Visita alla Casa di Carità dell'Arcivescovo di Torino

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Il giorno 9 marzo S. E. Mons. Anastaslo Ballestrero si recava in visita alla Casa di Carità Arti e Mestieri.

Accolto da Catechisti, Fratelli, insegnanti e giovani, l'Arcivescovo celebrava la S. Messa per gli Allievi delle due Sedi di Torino e di Grugliasco e rivolgeva la sua parola di animazione.

Seguiva un incontro con i rappresentanti della Casa di Carità: essi esponevano gli orientamenti, le realizzazioni e gli impegni dell'Opera per la evangelizzazione e la promozione umana della gioventù del mondo del lavoro.

L'Arcivescovo seguiva con vivo interesse e attenzione e alla fine rivolgeva la sua parola che riportiamo, traendola dalla registrazione: Vorrei ringraziare dell'occasione che mi è stata data di poter conoscere da vicino questa Casa di Carità, questa istituzione che evidentemente non è soltanto una istituzione che prepara dei lavoratori competenti, dal punto di vista tecnico adeguati alle esigenze del lavoro nel nostro tempo, ma anche prepara nello stesso tempo dei cristiani.

Lo stesso fatto che la Casa di Carità continui a conservare il suo nome senza preoccupazioni, e io di questo vi devo dare atto e mi devo pubblicamente compiacere; lo stesso fatto che vi chiamate per quello che siete: Casa di Carità; è già una garanzia.

Non so quanti avrebbero il coraggio di mettere una etichetta del genere sulla propria istituzione.

Voi questa etichetta ce l'avete messa e ce la conservate.

Io mi auguro che in questo fatto, che vedo un po' emblematico, continui ad essere talmente vivo e talmente profondo nell'istituzione da diventare veramente il valore che la qualifica.

Ho sentito anche dalle varie testimonianze che questo valore dell'Evangelizzazione, dell'incontro con Cristo, della visione cristiana della vita, va di pari passo con la preparazione professionale e mi pare che sia proprio questo di cui abbiamo bisogno.

In pratica quello che si fa qui è un qualcosa che teoricamente si discute in molti ambienti: come associare fede e cultura.

Voi lo fate in una maniera concreta, e sembra anche che sia tanto ovvia e tanto semplice e tanto connaturata all'ambiente, allo stile, alla sensibilità con cui vi muovete ed operate.

Devo compiacermi di tutto questo e vi assicuro che pregherò perché il Signore vi aiuti ad andare avanti; e non solo vi aiuti ad andare avanti, ma vi aiuti anche a dilatare la vostra presenza e, se questa iscrizione Casa della Carità si dovesse moltiplicare, sia benedetto il Signore!

É chiaro che ce n'è bisogno.

Accolgo volentieri la suggestione che qualcuno ha fatto di vedere di collegare in qualche modo tutte le iniziative più o meno simili; ma penso che questo debba avvenire un pochino per esigenza interna di queste iniziative.

Io sono pronto a dare tutto l'appoggio e tutto l'incoraggiamento necessario, però direi: cercate di muovervi anche in questo senso.

Già più di una volta, parlando della scuola cattolica, ho avuto occasione di dire che bisogna che la scuola diventi un fatto pastorale veramente unitario e bisogna che diventi un fatto pastorale adeguandosi al servizio per le situazioni concrete del nostro mondo, oggi.

Ed è chiaro che i tipi di scuola come la vostra, oggi, devono essere privilegiati, sia perché viviamo in un tipo di società che esige soprattutto questo tipo di scuola che si apre più spontaneamente e più facilmente alle categorie più comuni e più semplici della nostra società.

Questo mondo di lavoratori, di operai che hanno bisogno di essere sempre meglio preparati, anche per essere sempre meno masse più o meno manovrate e diventare sempre più dei cristiani consapevoli, dei lavoratori che hanno la testa per vedere, per giudicare, valutare, decidere, fare scelte.

Io mi auguro che questo invito alla riflessione della scuola come realtà pastorale della nostra comunità, possa avere sviluppi soprattutto per iniziativa degli operatori scolastici.

Posso assicurare che all'Ufficio Scuola diocesano ho già fatto riflessioni di questo genere; e un problema sarà quello di muovere una realtà scolastica che ha le sue tradizioni, ha i suoi pesi, ha i suoi condizionamenti, che pure bisogna avere la speranza di superare per mettersi in sintonia con un mondo che è quello che è e nel quale la Provvidenza ci mette per essere, poiché siamo cristiani, fermento, per essere speranza.

Però vorrei ancora dire una cosa prima di lasciarvi.

A me fa impressione che Fratel Teodoreto, che ho conosciuto fra l'altro, allora abbia scelto per i suoi figli e per i suoi collaboratori per portare avanti questo discorso una indicazione, una nomenclatura che è quanto meno singolare: i Catechisti, i Catechisti.

Ora vorrei sottolineare un fatto che ritengo una delle ragioni per cui questa Casa di Carità è benedetta dal Signore, è feconda di frutti.

É certo sì la Carità, perché la Carità è il fondamento del Cristianesimo, ma è anche un'animazione catechistica, una sensibilità di evangelizzazione particolarmente viva.

Io mi domando se questo nome, questo appellativo, non possa diventare ispiratore per riflettere che cosa si possa fare o che cosa si debba fare perché l'evangelizzazione trovi anche le espressioni adeguate ai momenti nei quali viviamo.

Perché dai tempi di Fratel Teodoreto ad oggi il mutamento della società è stato enorme, e oggi noi dobbiamo evangelizzare, dobbiamo catechizzare, dobbiamo essere catechizzati, dobbiamo evangelizzarci, lasciarci evangelizzare e, nello stesso tempo, diventare portatori di Vangelo, di Catechesi in condizioni estremamente diverse.

É stato fatto un cenno ad un processo di dissacrazione ed è vero e sappiamo quanto è vero, di secolarizzazione, di laicizzazione, però il cristiano non può fare a meno di rendere testimonianza al Vangelo.

Sono problematiche che io penso che sentiate anche voi, che è giusto che sentiamo assieme e che ci trovi disponibili, attenti e disposti a tutti quegli approfondimenti, a quelle esperienze, a quelle iniziative che permettono davvero di poter dire quello che purtroppo non è: che il mondo del lavoro è evangelizzato ed è catechizzato.

In fondo io amo sperare che questa Casa produca non soltanto dei lavoratori cristiani, ma produca anche degli apostoli del Vangelo.

Gli stessi lavoratori che si rendono conto che non si è cristiani se non si rende testimonianza e se non si annuncia il Vangelo che ispira la propria vita.

Tutti noi abbiamo ricevuto il dono della fede e ne benediciamo il Signore, ma dobbiamo sempre più prendere coscienza che questo dono non ci è stato dato perché lo mettiamo in cassaforte, ma ci è stato dato perché lo partecipiamo e nessuna fede è più autentica della fede partecipata.

In questo ci aiuti il Signore.

Per questo, mentre ringraziamo il Signore per tutto quello che ha concesso di fare a questa Casa di Carità e a tutti coloro che vi operano con tanta fedeltà e con tanto impegno da sempre, supplichiamo il Signore che dilati l'influenza di questa casa e ne faccia uno di quei segni che possono accrescere la speranza della nostra città e della nostra comunità cristiana.

Prima di lasciare la Casa di Carità l'Arcivescovo scriveva sull'album il seguente augurio: Visitando la Casa di Carità Arti e Mestieri fondata dal venerato Fratel Teodoreto, benedico il Signore per il bene prezioso che qui si fa e ne auspico l'incremento sempre più adeguato alle necessità della nostra società.

Che il Signore sostenga con la sua grazia la fatica e la generosità di quanti vi dedicano la vocazione e le vita!

9 marzo 1979

Anastasio A. Ballestrero arcivescovo