La cons. religiosa in rapporto all'ufficio sacerdotale di Cristo

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C'è un rapporto tra la consacrazione religiosa e il sacerdozio comune dei fedeli, partecipazione al sacerdozio di Cristo?

Senza dubbio il sacerdozio gerarchico - ministeriale non si contraddistingue rispetto alla consacrazione religiosa.

Lo stato religioso non è qualche cosa che sia riservato esclusivamente o alla vita laicale o alla vita sacerdotale gerarchica.

Il Concilio su questo punto ha operato una significativa precisazione: « Se si riguarda la divina e gerarchica costituzione della Chiesa, un simile stato non è intermedio tra la condizione laicale e la condizione clericale, ma da entrambe le parti alcuni fedeli sono chiamati da Dio a fruire di questo speciale dono nella vita della Chiesa e ad aiutare, ciascuno a suo modo, la sua missione salvifica » ( Lumen Gentium 43 ).

Cade, quindi, la distinzione nella Chiesa: clero, religiosi, fedeli.

La vocazione religiosa si colloca piuttosto nella linea di quei doni che lo Spirito Santo distribuisce in vista del bene dei singoli e conseguentemente di tutta la comunità.

Se però la vita religiosa può astrarre dalla vita sacerdotale ministeriale, in un senso verissimo ( sempre vivo nella tradizione anche se a volte un po' obnubilato ) essa si incentra in un approfondimento del filone sacerdotale: di quel sacerdozio comune a tutti i fedeli che il Concilio ha sottolineato, come caratteristica di tutti i Cristiani in quanto battezzati.

Seguiamo S. Tommaso che mette bene in risalto il nesso che intercorre tra sacerdozio comune e consacrazione religiosa.

L'Aquinate poggia il suo ragionamento sul valore di quella realtà soprannaturale che la tradizione denomina: il carattere: « Il carattere è propriamente un segno con cui una realtà viene insignita per indicare che è ordinata ad un fine: così la moneta viene insignita di un'impronta perché serva per gli scambi.

Orbene, il fedele è deputato a due cose: anzi tutto e principalmente al godimento della visione beatifica e per questo è insignito del sigillo della grazia.

In secondo luogo, ogni fedele è deputato a ricevere o amministrare le cose che si riferiscono al culto di Dio.

A questo è propriamente deputato il carattere sacramentale.

Tutto il culto della religione cristiana deriva dal sacerdozio di Cristo.

Perciò è chiaro che il carattere sacramentale è in modo speciale il carattere di Cristo al cui sacerdozio i fedeli sono configurati secondo i caratteri sacramentali che non sono altro che partecipazione al sacerdozio di Cristo » ( Sum. Th., IlI, 63,3 ).

Questo brano è ricco di insegnamenti.

Il culto, cioè quell'insieme di realtà che hanno lo scopo di onorare, supplicare Dio, ecc. non è qualche cosa di riservato esclusivamente al sacerdozio gerarchico, anche se evidentemente, dato il suo rapporto all'Eucaristia, il sacerdozio gerarchico ottiene un posto tutto particolare ed insostituibile.

Ve però tutta una vita cultuale che merita veramente questo nome che richiede di essere celebrata da un vero e proprio sacerdozio, anche se essenzialmente diverso da quello gerarchico, che è di competenza del semplice fedele.

Il Concilio ha quindi colto bene il segno quando dice: « Tutte, infatti le loro ( dei fedeli ) opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo corporale e spirituale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita, se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo ( 1 Pt 2,5 ); e queste cose nella celebrazione dell'Eucaristia sono piissimamente offerte al Padre insieme all'oblazione del Corpo di Cristo » ( L.G., n. 34 ).

Da notare come il Concilio parli di sacrifici spirituali.

Con la parola « sacrificio » si richiama alla mente il carattere sacerdotale di chi li compie, essendo il sacrificio in strettissimo rapporto con il sacerdozio.

Questo che abbiamo detto, vale di tutti i fedeli.

Seguendo però sempre S. Tommaso possiamo operare un approfondimento di questo sacerdozio comune, nella linea della consacrazione religiosa.

L'Aquinate fa notare che nell'insieme delle virtù ve ne è una che in modo particolare ha come suo campo il culto reso a Dio: la virtù di religione.

Ora, il nome « religioso » si può in un certo senso applicare a tutti i Cristiani per il fatto, come abbiamo visto, che anch'essi sono deputati ad offrire un culto a Dio.

In questo senso, la virtù di religione è la virtù caratteristica del loro sacerdozio.

Nell'ambito però del popolo di Dio vi sono alcuni fedeli che si dedicano totalmente al culto di Dio.

Quindi, è giusto che in modo tutto caratteristica a quest'ultimi sia riservato il nome di religiosi: « Quasi per antonomasia, religiosi sono detti coloro che si votano al culto di Dio totalmente, quasi offrendo a Dio un olocausto » ( Sum. Th., II - II, 186,1 ).

È nella linea del culto che S. Tommaso sviluppa la caratteristica della vita religiosa; e se nella linea del culto, allora, di conseguenza, nella linea del sacerdozio comune.

Si potrebbe obiettare: in quanto Istituto secolare, una tale considerazione è almeno dubbia, date le controversie esistenti, se tali Istituti meritano o no l'appellativo di religiosi.

Alla considerazione esposta se ne può aggiungere un'altra, sempre seguendo S. Tommaso.

Egli fa notare, che per il fatto di avere offerto a Dio i tre voti, gli si è presentato un olocausto.

L'Angelico, sulla scia di S. Gregorio, parte da una considerazione: l'olocausto offre tutto a Dio.

Ora, l'uomo ha un triplice ordine di beni: i beni materiali esterni, che vengono totalmente offerti a Dio tramite il voto di povertà; i beni del proprio corpo, che vengono in modo precipuo offerti a Dio tramite il voto di castità; i beni dell'anima, che vengono offerti a Dio tramite il voto di obbedienza.

Infatti alla volontà appartiene di dominare sulle altre facoltà dell'uomo ( Sum. Th., II - II, 186,7 ).

Indipendentemente, quindi, dalla discussione precedente, resta questo fatto: la consacrazione religiosa e da vedersi sulla linea, del culto.

In essa si raggiunge uno dei vertici della vita culturale: l'olocausto.

Abbiamo notato che S. Tommaso vede il carattere come una partecipazione al sacerdozio di Cristo.

In che cosa consiste questo sacerdozio?

Nell'offrire il culto a Dio, nell'essere mediatori tra Dio e gli uomini.

Nel portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio.

Tutto questo Cristo l'ha compiuto nel corso della sua vita ed in modo particolare nel momento in cui si è offerto al Padre sull'altare della Croce.

In quel momento egli offriva al Padre una soddisfazione sovrabbondante per i peccati di tutto il mondo: portava gli uomini a Dio e meritava su tutti l'abbondanza delle grazie di Dio ed in questo senso portava Dio agli uomini.

Quindi, è nella prospettiva della Croce, come olocausto offerto al Padre, che noi possiamo vedere realizzarsi in modo sublime il sacerdozio di Cristo.

Questo sacrificio ha una sua peculiarità: mentre negli altri riti sacrificali, altro è il sacerdote, altra è la vittima, nella Croce Cristo è insieme sacerdote e ostia.

Ostia, in quanto viene immolato, sacerdote, in quanto volontariamente è egli stesso che si espone alla morte.

Da questo punto di vista, noi vediamo che l'olocausto della consacrazione religiosa si avvicina in modo singolare al sacerdozio di Cristo in quanto in essa colui che si consacra è insieme sacerdote e vittima.

Sacerdote: in quanto egli offre in olocausto a Dio se stesso,vittima, in quanto l'olocausto è rappresentato dalla sua vita stessa.

C'è quindi un legame strettissimo tra la vita consacrata ed il sacerdozio di Cristo.

Questo legame non colloca il sacerdozio del consacrato, in quanto tale, sulla linea del sacerdozio ministeriale, ma il detto: sacerdote - ostia, che la pietà cristiana ha attribuito a quest'ultimo si può, per una non debole analogia, estendere al sacerdozio comune, come si realizza nella consacrazione religiosa.

Da questi semplici principi, possiamo dedurre alcuni corollari.

Se ogni Istituto nella Chiesa ha il suo carisma particolare per cui è « segno » tra gli uomini di Cristo, il fatto provvidenziale che specifica questa Unione a Cristo Crocifisso pone i membri di essa in un rapporto particolare di espressione del sacerdozio comune.

Se, da quanto abbiamo detto, nella Passione la Croce è l'altare e Cristo è insieme sacerdote e vittima, ne segue logicamente che questa spiritualità, incentrata in Cristo Crocifisso, proprio per il suo aspetto particolare può essere definita: una spiritualità sacerdotale ( anche se si tratta per lo più di una forma di sacerdozio ministeriale, ma pur sempre sacerdozio.

Il Concilio, parlando del sacerdozio dei fedeli non ha usato l'espressione: sacerdozio metaforico ).

Il fatto, poi, che questo Istituto sia secolare e quindi voglia mantenere l'aspetto di comunione con il mondo, da una fisionomia particolare al suo sacerdozio.

Il sacerdote, infatti, è colui che compie opera di mediazione tra Dio e il mondo.

Ora, quale può essere l'opera di mediazione dell'Istituto?

La testimonianza di Dio tra gli uomini e la lievitazione cristiana delle opere in cui sono immersi quotidianamente gli uomini?

Se non vado errato, questo mi sembra troppo poco per il fatto che tutto questo può essere già compiuto dal semplice fedele.

C'è spazio per qualche cosa di più che il Concilio applica strettamente ai religiosi ma che, credo, può essere applicato giustamente a tutte le anime consacrate.

Esse devono rendere testimonianza delle « esigenze supreme del Regno di Dio » ( L.G., n. 44 ).

La forza di questa espressione sta nell'aggettivo: supremo.

Con queste il Concilio ha evidentemente voluto sottolineare una certa qual scolarità in questa manifestazione del Regno di Dio il cui vertice supremo è appunto raggiunto dalle anime religiose.

Credo che anche una superficiale analisi del mondo in cui viviamo possa rendere ragione di questo.

Il nostro mondo è ossessionato dal culto della personalità come assoluta manifestazione di libertà; dalla ricerca del benessere, che si concretizza nell'ansia del denaro, come fonte di benessere stesso; da un'ondata di erotismo, come affermazione, forse, non tanto di peccato quanto di innocenza.

Questo infatti è strano nel clima in cui viviamo: la pretesa ( lasciamo da parte, la questione della responsabilità ) di rivivere un'innocenza perduta.

È il tentativo di volere restaurare il regno di Adamo ed Eva, però in un modo che potremmo dire laico ( che sfocia facilmente nel suo senso peggiorativo di anticattolico ).

Di fronte a tutto questo, sta la vita di Cristo.

Egli annientò se stesso, facendosi obbediente sino alla morte, ribadì chiaramente che le ricchezze sono spine che minacciano di soffocare la parola di Dio, visse ed annunciò il mistero della castità per il Regno di Dio.

Evidentemente, ad ogni cristiano compete di annunciare ed essere testimone, almeno in una certa misura, di queste realtà.

Annunciare, però, e testimoniare che queste realtà, proprio con la totalità con cui furono vissute da Cristo, ecco le esigenze supreme, di cui parla il Concilio, possono essere vissute quando si è calati nelle realtà di questo mondo e non ritraendosi da esso, ma restando con esso in intima comunione ( perché appunto la realtà di questo mondo, il secolo, rappresenta la componente essenziale di un Istituto secolare ): ecco il compito di un tipo particolare di consacrazione.

Testimoniare che le realtà di questo mondo non esauriscono il Regno di Dio e che alcune anime vivono in mezzo ad esse una vita che usa le ricchezze e le produce e nello stesso tempo le trascende, vivono a capo di un'officina o di una impresa eppure in ultima analisi la volontà non è quella di un capo ma vincolata ad un superiore liberamente scelto, vivono in una famiglia ma ad essa hanno rinunciato: tutto questo vuol dire che le opere di questo mondo sono ricondotte al disegno finale di Dio da cui sono continuamente sviate a causa del peccato.

Dio, nelle sue esigenze supreme, è reso presente dalla vita consacrata in questo mondo e questo mondo è ricondotto a Dio: opera di mediazione sacerdotale nell'ambito di una particolare consacrazione.

Dopo questi brevi accenni, vorrei fare una precisazione.

Sopra, ho accennato alla dottrina di S. Tommaso che vede la vita religiosa nella linea di una vita di culto.

Come questo può essere vero per quegli Istituti che sono finalizzati dall'apostolato?

Si potrebbero a questo proposito dare delle buone spiegazioni.

Vorrei accennarne ad una che è scaturita dal Concilio.

Parlando, nella presentazione del Decreto sul Ministero e vita sacerdotale, sull'intimo nesso che lega fra loro le varie funzioni sacerdotali, la Commissione teologica fece notare: « Il vero apostolato e la vera adorazione al Padre sono in modo molto intimo congiunti; anzi, in modo indissolubile di modo che i due aspetti non si possono disgiungere.

Lo stesso S. Paolo dichiara che, annunciando il Vangelo, adora Dio: annunciando il Vangelo, eleva un inno di lode al nome di Dio ( Rm 15,16 ) ».

Il testo di S. Paolo è riportato nella sua formulazione come si trova nel testo greco in cui l'aspetto cultuale è più marcato: « Mi è stata concessa la grazia da Dio di essere ministro ( liturgo ) di Gesù Cristo tra le genti, esercitando il sacro ministero del Vangelo di Dio perché le genti diventino un'offerta gradita, santificata nello Spirito Santo ».

Notare le espressioni: ministro, ministero del Vangelo, offerta gradita, santificata, di sapore schiettamente cultuale.

Se questo vale per il sacerdozio propriamente ministeriale, credo che, con le debite proporzioni, si possa anche intendere in modo speciale di quel sacerdozio comune dei fedeli che è approfondito dalla consacrazione religiosa.

P. Marcolino Muraro o.p.