Pastor bonus

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Allegato II

I collaboratori della sede apostolica come costituenti una comunità di lavoro, di cui agli articoli 33-36

1 La caratteristica saliente, che ha improntato la revisione della costituzione apostolica Regimini ecclesiae universae per adeguarla alle esigenze emerse negli anni seguenti alla sua promulgazione, è stata il mettere nel giusto rilievo la fisionomia pastorale della curia romana, e l'indole specifica vista in questa luce, delle attività che gravitano intorno alla sede apostolica per fornirle gli strumenti atti all'esercizio della missione del papa, voluta da Cristo Signore.

Il servizio, infatti, che il sommo pontefice offre alla chiesa è quello di "confermare nella fede i fratelli" ( Lc 22,32 ), pastori e fedeli della chiesa universale, al fine che sia nutrita e salvaguardata la comunione ecclesiale, nella quale "vi sono legittimamente delle chiese particolari, che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità,1 tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all'unità, ma piuttosto le serva" ( LG 13 ).

2 A tale servizio petrino, che si irraggia a tutto il mondo con un'azione costante che esige l'apporto di uomini e di mezzi in tutta la chiesa, collaborano in modo diretto, e si può dire anche privilegiato, tutti coloro che, in vari incarichi, operano nella curia romana, come nei diversi organi che compongono la struttura organizzativa della sede apostolica: sia nell'ordine episcopale come sacerdotale, sia come membri di famiglie religiose e di istituti secolari maschili e femminili, sia come fedeli del laicato cattolico, uomini e donne, chiamati a questi incarichi.

Deriva pertanto da questa composizione una fisionomia essenziale e una complessità di compiti, che non trovano riscontro in nessun altro ambito della società civile, con la quale, per la stessa propria natura, la curia romana non può essere comparata: e ciò costituisce la ragione fondamentale di quella comunità di lavoro di tutti coloro che, nutriti di una medesima fede e carità, come "un solo cuore e un'anima sola" ( At 4,32 ), compongono le menzionate strutture di collaborazione.

Collaborando a qualunque titolo e in qualsiasi forma con il papa, garante principale della comunione ecclesiale, quanti coadiuvano la sua missione universale, sono chiamati a costituire anch'essi una comunione di intenzioni e di propositi, di principi e di norme, alla quale meglio di ogni altra si adatta il titolo di comunità.

3 La "Lettera del sommo pontefice Giovanni Paolo II circa il significato del lavoro prestato alla sede apostolica", del 20 novembre 1982, si è soffermata sulle caratteristiche di questa comunità di lavoro.

Ne ha rilevato l'unitarietà pur nella diversità dei compiti, che affratella quanti in tal modo "partecipano realmente all'unica ed incessante attività della sede apostolica" ( n. 1 ), deducendo da questo fatto la necessità di avere "la consapevolezza di tale specifico carattere delle loro mansioni: consapevolezza … che è sempre stata tradizione e vanto di chi ha voluto dedicarsi al nobile servizio" ( n. 1 ).

E il documento ha aggiunto: "Questa considerazione tocca sia gli ecclesiastici e i religiosi che i laici; sia coloro che occupano posti di alta responsabilità che gli impiegati e gli addetti a lavori manuali, cui sono assegnate funzioni ausiliarie" ( n. 1 ).

La lettera ha richiamato poi la natura specifica della Santa Sede, che pur costituendo uno strumento sovrano al fine di garantire l'esercizio della libertà spirituale e "l'indipendenza reale e visibile" ( n. 2 ) della Santa Sede medesima, è uno stato "atipico" ( n. 2 ), che la diversifica da ogni altro; e ha delineato le conseguenze pratiche di questa situazione sul piano economico: in special modo l'assenza totale sia di contributi economici derivanti dai diritti propri degli altri stati, sia di attività economica produttiva di beni e di rendite: talché "la base primaria per il sostentamento della sede apostolica è rappresentata dalle offerte spontaneamente elargite" ( n. 2 ), in una solidarietà universale, proveniente da tutta la cattolicità e anche da fuori di essa, che mirabilmente esprime quella comunione di carità, a cui la sede apostolica presiede nel mondo, e di cui essa stessa vive.

Da un tale stato di cose scaturiscono alcune conseguenze sul piano pratico e nel quotidiano comportamento di chi collabora con la Santa Sede: "lo spirito di parsimonia", la "disponibilità a tener sempre conto delle reali, limitate possibilità finanziarie della medesima Santa Sede e della loro provenienza" ( n. 3 ), la "profonda fiducia nella Provvidenza": e tutto ciò deve unirsi alla convinzione, per i dipendenti, "che il loro lavoro comporta innanzitutto una responsabilità ecclesiale da vivere in spirito di autentica fede e che gli aspetti giuridico-amministrativi del rapporto con la medesima sede apostolica si collocano in una luce particolare" ( n. 5 ).

4 La retribuzione del lavoro prestato, spettante ai dipendenti sia ecclesiastici che laici della Santa Sede secondo le loro specifiche condizioni di vita, è regolata dalle norme fondamentali della dottrina sociale della chiesa, sulle quali il magistero pontificio, a partire dall'enciclica Rerum novarum di Leone XIII, fino alle encicliche Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II, si è espresso nel modo più completo.

La Santa Sede, pur nell'accennata scarsità dei mezzi economici a sua disposizione, cerca in ogni modo di adempiere la sua grave responsabilità nei riguardi dei propri collaboratori - anche favorendo alcune facilitazioni di ordine pratico - nella caratteristica, sopra indicata dalla lettera del santo padre, di quella "atipicità" sua propria, che la priva di comuni possibilità di proventi economici che non siano quelli donati dalla carità universale.

La Santa Sede è tuttavia ben consapevole - e la menzionata lettera vi fa chiaro accenno - che una attiva collaborazione di tutti, con particolare riguardo ai dipendenti laici, sia necessaria perché vengano sempre tutelati i principi e le norme, i diritti e i doveri originati dalla retta applicazione della "giustizia sociale nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro" ( n. 4 ).

In tale prospettiva, la lettera ha ricordato l'azione che, a tale scopo, possono offrire le associazioni di prestatori d'opera, come l'"Associazione dipendenti laici vaticani", allora recentemente costituita nel quadro di un fruttuoso dialogo tra le diverse istanze al fine di promuovere lo spirito di sollecitudine e di giustizia.

Peraltro, la stessa lettera ha posto in guardia dal pericolo che tali organismi possano travisare lo spirito fondamentale che deve ispirare la comunità di lavoro prestato alla sede di Pietro, dicendo: "Non risponde… alla dottrina sociale della chiesa lo slittamento di questo tipo di organizzazioni sul terreno della conflittualità a oltranza o della lotta di classe; né esse debbono avere impronta politica o servire, palesemente o occultamente, interessi di partito o di altre entità miranti a obiettivi di ben diversa natura" ( n. 4 ).

5 Il santo padre ha espresso al tempo stesso la certezza che associazioni, come quella menzionata, non avrebbero mancato di "tener presente in ogni caso il particolare carattere della sede apostolica nell'impostare i problemi concernenti il lavoro e nello sviluppare un dialogo costruttivo e continuo con gli organi competenti" ( n. 4 ).

Poiché era particolarmente sentita dai dipendenti laici la necessità di regolare la fisionomia delle prestazioni d'opera e tutto l'insieme dei problemi del lavoro, il santo padre ha disposto che fossero preparati "gli opportuni documenti esecutivi, per assecondare, tramite convenienti norme e strutture, la promozione di una comunità di lavoro secondo i principi esposti" ( n. 4 ).

A questa sollecitudine del supremo pastore corrisponde ora l'istituzione dell'"Ufficio del lavoro della sede apostolica" ( ULSA ), che viene promulgata con apposito "motu proprio" unitamente al documento che ne descrive e specifica la composizione, la competenza, i compiti, gli organi direttivi e consultivi con le norme specifiche per il retto, efficace e spedito funzionamento di tale ufficio, che, essendo di nuova creazione, necessita di un determinato periodo di attività "ad experimentum" per collaudarne l'effettiva incidenza.

Il menzionato motu proprio e il regolamento del nuovo Ufficio del lavoro sono pubblicati contemporaneamente con la promulgazione della costituzione apostolica per il rinnovamento della curia romana.

6 Lo scopo principale e predominante di questo ufficio - al di là delle finalità pratiche per le quali è stato voluto - è soprattutto quello di promuovere e garantire all'interno delle varie componenti dei collaboratori della sede apostolica, specialmente laici, quella comunità di lavoro delle cui caratteristiche devono distinguersi quanti sono chiamati all'onore e alla responsabilità di servire il ministero di Pietro.

È da sottolineare ancora una volta che tali collaboratori debbono nutrire e coltivare in se stessi una particolare coscienza ecclesiale, che li abiliti sempre più all'adempimento del loro incarico, qualunque sia: incarico che non è semplicemente un rapporto di "dare e avere" come con gli enti esistenti nella società civile, ma un servizio prestato a Cristo, "venuto non per essere servito, ma per servire" ( Mt 20,28 ).

Pertanto, tutti i dipendenti, ecclesiastici e laici, debbono proporsi come titolo di onore, e con senso di sincera responsabilità davanti a Dio ed a se stessi, di vivere in modo esemplare la propria vita di sacerdoti e di laici, com'è proposta dai comandamenti divini, dalle leggi ecclesiali, e dai documenti del concilio Vaticano II - in particolar modo Lumen gentium, Presbyterorum ordinis e Apostolicam actuositatem.

Questa, peraltro, è una libera decisione, che permette di accettare in piena consapevolezza responsabilità, che hanno un riflesso non solo nell'ambito personale dei singoli, ma anche in quello delle rispettive famiglie, e nello stesso clima della comunità di lavoro, composta dai dipendenti della Santa Sede.

"Dobbiamo cercare di sapere "di quale spirito siamo" ( Lc 9,55 Volg. )", conclude la lettera del santo padre: e la ricerca della propria autenticità umana e cristiana deve indurre, ciascuno e tutti, a mantenere fedelmente quegli impegni, liberamente assunti nel momento in cui sono stati chiamati a collaborare con la Santa Sede.

7 Affinché siano tenuti presenti i principi, che il santo padre ha tratteggiato nella menzionata lettera circa il significato del lavoro prestato alla sede apostolica, indirizzata al cardinale segretario di stato - scritto che deve costituire la base e il riferimento per ogni rapporto di collaborazione e di intesa all'interno della comunità di lavoro che coopera con la sede apostolica - essa si pubblica, qui di seguito, nel testo integrale.

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1 S. Ignazio Ant., Ai Romani, introduzione: Patres apostolici, ed. Funk, Tubinga I, 252