calice; ma non la mia, sebbene la tua volontà si compia »; con il non meno arcano « sudore come di gocce di sangue, che scorrono in terra », mentre gli apostoli, - ed i migliori, - cedono al sonno e alla fatica; con i temi scanditi del « Tristis est anima mea usque ad mortem: sustinste hic et orate » ( Mt 26,38 ) - fanno di questa pratica come il prologo che già enuclea tutta la passione, con la drammaticità del Crocifisso, piantato sul Calvario, veduta nella sua irrecusabile alternativa di salvezza o di condanna.

Altre divozioni che si richiamano direttamente alla Passione sono ancora ad es., quella al Preziosissimo Sangue e quella alle Sacre Piaghe del Redentore.

La prima, ch'è oggetto anche d'una festa liturgica, è il culto del mezzo cruento, con cui l'Agnello di Dio tolse i peccati del mondo, il « prezzo del riscatto », considerato nella sua forma sacrificale e riofferto, con la Vittima, al divin Padre incessantemente.

È naturale che il Sangue di Gesù, pur degno d'essere adorato per se stesso, non sia dalla detta divozione separato o distinto dall'immolazione totale di Lui; è sempre tutta la Persona del Redentore, che riceve il culto nella devozione cattolica e non una indissociabile parte.

Proprio di questa divozione al Preziosissimo Sangue è Io spirito di martirio, in cui il Cristiano deve vivere e morire.

« Non avete ancora resistito fino al sangue » ( Eb 12,4 ).

La devozione alle Cinque piaghe è anch'essa assai antica nella Chiesa, da quando, almeno i Padri e i Dottori, si chiesero, perché il Salvatore avesse conservato, aperte, le cicatrici, anche dopo la risurrezione e le considerarono tosto come « le fonti della salvezza, cui attingere con gaudio » ( Is 12,3 ), donde il carattere di maggior pacatezza discorsiva, di contemplante serenità, di amore gioioso, che la contraddistingue, pur nel mistero delle « sue » sofferenze, cheessa vede « riaperte » ma gloriose e feconde ( S. Aug. De Sym, 2, 8; S. Bern. Serm. 6 in Cant; passim ).

Ma di quest'ultima, in particolare, faremo cenno al prossimo numero.

( Continua )

Fr. Emiliano


1 v. La devozione e le devozioni, in « L'A. a G. C. » n. 4-6, dicembre 1956, pag. 63.