« Lazzaro rivive »

B239-A7

Spunta l'alba di un nuovo mattino.

Le prime luci dell'alba scoprono un'ombra accanto al muro che separa dal lebbrosario di Acworth.

Via via i contorni si fanno più nitidi e rivelano la figura di un uomo, un lebbroso prostrato in preghiera.

La notte si è fusa con la sua notte, nel buio di una lunga prova.

L'espressione del suo volto scarno rivela un cumulo di amarezze.

Bombay è la capitale della lebbra.

Ci sono 10.000 lebbrosi ufficialmente schedati, ma chi visita questa città comprende subito che questa cifra è di molto inferiore a quella dei malati effettivi.

Gli individui colpiti da questo morbo sono quasi sempre abbandonati a se stessi, rifiutati dai loro cari, costretti spesso a vivere di elemosina ai bordi delle strade, osservali con sospetto e paura.

Nel lebbrosario di Acworth sono ricoverati ben 800 lebbrosi fra uomini, donne e bambini.

Sono i più fortunati perché altre migliaia sono raggomitolati sui marciapiedi delle strade adiacenti ed aspettano, con pazienza e con un profondo senso di dignità, che qualche loro fratello muoia per poterne occupare il posto.

Proprio alcuni secondi prima di varcare le soglie di quel luogo di dolore, assisto ad una scena che mi fa riflettere.

Un fanciullo porge, con garbo, ad un lebbroso, i cui arti sono ormai ridotti ad informi moncherini, una piccola pentola di alluminio, affinché questi, accostando le labbra, anch'esse corrose dal terribile male, possa dissetarsi.

Penso a quella frase del Vangelo « … chi avrà dato da bere anche solo un bicchiere d'acqua ad uno solo di questi piccoli … ».

Sarò capace io, di compiere un simile gesto nei confronti di questi miei fratelli che ora vado ad incontrare?

Mi coglie un profondo senso di ripugnanza che mi sforzo di vincere.

Visito dapprima un reparto riservato alle donne.

È fatica riuscire a sorridere in un lebbrosario per un europeo!

Passo fra i letti ordinati, puliti, di questo immenso stanzone nel cui interno sono disposte delle corde alle quali sono appese ad asciugare le lenzuola, le bende, i poveri indumenti di queste ancor più povere creature.

Al mio passare i malati mi salutano alla maniera indiana congiungendo le mani, ma che dico, i moncherini, spesso pudicamente nascosti sotto il loro sari e chinando il capo.

Avvicino una donna che sembra volermi mostrare con ansia la coroncina del Rosario appesa al proprio collo.

Mi sussurra qualcosa che non riesco a comprendere e mi fa intendere che pregherà per me.

A fatica trattengo le lacrime e riesco ad abbracciarla nascondendo i miei occhi lucidi fra i suoi capelli neri.

Il tempo corre veloce e passiamo a visitare un grande reparto riservato agli uomini.

È una visione orrenda, straziante, che supera ogni immaginazione.

La maggior parte dei ricoverati è priva delle dita delle mani e dei piedi.

Alcuni sono seduti su di un asse rudimentale, munito di quattro rotelle, che i salesiani di Bombay hanno fatto appositamente costruire per loro, in modo che qualche compagno pietoso possa trascinare da un luogo ad un altro dello stesso lebbrosario, il compagno più sventurato.

Osservo con infinita tristezza un malato ormai completamente cieco il cui corpo è ora ridotto quasi ad un tronco inanimato.

Il terribile male ha raggiunto il culmine lacerando quella sua povera pelle raggrinzita con ulcere fetide e purulente fra le quali posso addirittura, in taluni punti, vedere le ossa.

Le palpebre dei suoi occhi sono aperte ed il suo sguardo impietrito è rivolto verso il soffitto del grande stanzone.

Accarezzo la sua fronte con un senso di profonda pietà, ma il pover uomo rimane insensibile.

Mi si dice che quasi certamente morirà prima del tramonto.

Sento tutto il peso dell'umana indifferenza verso questi poveretti per i quali potremmo fare molto noi, popoli dal benessere facile, se avessimo solo il coraggio di chiedere, con decisione, ai nostri governanti, di convertire in denaro da destinare alle cure di questi miserabili il controvalore di un caccia-bombardiere o di un sommergibile atomico!

La lebbra è la tragedia e l'infamia più grande del nostro secolo, perché potrebbe essere curala e debellata!

Per la cura di un malato occorrono tre pastiglie di solfoni al giorno, associate ad aspirina ed a vitamine.

Il costo di una pastiglia è di una lira!

Orbene, a Bombay, nella capitale della lebbra, si sta programmando la costruzione di un grande villaggio per questi poveretti con ospedale, dispensario, sale di riabilitazione, una casa per le « Suore del Sorriso » e centinaia di casette, una per ciascuna famigliola, con un piccolo giardino dove possano coltivare ortaggi, frutta, allevare polli, maialini.

Il villaggio si chiamerà « Risurrezione ».

Per assicurare ai lebbrosi in grado di lavorare e ai loro figli una professione capace di renderli autosufficienti, si cercherà di realizzare laboratori di taglio, cucito, ricamo, tessitura, dattilografia, ecc.

Il costo complessivo dell'opera si aggira sugli 800 milioni di lire.

Madre Teresa di Calcutta, parlando di questo progetto, diceva: « Il Signore vi aiuterà e benedirà: un villaggio autonomo per lebbrosi è l'opera di più squisita carità per questi nostri fratelli sofferenti, i prediletti di Gesù!

Oltre al vitto e alla casa essi avranno l'amore: è questa la più grande privazione cui sono condannati ».

Giancarlo Giustacchini


Chi intendesse far pervenire offerte per il Villaggio « Risurrezione » potrà utilizzare il c.c.p. n. 515007 intestato a Don Aurelio Maschio - Via della Pisana 1111 - 00163 Roma indicando nella causale « Villaggio Lebbrosi Risurrezione ».

Per chi intendesse comunicare direttamente con Don Aurelio Maschio, l'indirizzo è: « Don Aurelio Maschio - Don Bosco - Matunga Bombay 19DD - India ».

Per chi intendesse scrivere alle « Suore del Sorriso » potrà indirizzare - utilizzando la sola lingua inglese - a: « Society of Helpers of Mary - Shraddha Vihar - Veera Desai Road - Andheri Bombay 4000058 - India ».