S. Giuseppe lavoratore

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La figura di S. Giuseppe è rimasta nell'ombra per molti secoli e solo nell'epoca moderna ha attirato l'attenzione della cristianità.

È certamente un segno di maturazione della spiritualità cristiana, malgrado le grosse miserie dei nostri tempi.

Ma se S. Giuseppe è emerso tardi sul nostro orizzonte ha però subito brillato come un gran sole, conquistando la simpatia e la devozione dei cristiani di tutto il mondo e di tutte le condizioni.

Ne è un sintomo l'uso del suo nome che, ignorato fino a tutto il Medio-Evo, si è diffuso fra tutte le categorie sociali, compresi i re, e ne è un segno la presenza di un altare a lui dedicato o almeno di una sua immagine in quasi tutte le chiese, oltre che il moltiplicarsi delle Chiese a lui dedicate, del culto speciale a lui prestato da molte famiglie religiose, delle molte iniziative a lui intitolate ecc.

Il Papa Pio IX lo ha proclamato patrono speciale della Chiesa cattolica, invitando i fedeli a implorare da lui la liberazione della Chiesa dai suoi nemici e Pio XII l'ha proposto a modello dei lavoratori, sostituendo la festa del Patrocinio di S. Giuseppe con quella di San Giuseppe Lavoratore, da celebrarsi il 1° maggio, dando cosi, un contenuto cristiano alla celebrazione ormai tradizionale della festa dei lavoratori.

Nella società moderna il lavoro è diventato il coefficiente principale dell'economia e della stessa vita sociale.

L'Italia ( per restare a casa nostra ) è dichiarata nella sua costituzione "una repubblica fondata sul lavoro" e ciò sembra indicare che tutti gli italiani sono per definizione, o dovrebbero essere, dei lavoratori.

In pratica vi è una grossa porzione di cittadini che è chiamata il mondo del lavoro, di cui è difficile stabilire con esattezza i confini perché non ne sono esclusi soltanto i bambini, i vecchi, gli inabili ecc. ma anche altre categorie, secondo criteri estranei al lavoro.

Si tratta di una massa alquanto amorfa, determinata più da argomenti ad hominem che da ragioni valide e facile preda di astuti mestatori politici.

Oggi le masse lavoratrici in quasi tutti i paesi del mondo sono in mano ai comunisti, che nei paesi liberi le illudono e le strumentalizzano e nei paesi comunisti, dove le illusioni, sono cadute, le tiranneggiano duramente.

È incredibile la cecità degli uomini.

Ma a ben osservare, questa cecità e la facilità delle masse popolari ad essere ingannate dipende dall'abbandono della vita cristiana e della fede.

Abbandonato Gesù Cristo sono diventate terre di nessuno e prive di ogni difesa.

Ma il Signore non le ha certo abbandonate e sembra ripetere per bocca del suo Vicario: ho compassione di questo popolo.

Il Papa Paolo VI durante la messa celebrata il 1° maggio u.s. in piazza San Pietro ha rivolto a loro il suo discorso.

Ne riportiamo qui alcuni pensieri: « La nostra voce vuole aprirsi oggi specialmente verso di voi, Lavoratori, che sempre abbiamo avuto presenti nella nostra stima e nel nostro ministero.

Grazie per la vostra presenza, che non è quella di forestieri, ma di fratelli a di figli, per i quali sentiamo … particolare affezione e speciale considerazione … ».

« … come mai si può storicamente e logicamente sostenere che vi sia un'opposizione fra l'esaltazione del concetto del lavoro, quale oggi voi dovete avere nei vostri animi, e il compimento di un atto religioso, altamente qualificato, qual è uno speciale atto di culto al Santo operaio di Nazareth, e unito alla celebrazione del giubileo, proprio di quest'anno santo? sono due atti contrari? si escludono l'un dall'altro?

Ben lo sappiamo che la mentalità, circa il lavoro, diffusa nel mondo moderno, si è affermata spesso come suprema e come esclusiva; ma sappiamo anche, e voi tutti sapete, che codesta mentalità professionale, codesta idealità operativa, cioè il lavoro, tanto è più alta, tanto è più degna, noi aggiungeremo, tanto è più sacra, quanto più si integra nella concezione superiore e globale della vita, nel riconoscimento del primo posto, che nella scala dei valori occupa l'uomo.

L'uomo è primo.

È l'uomo che produce il lavoro; e il lavoro, ch'è lo sforzo per dominare la terra, tende a servire l'uomo.

Se così non fosse, l'uomo ritornerebbe schiavo; e il lavoro segnerebbe al livello materialista la statura, lo sviluppo, la dignità dell'uomo.

Ora se l'uomo, cioè la vita nostra, è il primo valore, noi non possiamo decapitare l'uomo negandogli la sua essenziale proiezione verso la trascendenza; diciamo semplicemente: verso Dio, verso il mistero che tutto sostiene e tutto spiega; sì Dio; che ha fatto dell'uomo un lavoratore, cioè un suo collaboratore ( 1 Cor 2,8 ) ma obbligandolo, dopo la prima fatale caduta a guadagnarsi con sudore, con fatica, il suo pane, cioè il suo nutrimento, il suo perfezionamento, appunto in questo rapporto di forza dell'opera umana con il mondo da conquistare e da ridurre a strumento utilitario e a fonte di vita.

Il lavoro: pena e premio dell'attività umana.

Così che in questa visione superiore, ch'è la vera, il lavoro ha di per sé un altro rapporto, ed è quello essenzialmente religioso; l'hanno ben compreso i monaci medioevali, tuttora maestri di vita, condensando in una felicissima formula lutto il loro programma: "ora et labora", prega e lavora.

Così è, cosi è, fratelli; e perciò questo nostro modo di celebrare il primo maggio non deforma l'aspetto celebrativo del lavoro umano, ma gli conferisce una spiritualità animatrice e redentrice.

Noi dobbiamo comprendere questa parentela tra il lavoro e la religione, una parentela che riflette l'alleanza misteriosa, ma reale e confortante della causalità umana con la provvidenziale e paterna causalità divina.

Finché il mondo del lavoro non saprà affrancarsi dalla suggestione radicalmente materialista ed ombrosamente laicista, dalla quale oggi è quasi allucinato, come se essa soltanto avesse fondamento scientifico e razionale e come se essa costituisse una liberazione, la liberazione di chi cammina senza sapere dove, e rappresentasse la formula obbligata e risolutiva dell'evoluzione sociale contemporanea, solo stimolo efficace e fecondo di civile progresso, noi non avremo una sociologia organica veramente umana, né tanto meno cristiana, ma una pesante convivenza organizzata da complicati ed impersonali ingranaggi economici e legali, non una società veramente libera, naturale e fraterna.

Bisogna ridare le ali, ora spesso mozzate, al lavoratore, affinché riacquisti la sua vera e piena forma umana e la sua nativa levitazione, le ali dello spirito, della fede, della preghiera, gli orizzonti della speranza, della fraternità della giustizia, della comunità e della pace.

Noi conosciamo le cento obiezioni a questo nostro sogno augurale; e prima fra esse quella che accusa la religione di inutilità, anzi di ostacolo al positivo progresso della civiltà.

Nessuno di voi, noi pensiamo, può essere convinto di questo vecchio aforisma: "la religione, oppio del popolo", smentito dalla storia, intendiamo dalla storia animata dal Vangelo; aforisma superato dalla documentazione delle dottrine della Chiesa; tutte impregnate di amore per il popolo, e oggi più che mai testimoniate dall'impegno dei suoi figli e dei suoi santi.

Potremmo, se volessimo polemizzare, ritorcere l'obiezione, chiedendo se l'impiego sistematico dell'odio, della rivolta, della violenza, della lotta contro membri d'una medesima società reclamato da rivendicazioni puramente positiviste, non abbia forse maggiormente ritardato le legittime e auspicate conquiste del mondo del lavoro esecutivo, suscitando contro le sue aspirazioni rigidi antagonismi ed implacabili egoismi.

E potremmo, a questo proposito, ripetere le parole del nostro compianto e venerato Predecessore, Papa Giovanni XXIII, il quale, proprio in un suo discorso di primo maggio, nel 1959, citava parole sue, pubblicate qualche anno prima a Venezia, per scongiurare, egli diceva « il pericolo che penetri nelle menti lo specioso assioma che, per fare la giustizia sociale, per soccorrere i miseri d'ogni categoria …, bisogna assolutamente associarsi coi negatori di Dio e gli oppressori delle libertà umane ».

« Lasciate, Figli carissimi, che noi salutiamo in voi tutto il mondo del lavoro e che lo assicuriamo della nostra affezione e della nostra cristiana amicizia ».

« E per voi, carissimi, e per quanti, Sacerdoti e Laici, vi vogliono bene, e, nel nome di Cristo e dell'umana solidarietà, sono a voi di conforto e di aiuto, oggi innalziamo al Signore la nostra preghiera e imploriamo da Lui, auspice il vostro collega e protettore San Giuseppe, una grande consolatrice benedizione ».