Decet quam maxime

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40 Bisognerebbe aggiungere a questo punto alcune note sul foro del contenzioso, affinché la disciplina ecclesiastica anche sotto questo profilo riconquisti la dignità e lo splendore originari.

Di questo tuttavia converrà deliberare dopo un giudizio più approfondito e una volta assunte informazioni complete sulle consuetudini in uso in codeste diocesi.

Vi è un principio, per ora, sulla quale non possiamo mantenere il silenzio e che anzi vogliamo trasmettervi ed inculcarvi con forza: gli ecclesiastici impegnati nell'emettere sentenze nelle cause spirituali svolgano il loro compito santamente, pietosamente e religiosamente, in modo che in loro non appaia nulla che offuschi con la minima ombra il candore della purezza ecclesiastica.

Ne discenderà in primo luogo che i giudici ecclesiastici delle vostre diocesi non richiederanno o accetteranno alcun pagamento né per gli atti né per le sentenze pronunciate nelle cause spirituali; in particolare in quelle che riguardano la religione ( come quelle contro i sospetti di eresia e i colpevoli di superstizione ) o i fidanzamenti, i matrimoni, le censure, eccetera.

Per questo motivo, "Ricordatevi ( sono parole di Innocenzo III ai prelati e ai sacerdoti della Lombardia, nel cap. Cum ab omni, sui comportamenti e l'onestà dei religiosi ) che le entrate ecclesiastiche sono destinate a favore vostro e degli altri chierici, perché con esse dobbiate vivere onestamente e non vi sia necessario stendere la mano verso turpe lucro, oppure abbassare gli occhi verso impegni non corretti.

Poiché le vostre opere debbono essere di luminoso esempio ai laici, non vi sia lecito cogliere l'occasione di fare turpe commercio del diritto, come fanno i civili.

Perciò ordiniamo e disponiamo che - astenendovi per il futuro da esazioni di questo tipo - individuiate come trasmettere gratuitamente ai litiganti il vigore della decisione giudiziaria, nonostante ciò che viene proposto fraudolentemente da alcuni, secondo i quali la stessa cifra venga pretesa a favore degli assistenti, poiché al giudice non è lecito commerciare un giudizio equo, e le sentenze a pagamento sono vietate anche dalle leggi civili".

41 Questi sono, Venerabili Fratelli, gli obiettivi che abbiamo ritenuto giusto sottoporvi, in favore della causa apostolica, per la quale siamo impegnati, e per gli obblighi assunti.

Se, come è giusto e come speriamo in Dio, voi li realizzerete, tutto ciò gioverà allo splendore della disciplina ecclesiastica, alla tranquillità delle vostre coscienze e soprattutto al benessere del gregge a voi affidato.

Riteniamo che questi adempimenti non vi risulteranno né onerosi né molesti, quantunque vediamo che con queste norme verrà meno una parte dei vostri consueti emolumenti.

Un sospetto di questo tipo nei vostri confronti ci è comunque impedito dalla vostra attenta devozione, dalla vostra ben nota religiosità e dall'impegno per mantenere la disciplina ecclesiastica, sulla base dei quali giudicherete certamente un danno per Cristo ciò che finora rappresentava per voi un vantaggio economico.

Individuerete come autentico motivo di guadagno esclusivamente il fatto che nelle vostre diocesi cresca sempre più l'adorazione per Dio ottimo e massimo, e che i popoli affidati alla vostra fede e alla religione si nutrano più facilmente e più felicemente della vostra parola e del vostro esempio.

Inoltre siamo stati pienamente informati da coloro che ben conoscono le vicende ecclesiastiche di codesta isola, ed in particolare a nome del re, che per voi rappresentano un vantaggio coloro che, ritagliandosi piccoli compensi ( che non vi sarà consentito d'ora in avanti esigere ), si curano del decoro e della dignità del vescovo e provvedono alle necessità delle chiese.

Per non sperare di ricevere alcun aiuto da coloro ai quali vi siete appoggiati fin qui per antichissima consuetudine, converrà che vi ricordiate la famosa frase di Alessandro III51 con la quale quel sommo Pontefice rimproverava coloro che inopportunamente si tenevano attaccati alle loro abitudini: "Molti ritengono che ciò sia loro lecito, poiché pensano che la legge della mortesi sia rafforzata per la lunga consuetudine, non riflettendo a sufficienza - accecati come sono dalla cupidigia - che quanto più gravi sono i peccati tanto più a lungo le loro anime saranno incatenate".

Dunque rigettiamo e condanniamo queste abitudini, anche se antichissime e persino immemorabili; anche se corroborate e confermate da costituzioni sinodali o da qualunque altra autorità, anche apostolica.

Dichiariamo, stabiliamo ed ordiniamo che debbano essere considerate come abusi e fonte di corruzione.

Animati da sollecitudine per le vostre chiese, come questa lettera ampiamente dimostra, abbiamo in Noi saldissima la speranza che voi non lesinerete impegno, diligenza ed attenzione.

Frattanto, in pegno del Nostro amore paterno nei vostri confronti e della Nostra benevolenza, vi impartiamo la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, in Santa Maria Maggiore, il 21 settembre 1769, nel primo anno del Nostro Pontificato.

Pio VI

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51 Cap. Cum in ecclesia, de simonia