La missione di Fra Leopoldo

B158-A4

La canonizzazione di laici aveva sempre fatto capire molto chiaramente, lungo i secoli, che la santità è possibile nel mondo.

Con la Costituzione Apostolica « Provida Mater » ( 2 febbraio 1947 ) la Chiesa, riconosce che un particolare stato di perfezione può consacrare la condizione secolare.

Col Motu proprio « Primo feliciter » ( 12 marzo 1948 ) il Sommo Pontefice Pio XII di s. m. delinea chiaramente la natura e la fisionomia degli Istituti secolari, i cui membri consacrano la vita all'apostolato nel mondo, col desiderio di giungere alla santità per questa via.

In questo importante documento si legge: « Lo Spirito Santo che ricrea e rinnova incessantemente la faccia della terra ( Sal 104,30 ), desolata e macchiata da tanti e sì grandi mali, ha chiamato a sé con una grazia insigne e speciale molti carissimi figli e figlie, che noi benediciamo con grande affetto nel Signore, affinché, uniti e organizzati in Istituti secolari, siano per questo mondo scipito e tenebroso, al quale non appartengono ( Gv 15,19 ), nel quale però, per divina disposizione, devono rimanere,sale incorruttibile che, rinnovato per effetto della vocazione, non perde la sua forza ( Mt 5,13; Mc 9,49; Lc 14,34 ); luce che, tra le tenebre del mondo, risplende e non si spegne ( Gv 1,5; Gv 8,12; Gv 9,5; Ef 5,8 ); lievito che, scarso bensì nella quantità, ma attivo, all'opera sempre e dovunque, mescolato a tutti gli ordini di cittadini, dalle più umili alle più elevate condizioni, con la parola, con l'esempio e in ogni maniera, si sforza di toccarli e penetrarli, tutti e ciascuno, fino a trasformare la massa così che lievitata sia tutta nel Cristo ( Mt 13,33; 1 Cor 5,6; Gal 5,9 ) ».

Gruppo di catechisti con il P, Piombino durante una professione religiosa

Il S. Padre continua:

« Il carattere proprio e peculiare di questi Istituti, cioè il carattere secolare, che costituisce tutta la loro ragion d'essere, deve risplendere in tutto.

Nulla deve essere tolto alla professione totale della perfezione cristiana, solidamente fondata sui consigli evangelici e, nella sua sostanza, veramente religiosa.

Ma questa perfezione dev'essere vissuta e professata nel mondo.

Bisogna perciò adattarla alla vita secolare in tutto ciò che è lecito e s'accorda con gli obblighi e le opere di questa stessa perfezione ».

Poco oltre il S. Padre nota che l'apostolato degli Istituti secolari, i quali dalla sete delle anime e dallo zelo derivano la loro propria ragion d'essere ( almeno in gran parte ), « non solo deve fedelmente esercitarsi nel mondo, ma in qualche modo per mezzo del mondo e pertanto per mezzo di professioni, attività, forme, in luoghi e circostanze, rispondenti a questa condizione secolare ».

La Chiesa, sempre attenta ad accogliere, assecondare e favorire lo sviluppo dei modi che lo Spirito Santo viene via via ispirando alle anime per condurle alla perfezione della vita cristiana, non poteva non dare forma giuridica e negare la sua lode e la sua approvazione alle nuove schiere venute « ad accrescere nel mondo l'esercito di coloro che praticano i consigli evangelici ».

Questo riconoscimento solenne è il sigillo autorevole e giuridico di tutta un'opera maturata e fiorita gradualmente nel tempo.

Tale opera già nella Chiesa stessa aveva avuto in qualche modo i suoi profeti.

Perché, secondo l'ordine provvidenziale, « nessuna epoca mai mancò di uomini dotati di spirito profetico, non certo per trarre fuori una nuova dottrina di fede, ma per dirigere la condotta umana » ( S. Tommaso, Somma della Teol. II-II, q. '74, a. 6, ad 3 ).

E se mai l'umana condotta ha bisogno d'una specialissima direzione è proprio quando le anime, anelanti alla perfezione cristiana, decidono, mosse dallo Spirito Santo, di consacrarsi a Dio pur restando nel mondo.

Profeta della vita religiosa nel mondo e per mezzo del mondo fu fra Leopoldo Maria Musso o.f.m., il quale con la chiara intelligenza degli imminenti sconvolgimenti della storia e dei compiti nuovi che bisognava intraprendere per riconsacrare il mondo, indicò ciò che c'era da fare « secondo come giovava alla salute degli eletti » ( Somma della Teol., art. cit., e ).

Fratel Teodoreto ci informa ( Il Segretario del Crocifisso, Torino 1958, pp. 72, 81 ) che fin dal 1908 il Servo di Dio previde l'« Opera » che sarebbe nata, il « grande Ordine », nel quale giovani laici si sarebbero associati in un primo tempo per praticare e diffondere la Devozione a Gesù Crocifisso e per dedicarsi all'insegnamento del Catechismo, da ultimo anche per tendere alla perfezione religiosa, continuando a vivere nella loro condizione secolare.

Da quell'anno fino al 1922 - anno della morte - fra Leopoldo, religioso laico, collaborò fraternamente con Fratel Teodoreto, anch'egli religioso laico, ispirandolo e consigliandolo nella difficile arte di preparare ad una autentica vita religiosa dei laici che, restando nel mondo, mostrassero come nello stato laicale si possa tendere alla perfezione cristiana.

I frutti della collaborazione fraterna dei due Servi di Dio sono dinanzi a noi.

Da un lato s'allarga il campo di lavoro tra i laici fedeli a Gesù Cristo Crocifìsso, che si fanno Catechisti per far conoscere gli elementi della Dottrina cristiana alle anime giovanili.

Dall'altro s'approfondisce l'azione costruttiva della carità nel mondo operaio in modo che tutti i problemi siano risolti senza ideologie contrarie alle leggi costitutive della natura umana, con la « Casa di Carità » che si propone di « educare cristianamente mediante il mestiere ».

Come afferma Fratel Teodoreto, Fra Leopoldo aveva intuito mirabilmente « che il nuovo compito degli educatori cristiani sarebbe stato non solo di dare una formazione cristiana alla gioventù operaia, ma di liberare per tal mezzo ogni cuore umano dalla schiavitù della materia mediante la santificazione del lavoro » ( Op. cit., pag. 258 ).

Formare nel tempo e salvare per l'eternità le nuove generazioni mediante la Dottrina cristiana e il lavoro santificato, ecco il compito che Fra Leopoldo vide affidato dalla Provvidenza a laici generosi che, nella completa dedizione a Gesù Cristo Crocifisso, esercitano il loro apostolato in mezzo al mondo.

La Cappella dei catechisti alla Casa di Carità

Profezia e santità spesso s'accompagnano. Ma non bisogna confonderle.

« La santità - come spiega Ch. Journet ( L'Église du Verbe Incarnò, t. II, Bruges 1951, pagg. 887-888 ) - può consistere nel soffrire, nella fede e nell'agonia del cuore, l'ingiustizia d'una situazione, d'uno stato di cose, senza portare alcun mezzo per modificarli direttamente.

Ma ecco la profezia, la quale scioglie tutti i nodi ».

E l'illustre teologo prosegue affermando che profeti dei tempi nuovi furono, tra gli altri, San Giuseppe B. Cottolengo e San Giovanni Bosco.

Profeti dei tempi nuovi possono pure considerarsi i grandi che illustrarono la Chiesa Piemontese nel XIX e nella prima metà del XX secolo: San Giuseppe Cafasso e i Servi di Dio Francesco Faà di Bruno, Leonardo Murialdo, Giuseppe Allamano, Francesco Paleari, i due fratelli Boccardo, Flora Manfrinati, Fratel Teodoreto.

In questo mirabile coro c'è Fra Leopoldo M. Musso.

Ognuno di essi fu mandato a sciogliere un nodo, a dire una parola.

Fra Leopoldo venne ad insegnare che le condizioni proprie della vita secolare non sono di per sé ostacolo alla perfezione cristiana, la quale anzi proprio nel mondo e per mezzo del mondo può essere seriamente ricercata e conseguita.

Con questo suo insegnamento fra Leopoldo ci richiama una verità non certo dimenticata, il cui senso tuttavia e la cui portata non sempre furono tenuti nel debito conto.

Il Verbo divino, assunta la natura umana, non visse appartato, solitario, nascosto, troppo santo per potersi mescolare con gli uomini.

« Per fortuna - osserva il P. Farrell - lo snobismo non è un debole di Dio, altrimenti non ci sarebbe stata mai l'Incarnazione ».

Dio venne ad insegnare agli uomini la verità e a liberarli dal peccato.

Perciò venne là dove la verità era minacciata e il peccato imperversava.

Il Verbo si fece uomo affinché, per Lui, noi potessimo avere un facile accesso a Dio.

Perciò Egli visse tra gli uomini ( Somma della Teol., Ili, q. 40, a. 1 ).

Con questo non s'intende certamente affermare che Gesù Cristo non possa e non debba essere l'ideale del monaco e del religioso separato dal mondo o che il sacerdote non trovi in Lui il suo modello luminoso.

È vero però che, come Verbo Incarnato - e dunque Uomo tra gli uomini, - Gesù si presenta come l'esemplare proprio dei laici che nel mondo sono chiamati alla perfezione evangelica.

Il Catechista Congregato, ad imitazione di Gesù, vive dove la verità è minacciata e il peccato fa strage e tra gli uomini, in mezzo ai quali esercita la sua professione e la sua attività, si sforza di far conoscere la Dottrina Cristiana e di far gustare il sapore di una vita che s'ispira al Vangelo: luce che, tra le tenebre del mondo, risplende e non si spegne; sale incorruttibile che non perde il suo vigore; lievito attivo che, mescolato alla pasta, la trasforma affinché sia tutta nel Cristo.

Tale si presenta il Catechista. Tale lo concepì fra Leopoldo.

La sua mente era aperta all'influsso dello Spirito Santo per accogliere quelle divine ispirazioni che, tradotte nella vita, preparano le nuove primavere della Chiesa.

Nell'umile frate laico si verificò il principio della divina economia: « ciò che per il mondo è debole. Dio lo scelse per confondere quello che è forte » ( 1 Cor 1,27 ).

Del cuoco del Convento di S. Tommaso la Provvidenza volle infatti servirsi

- per dire a tutti i cristiani « che l'unico modo per ritornare sulla buona via ed essere Salvi è quello di stabilire in ogni famiglia la pratica della Divozione a Gesù Crocifisso, dalla quale nasce lo spirito di umiltà, di riparazione e di zelo »;

- per incoraggiare « la fondazione dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata »;

- per manifestare al mondo travagliato dall'odio e dalle divisioni sociali il modo più efficace di riformarsi, cioè l'educazione cristiana dei giovani lavoratori » ( Fratel Teodoreto, op. cit., pagg. 269-270 ).

Se, anche questa volta Dio, secondo il suo modo, volle servirsi di strumento così umile per opere così grandi, lo scopo è manifesto: « affinché nessuna creatura possa vantarsi dinanzi a Lui » ( 1 Cor 1,29 ).

E difatti nessuno meno di Fra Leopoldo pensò mai a vantarsi di quello che fece per la gloria di Dio.

Sottomessa e aperta all'influsso dello Spirito Santo, l'anima sua rifuggì sempre da quella disordinata ricerca del proprio bene che, come radice malvagia, sgretola la compagine della vita associata e toglie la pace ( Somma della Teol; II-II, q. 183, a. 2, ad 3 ).

Qui trova la sua spiegazione il trionfo della carità di Fra Leopoldo.

Qui la sua ragione la grandezza dell'umile Servo di Dio.

Mons. P. Caramello