Convegno ecclesiale di Verona

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Lavoro e festa Contenuti degli ambiti

Analisi

L'osservazione preliminare, che costituisce la chiave di lettura più ricorrente, è che tra il lavoro e la festa non ci sia dicotomia, essendo modi diversi di vivere la stessa condizione umana.

Tale persuasione lascia intendere che la prospettiva privilegiata sia quella antropologica, che è sottoposta a una continua fibrillazione a causa dei cambiamenti emergenti nel contesto economico e sociale.

Il lavoro nell'epoca postindustriale e globale

Il primo dato, pressoché condiviso da tutti, è il profondo cambiamento della categoria - lavoro all'interno di quel più vasto processo di globalizzazione che ha prodotto - come a cascata - fenomeni inediti quali: la delocalizzazione delle imprese, che hanno così perduto un riferimento significativo al territorio; la concorrenza che induce a riassetti aziendali che poco tengono conto della variabile umana, e da cui consegue la crisi occupazionale che ha investito larghi strati della società, minandone fiducia e serenità.

Naturalmente in base alle diverse aree geografiche del Paese le rilevazioni si diversificano: se al nord - ad esempio - l'obiettivo di una piena occupazione è più facilmente centrato, al sud, invece, la piaga endemica della disoccupazione va aggravandosi e diventa terreno di coltura di fenomeni malavitosi, a tutti noti.

L'impressione di fondo è che lo sviluppo abbia anche da noi una connotazione esclusivamente economicistica e poco tenga in considerazione le ricadute in termini di costi umani.

Non sorprende che si allarghino a macchia d'olio le famiglie e le persone considerate « superflue », ma anche fenomeni di segno opposto, per cui il supersviluppo degenera in violenza, droga e criminalità.

Accanto a questo scenario postindustriale, sopravvivono sacche di economia legate al mondo dell'agricoltura e dell'artigianato che tentano di riorganizzarsi per entrare nel mercato globale, ma salvaguardando le proprie peculiarità.

Chiesa e lavoro: un'attenzione che deve crescere

Il secondo dato che emerge è la scarsa attenzione della comunità cristiana al mondo del lavoro: le parrocchie sono generalmente disattente o peggio sorde ai problemi e alle sfide che provengono da fuori, quasi che si tratti di un'altra dimensione.

Scarso rilievo, ad esempio, hanno gli incidenti sul lavoro o le crisi occupazionali nella dinamica quotidiana di una comunità, a conferma di un'equivoca separatezza tra sfera spirituale e sfera materiale, che risulta essere solo l'ennesima variante della frattura tra Vangelo e cultura.

E la riprova di un deficit teologico nella concezione del lavoro, di cui sfugge normalmente la portata spirituale e insieme il valore creativo.

Sta di fatto che la sensibilità media intorno all'etica sociale è piuttosto ridotta.

Legata a questa carenza c'è evidentemente la questione del laicato che - fatta eccezione per alcune avanguardie - fatica a essere alfabetizzato socialmente e sottovaluta l'incidenza della fede nella lettura del fatto economico.

Si finisce così per andare a rimorchio di una mentalità per un verso priva di suggestioni ideologiche ormai tramontate e per altro verso ormai succube di un unico criterio valido e immodificabile: la presunta oggettività dell'economia, cioè, in altre parole, il profitto.

Resterebbe invece da inserire in questa valutazione un altro parametro di ordine non più solo quantitativo, ma qualitativo che è la dignità dell'uomo e il bene comune.

La domenica, questione decisiva

L'accelerazione dei processi economici e dei ritmi lavorativi fa emergere con più forza l'esigenza di ritrovare nell'alternanza con la festa la possibilità di una cesura che ripristini un ritmo umano e faciliti l'incontro con se stessi, con gli altri e con Dio.

Si tratta qui di ritrovare un rapporto di armonia non solo con lo spazio, ma anche con il tempo, cosa che è avvertita da tutti come prioritaria.

La sconfitta più grave della cultura contemporanea è d'altra parte l'incapacità di pensare il tempo libero come sottratto al dominio del mercato e del denaro.

Per questo, tutti i contributi vedono nella domenica una questione decisiva per sottrarre la festa a un vissuto individualistico ed edonistico, che rischia di ridurla all'ennesima occasione di consumo.

Al contrario, la domenica rappresenta il tempo propizio per tessere nuovi legami liberi e maturi, all'insegna della gratuità che preserva la gioia e dona il riposo.

Di qui la persuasione diffusa che la domenica ben più che un precetto sia una testimonianza necessaria per evitare una disumanizzazione prima ancora che la secolarizzazione.

Infatti non è sufficiente riposare soltanto nel senso di non lavorare.

All'uomo è chiesto invece di trovare ulteriori significati nei quali consiste la sua identità relazionale, pena la sua riduzione a soggetto di produzione e di consumo, ossia il prevalere dell'avere sull'essere.

Per molto consumare infatti occorre molto lavorare, e di conseguenza la serie dei legami tende paurosamente ad allentarsi.

Nella visione cristiana, la forza della domenica si irradia poi per tutta la settimana, essendo, non a caso, il « primo » giorno e non certo l'ultimo.

Il che sta a significare che il dono del tempo festivo invade tutto il tempo settimanale: da allora ogni giorno è il giorno del Signore!

In tal modo tra la festa e il lavoro si definisce una sorta di reciproco contatto, nel tentativo sempre in divenire di vivere il lavoro come un cooperare all'opera creatrice di Dio e un riconoscerei come fratelli e sorelle nel comune sforzo di migliorare il mondo e l'umanità.

Nodi problematici

Tra i nodi scoperti dell'attuale congiuntura economico - sociale, alcuni ritornano puntualmente, sotto ogni latitudine.

Anzitutto la crescente precarietà: da più parti si sottolinea che la flessibilità, pur necessaria per stare dentro ai nuovi processi economici, non deve diventare un'insicurezza permanente che impedisce qualsiasi progetto di vita e disaggrega la persona e le persone tra di loro.

Per i giovani questo significa un ritardo nell'inserimento attivo dentro il ciclo produttivo e la tentazione di ripiegare pigramente in evasioni e illusioni.

C'è poi la necessità di conciliare i tempi di lavoro e i tempi di vita, cioè l'esigenza crescente di armonizzare le esigenze del lavoro con quelle della vita familiare.

Soprattutto le donne e in generale le famiglie con bambini piccoli faticano a trovare una loro modalità accettabile.

In particolare le trasformazioni che la tecnologia impone causano orari scombussolati, che rendono difficili i rapporti familiari.

Si ha poco tempo condiviso e la casa si trasforma in centro di riposo multifunzionale.

Un terzo punto di crisi è rappresentato dalla politica di sviluppo territoriale, che nel nostro Paese significa essenzialmente il Mezzogiorno.

Se è evidente che « solo dal sud può germogliare lo sviluppo di un nuovo sud », questo non vuol dire che il sud possa essere lasciato a se stesso, abbandonato al suo destino e alla mancanza di una qualsiasi scelta politica coerente e impegnativa per tutta la comunità nazionale.

L'ultima zona di criticità è quella del lavoro degli immigrati.

È sotto gli occhi di tutti che la componente del lavoro immigrato è consistente in taluni settori ritenuti poco appetibili dai nostri connazionali e talvolta anche in ambiti a più alto contenuto di cura: ad esempio badanti e assistenti per anziani.

Al di là della necessità di una maggiore inclusione sociale ed economica, si pone qui un delicato passaggio di ordine culturale che deve portare al rispetto delle diversità all'interno del rispetto della nostra civiltà.

Segni di speranza

Non mancano fortunatamente segnali di speranza che si vanno moltiplicando.

Non vi è dubbio infatti che la lezione conciliare della Gaudium et spes, sia pure ancora in modo sotterraneo, stia provocando una più avvertita consapevolezza del legame tra giustizia sociale e orizzonte cristiano.

Il che spinge a ribadire con forza la necessità dell'etica e dell'educazione alla legalità nel lavoro e a proporre con coraggio, ad esempio, il concetto di equa distribuzione degli utili, soprattutto nelle aziende gestite da credenti.

Si fa strada così la riscoperta della valenza sociale e personale del lavoro attraverso frequenti esperienze che nascono nel mondo del volontariato.

Le cooperative sociali ad esempio fanno toccare con mano una diversa qualità del lavoro, una remunerazione altra rispetto a quella del mercato, una più accentuata cura delle relazioni e una possibile condivisione dei rischi e dei successi dell'impresa.

In quasi tutte le Diocesi esistono di fatto tali realtà ed esperienze del terzo settore senza fini di lucro, che danno risposte concrete di lavoro con particolare attenzione ai soggetti deboli.

Un accenno particolare va fatto alle imprese lavorative no - profit, sorte nei luoghi vessati dalla mafia, alle cooperative che hanno favorito il recupero di ex carcerati e di ex detenuti, all'attuazione del progetto Policoro.

In alcune Diocesi poi sono sorte alcune esperienze « pilota » che nascono dall'esigenza di « educare i giovani » a non cercare più il « posto » di lavoro, ma a cercare e « inventarsi » il lavoro, puntando più risolutamente nella direzione cooperativistica.

Frequenti sono pure le esperienze di microcredito volte ad affrontare situazioni difficili, e in generale le Caritas diocesane si fanno carico anche di problemi puntuali come sbloccare vertenze od offrire una risposta immediata a disagi sociali, derivanti dalla disoccupazione, dalla sottoccupazione e dallo sfruttamento delle persone provenienti da altri paesi.

Nascono pure forme di economia di comunione, di aziende e di banche etiche.

Così come cresce l'educazione al consumo critico, diffondendosi il « mercato equo e solidale » e le forme di acquisti collettivi.

Anche sul versante del rapporto tra lavoro e festa si va nella direzione auspicata di rigenerare il quotidiano attraverso il festivo, facendo della domenica una « sosta » per recuperare il senso e l'orientamento.

Per questo « il giorno del Signore », che è pure « il giorno dell'uomo », è interpretato sempre più come una grande risorsa di spiritualità e di convivialità, che chiede di essere vissuta all'interno delle parrocchie come un'opportunità unica.

Di qui un diffuso investimento perché le celebrazioni eucaristiche siano di qualità e suscitino una reale partecipazione dell'assemblea, magari anche riducendone eventualmente il numero.

Soprattutto facendo sì che l'Eucaristia sia il perno di una giornata « alternativa », rispetto al disorientamento e all'individualismo quotidiani.

Si diffondono così pure esperienze - una volta al mese - in cui si condivide l'intera giornata di festa: dalla messa al pranzo, dai giochi all'incontro delle famiglie; appunto per ritrovare un sapore più genuino della festa e alcune dimensioni disattese: la bellezza, la gratuità, l'arte e la poesia, lo stupore, il piacere di stare con gli altri.

Un altro sforzo apprezzabile è il tentativo di integrare la ricca tradizione italiana di feste popolari a sfondo religioso, che costellano l'anno, attraverso una rigorosa riscoperta del loro genuino significato e farne così un'occasione di coesione sociale e di identificazione collettiva.

Non mancano, infine, tentativi per integrare la festa e alcune realtà che la intersecano dentro nuovi scenari.

Ad esempio il turismo, lo sport, il lavoro necessario in alcuni ambiti essenziali della vita sociale e ancora il lavoro degli extracomunitari, che introduce il tema della « mobilità » della festa.

Consapevoli che « il sabato è per l'uomo » i contributi concordano nel difendere il valore anche umano della festa settimanale, dialogando coi sindacati dei lavoratori e con le istituzioni locali e mirando almeno a turni lavorativi che tutelino per tutti la possibilità di vivere la festa dedicando tempo a se stessi, alla famiglia e alla comunità di cui si fa parte.

Prospettive e proposte

Dalla riflessione congiunta sul lavoro e sulla festa emerge da più parti una ricca gamma di intuizioni e, di conseguenza, una serie di iniziative possibili.

In particolare, due consistenti spunti meritano di essere ripresi: non solo perché largamente attestati, ma soprattutto perché da tutti riconosciuti adatti a incidere positivamente sulla trasmissione della speranza.

Il primo è la riscoperta dell'etica sociale per formare coscienze adulte nell'esperienza cristiana, il secondo è la domenica, da cui dipende non solo la fede, ma anche la salvaguardia dell'umano.

La riscoperta dell'etica sociale

Per rispondere alla duplice istanza dei bisogni e delle capacità degli adulti, un autentico processo educativo cristiano deve condurre a un necessario discernimento sociale, alla conoscenza di prima mano delle questioni eticamente sensibili, al corretto rapporto tra azione temporale ed ecclesiale, all'assunzione di responsabilità nella Chiesa e nella società.

In ordine a questi compiti la dottrina sociale della Chiesa costituisce parte integrale della formazione, così come di recente confermato dalla pubblicazione del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, secondo il quale per rendere la società più umana occorre rivalutare l'amore nella vita sociale - a livello politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema dell'agire.

A livello contenutistico - si fa osservare - la maggior parte delle proposte fa riferimento alla funzione liturgica e a quella kerigmatica, mentre sono poche quelle che si riferiscono alla diaconia.

A livello metodologico, poi, si registra il prevalere dei modelli dell'istruzione e dell'iniziazione, mentre sono poco diffuse le metodologie che mirano a formare il credente attraverso qualificate esperienze di vita cristiana.

In quest'orizzonte si inserisce un'altra intuizione relativa alla formazione sociale che, nonostante la sua obiettiva rilevanza, per secoli si è svolta essenzialmente nel rimando al quarto e al settimo precetto del decalogo, intorno ai temi dell'obbedienza all'autorità e del possesso dei beni materiali.

L'educazione degli adulti, dopo la lezione conciliare ( Lumen gentium 31-38 ), non può che far emergere l'indole secolare dei laici, promuovendo così la maturazione di un'autentica personalità cristiana.

Non si tratta - è sottolineato in più contributi - di creare semplicemente dei professionisti della politica o dell'economia, ma di attrezzare gli adulti a vivere in pienezza la loro condizione di cristiani e di cittadini, consolidando le risorse interiori della coscienza per vivere in sintesi coerente la vocazione cristiana e l'impegno storico - sociale.

La scelta di investire energie in questo ambito della coscienza cristiana produrrebbe - stando a numerosi contributi - rilevanti conseguenze: la riscoperta della propria professione come vocazione e il recupero di uno sguardo antropologico che non ceda alle pressioni di visioni anguste.

Quanto alla prima conseguenza, non vi è dubbio che, in forza del suo carattere essenzialmente sociale, il lavoro realizzi una forma di responsabilità che fa di ognuno un custode dell'altro.

Chi lavora insomma è chiamato a vedere nell'altro una persona, la cui vita dipende anche dalla sua sollecitudine.

A questo proposito emerge un compito pedagogico da assolvere: il credente deve essere educato a percepire il carattere oggettivo della professione come compito ineludibile e ad accettare responsabilmente il proprio lavoro come strumento con cui contribuire al benessere della comunità umana.

In una cultura del lavoro che enfatizza le motivazioni individualistiche e opportunistiche è indispensabile educare alla funzione sociale della professione, luogo di vera realizzazione se vissuta in una visione solidale dell'impegno lavorativo.

Quanto all'approccio antropologico, non è difficile intuire la sua portata strategica in ordine alla formazione di una coscienza matura e adulta nella fede.

Le attuali sfide dell'evoluzione tecnologica, della globalizzazione, della frammentazione e diversificazione della realtà lavorativa, sollevano domande di senso che possono avere soluzione solo in una corretta prospettiva antropologica.

Questo approccio, però, non può limitarsi a riconoscere il ruolo determinante del lavoro nell'edificazione della persona e stimolare l'impegno per le condizioni che ne rendono etico l'esercizio.

Esso chiede di considerare anche le ricadute culturali e spirituali prodotte dall'organizzazione del lavoro sulla formazione della persona, sulla vita familiare e sul rapporto sociale.

Se le « circostanze » plasmano l'uomo, al punto di parlare oggi di una mutazione antropologica, occorre aver cura di plasmare umanamente simili « circostanze », non avendo paura di prendere in esame anche eventuali « strutture di peccato » ( specie per quel che riguarda i bassi salari, le tutele sindacali e democratiche, lo sfruttamento del lavoro minorile e femminile, l'abbattimento delle barriere di qualsiasi genere: fisiche, culturali, sessuali, religiose ).

Non basta evidentemente la denuncia di tali peccati, se non segue la determinazione ferma e perseverante di farsene carico.

In concreto si suggerisce una serie di modalità da realizzare o perfezionare:

- la ripresa delle scuole di formazione all'impegno sociale e politico, dopo la prima stagione degli entusiasmi e dell'emergenza, è ritenuta una necessità in ordine alla formazione dei laici;

- gli incontri con cattolici impegnati in diversi schieramenti partitici ( si cita frequentemente RetInOpera come modello ) sembrano in molti contributi un'esigenza non rinviabile per garantire necessaria convergenza su quelli che sono i valori non negoziabili e insieme rispetto del legittimo pluralismo partitico;

- la cura per i politici eletti perché non si sentano abbandonati dalla comunità cristiana di provenienza è avvertita come un bisogno diffuso;

- gli incontri misti tra datori di lavoro e lavoratori sembrano una risposta a un clima di dialogo e di concertazione, pur nella chiarezza dei ruoli e della dialettica sociale, che mai deve trasformarsi in lotta di classe o in pressione di gruppi di potere;

- l'attenzione al fenomeno dell'immigrazione, che in certe regioni sta modificando il quadro umano, culturale e religioso non è più un optional, ma una vera emergenza culturale ed educativa;

- la crescita del terzo settore e la resistenza verso leggi e situazioni che lo considerano solo come mero strumento di supplenza a carenze pubbliche viene vista come un necessario momento di crescita nel complesso quadro delle attività produttive;

- l'incentivazione delle cooperative sociali è vista come una possibilità di superare una logica individualistica e di assumere una compiuta prospettiva solidale;

- la vigilanza sulla responsabilità sociale dell'impresa con i cosiddetti bilanci di giustizia attiva un circolo virtuoso di corresponsabilità sociale;

- la ricerca di nuove modalità contrattuali, che superino le rigidità presenti, spinge per non trasformare la necessaria flessibilità in una precarietà insopportabile;

- una maggiore attenzione alla donna che lavora e all'immigrato che fatica a essere incluso socialmente ed economicamente rappresentano due obiettivi elementari di una moderna politica del lavoro e non la fissazione di qualche suggestione femminista o terzomondista;

- la creazione in parrocchia di una struttura ben organizzata che si occupi delle problematiche del lavoro, della disoccupazione, delle difficoltà del lavoro per gli immigrati e i relativi problemi di soggiorno è ritenuta un'opportunità;

- la promozione di iniziative per far conoscere il no - profit e la cooperazione è considerata un'ottima occasione per far crescere la sensibilità sociale;

- la promozione, in ambito diocesano, di una collaborazione tra tutte le realtà ecclesiali che si occupano di problematiche inerenti al lavoro, alla famiglia, ai giovani è ritenuta strategica per elaborare azioni concrete nel territorio.

L'obiettivo ultimo è quello di dare speranza nella società, non limitandosi a denunciare, ma indicando piste concrete e praticabili.

Ritrovare il valore della domenica per umanizzare il tempo

La seconda area strategica vuole approfondire il senso teologico e ancor prima antropologico della domenica, che resta la questione con cui sta o cade la fede nella sua appartenenza visibile e che rende possibile l'umanizzazione del tempo, sottratto alla deriva del produrre in vista del puro e semplice consumare.

La festa deve mirare a rigenerare l'uomo fisicamente e psicologicamente, ma soprattutto spiritualmente.

È a questo livello di profondità che egli sperimenta la sua vera identità che non si accontenta « di solo pane », ma sa scorgere dietro i bisogni primari desideri sconfinati.

Alla comunità cristiana spetta il compito di invertire la rotta di una festa deprivata del suo autentico spirito, puntando decisamente sul valore inestimabile dell'Eucaristia domenicale.

Non come fosse un appuntamento stanco e ripetitivo, ma come una scuola della gratuità e del dono.

Ciò richiede però un investimento deciso in direzione di una modalità celebrativa più gioiosa e capace di trasmettere un'appartenenza ecclesiale profonda e partecipata, con un linguaggio consono ai tempi e rispettoso del ritmo liturgico, sensibilizzando specie le famiglie a scelte e gesti che qualifichino il vissuto domenicale nella linea di una maggiore attenzione ai poveri, ai malati, agli emarginati, alla cura per le relazioni che rigenera affettivamente ed effettivamente.

Molte riflessioni convergono sul fatto che mai come oggi è chiesta alla Chiesa la carità di armonizzare i tempi di vita della gente attraverso il dono della domenica.

Facendo attenzione - vista la pratica festiva ancora in caduta libera - a non ghettizzarsi e invece trasformando lo spazio ecclesiale in un tempo libero, in cui ritrovare il gusto dell'ascolto e dell'incontro, riassaporare la possibilità del silenzio e della convivialità, fare propria un'intensa esperienza di Dio, pur dentro un contesto comunitario e non solipsistico.

Tutto questo non sarà possibile senza un'opera paziente di rieducazione che parta dal vissuto della gente, ormai incapace di sperimentare un tempo liberato dall'ossessione del lavoro o, per converso, dall'evasione facile e anestetizzante.

Soprattutto una scelta - condivisa da molti - si impone: fare della domenica il giorno della comunità, in cui i vari carismi vengono a intrecciarsi per la gioia e la vita di tutti.

Ai presbiteri è chiesto di essere delle guide accoglienti e autorevoli e ai laici di sperimentare una ministerialità più diffusa.

In concreto si suggeriscono diverse iniziative, di differente consistenza:

- ridurre il numero delle messe festive, puntando a celebrazioni più qualificate in cui dal Presidente ( soprattutto l'omelia ) all'assemblea ( canti e lettori ) ci sia un'actuosa participatio.

Quanto alla festa, occorrerà fare un'opera di ricentramento sul Risorto, quale cuore della vita del battezzato affinché si comprenda che chi è unito a Cristo non può vivere la festa « come se Dio non esistesse ».

Anche in questo campo, senza « ghettizzarsi » in feste loro riservate, i cristiani dovranno fare della festa domenicale incentrata attorno alla celebrazione dell'Eucaristia un grande appuntamento attraente anche per gli altri, soprattutto giovani, perché capace di dire loro quanto altri momenti di festa vuoti e tanto spesso effimeri non sono in grado di dire;

- aiutare soprattutto i giovani e le famiglie a riscoprire il valore del tempo: dal tempo della domenica, pasqua settimanale, discende il senso originario del tempo feriale, tempo del lavoro e della responsabilità;

- proporre e realizzare le domeniche « a tempo pieno », almeno una volta al mese, all'insegna della spiritualità e della convivialità per presentare la festa come condivisione di vita che parte dalla celebrazione liturgica, ma si prolunga nell'amicizia, nel pranzo, nel divertimento per piccoli e grandi;

- valorizzare le feste popolari e patronali come momento di incontro e di condivisione, superando eventuali stratificazioni di dubbio valore religioso, ma senza disperdere un ricco patrimonio che intercetta il bisogno dell'uomo postmoderno di trovare luoghi e momenti di identificazione;

- riscoprire il pellegrinaggio e l'esodo spirituale verso i santuari come contesti particolarmente adatti a evocare un'esperienza di trascendenza;

- utilizzare i locali parrocchiali nei giorni di festa per la socializzazione delle famiglie e per giornate formative di gruppi o di categorie particolari;

- astenersi dalle spese nei giorni festivi, come forma di disobbedienza civile.

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