In memoriam

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Rag. Giovanni Cesone

La mattina di sabato 28 novembre 1964, verso le ore 10, il rag. Giovanni Cesone spiccava il volo verso l'eternità.

Veramente si può dire che spiccava il volo, perché durante il periodo di degenza alla Clinica Bertalazona dove era ricoverato e curato con amore dal prof. Judica Cordiglia, non cessò mai di pregare.

Anche durante le visite dei catechisti, che gli erano tanto gradite, bisognava immancabilmente fare qualche preghiera con lui.

Negli ultimi giorni la preghiera era diventata letteralmente ininterrotta, e gli dava un evidente sollievo, cosa insolita, perché quando il male raggiunge una certa intensità viene meno fin l'energia volitiva e si cade in uno stato di prostrazione, da cui emerge al più qualche giaculatoria, qualche aspirazione.

Segno indubbio, per chi ha conosciuto la fragilità fisica di Cesone e i vari mali da cui era afflitto e che egli nascondeva con semplicità sotto un sorriso o addirittura con una celia, della sua abitudine a superarsi ed essere esigente con frate asino, nonché del suo spirito di preghiera.

Una preghiera semplice, preferibilmente vocale, ma che scaturiva naturalissima in tutte le occasioni, come le sorgenti di montagna al finire dell'inverno.

È proprio vero che si muore come si vive: il miglior Cesone, il più vero, velato sotto il grigiore delle umili occupazioni e tribolazioni quotidiane, emerse alla fine con tutta la sua ricchezza di vita religiosa, lo spirito di pietà, caratteristico dell'Unione Catechisti, e di cui il mondo ateo di oggi ha bisogno prima di ogni altra cosa.

La vita di Cesone non fu facile.

Rimasto orfano fin da fanciullo, travagliato da gravi disgrazie familiari, delicato di salute e fin minorato da un piede, conobbe le strettezze economiche, le incertezze e le molteplici contrarietà.

La sua più grande fortuna fu quella di essere inviato alla scuola cristiana e di compiervi tutti i suoi studi dalla prima elementare alla terza tecnica.

La media superiore per il conseguimento del diploma di ragioniere la compì più tardi come privatista.

Non lontano da casa sua c'erano le scuole popolari della ROMI di cui era direttore il Fr. Teodoreto, ritornato recentemente dal Secondo Noviziato di Lembecq - lez - Hall con un fiero proposito che … non sapeva bene come attuare.

Quando una parolina di Fra Leopoldo lo mise in moto, Fr. Teodoreto fece il giro delle classi per raccogliere le sue prime reclute e notò la faccina tonda, buona e arguta nello stesso tempo di un ragazzino piccolo piccolo, il più piccolo di tutti, chiamato Gióanin.

Ne esaminò la pagella ( può un direttore di scuola giudicare un allievo senza guardarne la pagella? ), vide dei bei voti, e lo invitò a far parte del primo gruppo di quella che sarebbe divenuta l'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata.

Da quel momento Fr. Teodoreto divenne il padre di Cesone, e questi lo amò e lo seguì con una fedeltà esemplare, gli fu vicino e si appoggiò a lui come nessun altro, ne annotò ogni insegnamento e ne condivise tutte le cure per lo sviluppo dell'Unione.

Cesone conobbe pure Fra Leopoldo, a cui venne presentato dal Fr. Teodoreto e di questi condivise l'ammirazione e la venerazione per il santo Frate.

I « detti di Fra Leopoldo » divennero l'argomento più consueto delle meditazioni e delle letture spirituali di Cesone, per il quale essi facevano fede in ogni circostanza.

Forse fra Cesone e Fra Leopoldo c'era anche affinità di temperamento.

La messa al 27 di ogni mese, sulla tomba di Fra Leopoldo, per gli eredi spirituali di questi e la « Via Crucis » ogni venerdì erano per lui un impegno serio e non lo tratteneva difficoltà di stagione e di salute.

Quando il Fr. Teodoreto nel 1913 fece a Cesone il cenno che ne avrebbe orientato tutta la vita, l'Unione non era ancora nata, ma solo costituenda.

Rimaneva da stabilire quasi tutto: che dovesse chiamarsi Unione, che dovesse intitolarsi al SS. Crocifisso ed a Maria Immacolata, che i suoi membri fossero catechisti, ecc.

Cesone seguì tutto lo sviluppo dell'opera e fu sempre presente in tutto: dalla prima adunanza, al primo ritiro di Pessinetto, all'esame del primo Regolamento e poi via via fino all'erezione dell'Istituto Secolare, alla fondazione della Casa di Carità, alla morte del Fondatore, per un periodo di oltre 51 anni.

Degli elementi di quella prima leva del 1913 uno solo è rimasto all'Unione Catechisti dopo la morte di Cesone, e tutti gli altri furono portati via dalle vicende della vita o dalla morte.

Anche qui vale la sentenza evangelica, che molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti.

Molti giovani vi entrarono, ma la più parte non perseverò.

E questo accresce il merito di chi fu perseverante.

Fin dai primi passi dell'opera vediamo il piccolo « Gióanin » in posti di responsabilità.

Per sette anni fu presidente generale dell'Istituto Secolare dei Catechisti, e cercò subito di trapiantarlo in tutti i paesi dove sono stabiliti i Fratelli delle Scuole Cristiane, intuendo chiaramente l'importanza decisiva della collaborazione di questi religiosi.

Il tentativo non ebbe successo perché i tempi non erano maturi, ma dimostra la fede di Cesone nei detti di Fra Leopoldo, secondo i quali l'Unione si dovrà sviluppare in tutto il mondo.

Altro atto di fede della stessa natura, e questa volta coronato da successo, fu l'inizio della Casa di Carità Arti e Mestieri, in circostanze difficili e con la cassa vuota, mentre occorreva fare l'acquisto di una Sede.

È vero che la presenza del Fr. Teodoreto era una luce ed una garanzia, ma a patto di aver fede e questa in Cesone era davvero solida.

Trascorso il periodo della sua presidenza rientrò nei ranghi e visse oltre trent'anni nell'ubbidienza: un'ubbidienza precisa e alla lettera, come è raro riscontrare.

Un'attività che non cessò mai nella sua vita fu la propaganda per la Divozione a Gesù Crocifisso, di cui aveva l'incarico nell'Unione, e per la quale organizzò il gruppo degli zelatori e zelatrici, i centri di diffusione in Italia e all'Estero, le giornate del Crocifisso, ecc.

Insieme all'incarico della devozione a Gesù Crocifisso aveva quello ben diverso di Economo.

Un economo spiantato che di sicuro poteva contare quasi solo i debiti e le uscite e che per quadrare il bilancio doveva affidarsi alla Provvidenza come i passerotti.

Si fa presto a parlare di Provvidenza, ma questa non conosce orari né calendari, mentre invece gli impegni hanno scadenze ben precise e chi deve farvi fronte non può sfuggire a molti patemi d'animo.

E Cesone, con il suo temperamento emotivo, ne subì parecchi.

Ma soprattutto Cesone era catechista: gliene aveva comunicata la passione il Fr. Teodoreto.

Dai primi catechismi nella parrocchia di S. Massimo, quando era ancora adolescente, alla classe regolare di catechismo presso la Scuola Serale di via delle Rosine e poi alla Casa di Carità negli ultimi anni, al catechismo per i poveri che, pur invecchiato e malandato di salute, non volle mai abbandonare, in chiesa o in scuola o in locali di fortuna, egli non cessò mai di catechizzare: con semplicità, ma con grande convinzione e fervore.

Del resto tutta la sua vita fu una testimonianza di ciò che insegnava, mai smentita in alcun modo.

La sua perfetta coerenza, la bontà delicata del suo animo semplice e sereno suscitarono attorno a lui una vasta eco di consenso e di simpatie, già visibile durante la sua vita, ma che si manifestò specialmente alla sua morte.

Aveva appena 66 anni, ma il suo capolavoro era ormai terminato e il Signore lo chiamò al premio.

Il suo ricordo non ha ombre: è come l'umile erba del prato che recisa e raccolta altrove non opprime con il suo sacrificio, ma profuma tutta l'aria di fieno.