Promozione umana e salvezza cristiana

Indice

4. Considerazioni sistematiche e teologiche

a) Dio come liberatore e l'azione liberatrice dell'uomo

Com'è già stato notato, non tutti gli enunziati dell'Antico Testamento in materia di liberazione potrebbero continuare a valere sotto ogni rispetto nello stato di cose instaurato dal Nuovo Testamento.

La Rivelazione di cui siamo stati gratificati nel Cristo divide il corso ininterrotto della storia della salvezza in tempo di promessa e in tempo di attuazione.

Ciò che unisce i due Testamenti è l'assicurazione che solo Dio, signore supremo e sovranamente libero, procura il bene degli uomini; lui solo è il liberatore nel senso vero della parola.

Evidentemente, per comprendere quest'affermazione della fede occorre convenire che i bisogni dell'uomo non sono ridotti alle sole difficoltà economiche e materiali; occorre tener presente la totalità di quanto comporta la sua condizione di pericolo e di perdizione.

Tuttavia questa ferma asserzione che Dio solo libera veramente non dev'essere presa come un'affermazione analoga a un mito ( come se si trattasse d'un deus ex machina ); ricorrere a un mito del genere significa piuttosto favorire l'inerzia, l'immobilismo e il torpore negli uomini che si trovano in miseria.

Dalla fede genuina le condizioni inumane d'esistenza non possono attendersi né scusanti né complicità.

Dio non interviene nel tumulto d'una rivoluzione, ma la sua grazia fortifica lo spirito e il cuore degli uomini, affinandone la coscienza e spingendoli a lavorare, sostenuti dalla fede viva, alla costruzione d'un mondo più giusto.

A tal fine bisogna che tutt'intero l'uomo venga liberato da tutte le potenze malvage.

Perciò una conversione che sia autenticamente efficace ( metánoia ) e il rinnovamento della carità verso Dio e verso il prossimo sono gli elementi che conducono realmente alla liberazione.

La liberazione completa, tuttavia, secondo la fede cristiana, non si compie durante il corso degli avvenimenti terreni, cioè nella storia.

Questa, in effetti, conduce alla « nuova terra » e alla « città di Dio »; di conseguenza, durante questa fase, ogni azione liberatrice è contrassegnata da un carattere transitorio e soggetta a divenire materia d'un verdetto al tempo dell'ultimo giudizio ( cf. Mt 25 ).

Le nostre considerazioni non si restringono all'esigenza d'una riforma spirituale e dell'assistenza da portare a singoli individui.

Esiste un tipo d'« ingiustizia che assume una forma istituzionale »; fin quando essa domina, la situazione stessa reclama un progetto della giustizia e delle riforme.

Gli uomini d'oggi non credono più che le strutture sociali rappresentino un dato di natura e, come tali, siano « volute da Dio » o che siano la risultante di certe leggi anonime dell'evoluzione.

Il cristiano è sempre tenuto a ricordare che le istituzioni sociali sono scaturite dalla stessa coscienza sociale e che sono oggetto d'una responsabilità morale.

Ci si può senza dubbio domandare se sia consentito di parlare di « peccato istituzionale » o di « strutture di peccato », dal momento che il termine biblico di peccato designa anzitutto una decisione espressa e personale della libertà umana.

È indubitabile, tuttavia, che in forza del peccato il disprezzo e l'ingiustizia possono insediarsi nelle strutture sociali e politiche.

Per questo - l'abbiamo già notato - lo sforzo di riforma deve vertere anche sulle situazioni e sulle strutture ingiuste.

Ne abbiamo una consapevolezza nuova, giacché in passato non si potevano percepire con la stessa chiarezza di oggi le responsabilità al riguardo.

Da questo punto di vista, la giustizia significa il riconoscimento fondamentale dell'uguale dignità di tutti gli uomini, il felice sviluppo e la tutela dei diritti umani essenziali,8 ed una sicura equità nella ripartizione dei principali mezzi di sussistenza.9

b) Come definire il rapporto concreto tra la promozione umana e la salvezza operata da Dio

La riflessione sul rapporto tra la salvezza operata da Dio e l'azione liberatrice dell'uomo mostra la necessità di definire con maggiore esattezza i rapporti esistenti tra la promozione umana e questa salvezza, tra la costruzione del mondo e la consumazione escatologica.

Come si deduce dalle considerazioni precedenti, bisogna anzitutto farsi un'idea corretta dei rapporti tra l'attività umana e la speranza cristiana.

Bisogna evitare di separarle totalmente, quasi che da un lato vi fosse soltanto il mondo terrestre e dall'altro solo la vita futura ad esso completamente estranea.

Ma bisogna altresì evitare un certo « ottimismo evoluzionista », che identifica completamente il dominio di Dio con l'azione umana di costruzione del mondo nel suo svolgimento.

La stessa costituzione pastorale Gaudium et Spes opera una distinzione tra l'accrescimento del regno di Dio e il progetto umano, tra l'opera di divinizzazione e quella di umanizzazione, come pure tra l'ordine della grazia divina e quello dell'attività umana,10 anche se prima tratta degli elementi che accostano reciprocamente questi due ordini di cose.

Il servizio degli uomini sulla terra prepara « da materia del regno celeste ».11

Nel regno di Dio ritroveremo i buoni frutti della nostra attività, ma purificati da ogni sozzura, illuminati, trasfigurati, sì che rimangano non solo la carità ( cf. 1 Cor 13,8 ), ma anche la sua opera.12

La speranza escatologica deve esprimersi anche attraverso le strutture della vita secolare.13

Per questo il Concilio non parla soltanto del carattere passeggero di questo mondo, ma anche della sua trasformazione.14

La città terrestre e la città celeste devono compenetrarsi, sotto la guida della fede, nel rispetto della loro distinzione come pure della loro unione armoniosa.15

Questi insegnamenti si ritrovano riassunti nel decreto Apostolicam Actuositatem sull'apostolato dei laici: « L'opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure l'instaurazione di tutto l'ordine temporale.

Per cui la missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di animare e perfezionare l'ordine temporale con lo spirito evangelico [ … ].

Questi ordini, [ spirituale e temporale ] sebbene siano distinti, tuttavia nell'unico disegno divino sono così legati, che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo per formare una nuova creatura, in modo iniziale sulla terra, in modo perfetto nell'ultimo giorno ».16

Questi testi c'invitano a considerare le lotte per la giustizia, come pure la partecipazione alla trasformazione del mondo, « come un elemento costitutivo dell'annunzio della fede ».17

Questa stessa espressione, ratio constitutiva, è ancora oggetto di controversia; sembra esigere un'interpretazione più precisa secondo la quale, attenendosi al senso stretto delle formule, designa una parte integrante, ma non essenziale.

In generale, si spiega ordinariamente il testo del Concilio Vaticano II come quello che suggerisce piuttosto un'armonia tra lo sforzo umano di costruzione del mondo e la salvezza escatologica, rispondendo così ad una dicotomia abusiva.

Oggi, pur mantenendo con fermezza l'affermazione d'un'unità fra i due termini, conviene piuttosto discernere con maggior chiarezza e rigore ciò che li differenzia.

La stessa resistenza che le situazioni terrestri oppongono ai cambiamenti positivi in senso buono, la forza del peccato, certi effetti ambivalenti del progresso umano,18 ci insegnano a riconoscere più distintamente, fin nell'unità della storia della salvezza, una differenza permanente tra il regno di Dio e la promozione umana, come pure il mistero della Croce, senza la quale non si attua nessuna azione veramente salutare.19

Quando si mette in luce questa differenza - senza d'altra parte dimenticare il legame che unisce i due termini - non s'introduce nessuna specie di « dualismo », come alcuni pretendono.

Al contrario, questa visuale più completa aiuta ad adempiere con maggior pazienza, costanza e fiducia, il dovere di promuovere il bene e la giustizia; essa premunisce contro lo smarrimento che potrebbe nascere nel caso di sforzi rimasti senza risultato.

Quest'unità di connessione, e così pure la differenza che contrassegna il rapporto tra promozione umana e salvezza cristiana, nella loro forma concreta devono certamente essere oggetto di ricerche e di analisi nuove; è questo, indubbiamente, uno dei compiti principali della odierna teologia.

Il carattere fondamentale della unità in questione non potrà, quindi, essere trascurato, radicato com'è - si può dire - al centro stesso della realtà.

Da una parte la storia concreta è in certo modo il luogo in cui il mondo viene trasformato al punto da toccare il mistero stesso di Dio.

Perciò « permangono » la carità e il suo frutto.

Questa è la ragione ultima della possibilità d'un elemento che leghi il benessere e il diritto con la salvezza, anche se non si ha unione piena giacché l'avvenimento escatologico viene ad « abolire » e a « far passare » la storia concreta.

Dall'altra parte il regno di Dio « dirige » la storia e sorpassa in maniera assoluta tutte le possibilità d'un'attuazione terrestre; si presenta quindi come l'azione di Dio.

Ciò implica una rottura per rapporto a questo mondo, qualunque sia la perfezione che a questo si riconosca.

Nella storia di ogni individuo tale discontinuità è risentita come morte, ma, in quanto « trasformazione », essa riguarda l'intera storia, come « andare in rovina » del mondo.

Siffatta dialettica, espressa in questi due principi irriducibili, non trova soluzione; essa non può né deve essere evacuata dalla vita presente, nello stato di « viatore ».

Il compimento escatologico, che è ancora oggetto dell'attesa ( « riserva escatologica » ), è la causa per cui il rapporto tra il regno di Dio e la storia non può enunziarsi né sotto forma di un monismo né sotto quella d'un dualismo; per conseguenza la definizione di tale rapporto non può, per sua natura, se non restare come in sospeso.

D'altronde la relazione dell'annunzio della salvezza escatologica alla costruzione dell'avvenire nel tempo storico non può essere determinata in maniera univoca, secondo una linea unica, cioè non tenendo conto se non dell'armonia o della differenza.

Forse così si possono spiegare queste parole riferite da Luca: « Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là.

Perché il regno di Dio è in mezzo a voi » ( Lc 17,20ss ).

La costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo indica un'altra conseguenza di questo rapporto fondamentale tra la storia e la salvezza: « Noi ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità, e non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l'universo ».20

Tale è certamente la soluzione formale del nostro problema, appoggiata dai fatti principali della Rivelazione.

Ma nel progresso concreto di questa relazione si possono percepire diverse maniere secondo cui lo stesso rapporto si traduce nei fatti, e che danno luogo a forme particolari diverse tra loro.

Per scegliere correttamente le modalità d'applicazione di questa soluzione nel corso della storia e, per esempio, nelle regioni appartenenti rispettivamente al vecchio, al nuovo e al terzo mondo, bisognerà procedere in maniera diversa.

Ciò che è valido per i Paesi dell'Europa e dell'America del Nord, i più avanzati nello sviluppo industriale stimolato dal profitto, non ha il medesimo valore per i continenti e per le zone la cui popolazione, in gran maggioranza, soffre la penuria.

Tuttavia, a qualsiasi grado si verifichi questa diversità, non è consentito derogare al rapporto fondamentale riconosciuto più sopra tra promozione umana e salvezza cristiana.

Per questo si hanno criteri esenti da ambiguità.

Si compromette, per esempio, tale rapporto fondamentale se si privilegia l'azione per la liberazione sociale e politica al punto da relegare in secondo piano il culto verso Dio, la preghiera, l'Eucaristia e gli altri sacramenti, l'etica individuale, i problemi dei fini ultimi ( la morte e la vita eterna ), la lotta austera da sostenere nella storia contro i poteri delle tenebre.21

Ma, d'altra parte, in situazioni di peccato e d'ingiustizia, bisogna proclamare e mettere in pratica le verità della fede or ora ricordate.

In tal modo si rende giustizia al regno di Dio e si svuota l'obiezione spesso formulata, secondo cui la Chiesa getta un velo sulla miseria degli uomini, e addormenta i poveri nel loro stato di bisogno.

Apportare un vero conforto e fomentare una speranza falsamente consolatrice, che si limita ad attutire il senso della sofferenza, sono due cose totalmente diverse.

c) Rapporto tra promozione umana e salvezza nella missione della Chiesa

Insistendo sull'importanza di ciò che la Chiesa rappresenta per il mondo, si sottolinea al tempo stesso che la comunità ecclesiale è sempre situata in determinate condizioni concrete in cui certe opzioni politiche si trovano già prese.

La Chiesa può ben costituire una comunità d'un tipo particolare; essa non può mai dimenticare che vive costantemente in questa specie d'arena dove sono in competizione i candidati al potere, o in cui il potere s'esercita effettivamente in questa o in quella maniera concreta, dove regnano le ideologie che vi si riferiscono.

A motivo della sua origine, del suo carattere soprannaturale e della sua missione religiosa, come pure della sua speranza escatologica, la Chiesa « non si lega in modo esclusivo e indissolubile a nessuna stirpe o nazione, a nessun particolare modo di vivere, a nessuna consuetudine antica o recente ».22

Essa non può venir confusa con nessun altro sistema sociale né esservi associata a titolo necessario e irrevocabile.

Pur dovendosi guardare dall'esser compromessa negli intrighi di coloro che cercano il potere, essa tuttavia non deve adottare un atteggiamento puramente « neutrale » e « indifferente », né appartarsi in una riserva totalmente « apolitica ».

Certamente, al momento attuale, in parecchie regioni del mondo, le sue possibilità d'azione sono così strettamente limitate, che essa è spesso chiamata a testimoniare la propria fede in altre forme, che non sono tuttavia meno profetiche, fra cui spicca la sofferenza nella sequela di Nostro Signore e nel silenzio imposto con la forza.

Alla Chiesa non è consentito ammettere, come fanno le forze politiche, certe astuzie e manovre, ma essa deve prevedere attentamente la portata politica dei suoi passi e delle sue omissioni.

Può capitare che le si muova il rimprovero di complicità se non denunzia la situazione dei poveri, degli oppressi, delle vittime dell'ingiustizia, ancor più se dissimula tale stato di cose e se si astiene dall'occuparsene.

Secondo l'esempio di profeti dell'Antico Testamento, la Chiesa deve affinare la propria coscienza per poter criticare, alla luce della fede, le situazioni sociali.

Dev'essere solidale coi poveri: questo termine va inteso in tutta la sua accezione, che comprende, per esempio, gli uomini afflitti da miseria spirituale, psicologia o materiale.

L'assistenza efficace da assicurare a tali poveri costituisce, certo, fin dall'antichità uno degli impegni principali della Chiesa e dei suoi membri.

Ma oggi il suo esercizio è divenuto la testimonianza più palese d'una fede viva e, per un gran numero di uomini estranei alla Chiesa, un criterio inestimabile della sua credibilità.

L'edificazione e la riforma dell'ordine sociale e politico incombono certamente ai laici a titolo particolare.23

Ma tutt'intera la Chiesa - che è rappresentata principalmente dai ministeri del Sommo Pontefice, dei vescovi, dei preti e dei diaconi - non ha il diritto di tacere nei casi in cui vengono calpestati la dignità umana e i diritti elementari dell'uomo.

Stando così le cose, la Chiesa può essere tenuta, nel suo insieme, ad esprimere il proprio pensiero senza ritardi e con vigore.

D'altronde, in numerose circostanze particolari, è lasciata al cristiano la possibilità d'operare liberamente una propria scelta tra maniere diverse di tendere allo stesso scopo comune.24

Per conseguenza, è impossibile evitare totalmente tra cristiani controversie in materia sociale e politica.

« Ai cristiani che sembrano, a prima vista, opporsi partendo da opzioni differenti, [ la Chiesa ] domanda uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell'altro ».25

Senza dissimulare le proprie opinioni personali, ciascuno sarà sollecito di contribuire all'attuazione dell'obiettivo comune, mediante le proprie raccomandazioni e i propri incoraggiamenti.

Nella diversità dei modi di pensare, i cristiani non dimenticheranno mai quell'assioma del Concilio Vaticano II: « Sono più forti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono ».26

L'unità della Chiesa, invece, corre un serio pericolo se le differenze esistenti tra le « classi » sociali sono assunte nel sistema della « lotta di classe ».

Non si possono del tutto evitare certe contese là dove esistono disuguaglianze tra le « classi ».

Il cristiano si distingue anzitutto per la maniera con cui cerca di risolvere tali conflitti: non preconizza il ricorso alla violenza contro la violenza, ma si sforza d'ottenere un cambiamento della situazione con mezzi diversi, quali la formazione delle coscienze, lo scambio di vedute, l'appoggio accordato ad azioni non violente.

Neppure è consentito ai cristiani di trascurare l'obiettivo principale: la riconciliazione.

Si eviterà anche che le opposizioni in materia sociale e politica prendano il sopravvento sul resto, al punto - per esempio - che cristiani militanti per opzioni diverse non celebrino più insieme l'Eucaristia e si escludano vicendevolmente da essa.

L'opzione politica non ha il diritto di farsi tanto combattiva da compromettere l'universalità dell'annunzio cristiano della salvezza, il quale dev'essere recato a tutte le genti, compresi i ricchi e gli oppressori.

La Chiesa non può escludere nessun uomo dalla sua carità.

Perciò deve costantemente richiamare e tener viva la sollecitudine di rifiutare al fattore politico un valore quasi assoluto.

Ora, una scelta politica esclusiva, intollerante nei confronti di una opzione diversa, diviene tirannica ed altera la natura stessa della politica.

La Chiesa ha l'imprescindibile dovere di opporsi alle rivendicazioni dittatoriali di uno Stato che pretendesse regolare da sé e in esclusiva tutte le dimensioni dell'esistenza.

Indubbiamente, in circostanze siffatte, è talvolta difficile o impossibile per la Chiesa far conoscere pubblicamente il proprio pensiero.

Essa tuttavia soddisfa in maniera eminente al proprio dovere quando, alla sequela del suo Signore, protesta coraggiosamente contro gli abusi in questione, come pure quando soffre in silenzio o anche quando subisce ogni sorta di martiri.

Ma la genuina liberazione cristiana, che conduce alla libertà, non può venire ostacolata neppure in queste situazioni estreme.

Ciò costituisce la nostra suprema consolazione e il cardine principale della nostra fiducia.

Indice

8 Cf. lo schema della Pontificia Comm. Iustitia et Pax: The Church and Human Rights, Città del Vaticano 1975
9 Cf. Enc. Populorum Progressio, n. 21
10 Gaudium et Spes, n. 36, n. 38, n. 39, n. 40, n. 42, n. 43, n. 58;
Apostolicam Actuositatem, n. 7
11 Cf. Gaudium et Spes, n. 38
12 Cf. Gaudium et Spes, n. 39
13 Cf. Lumen Gentium, n. 35
14 Cf. Gaudium et Spes, n. 38, n. 39
15 Cf. Lumen Gentium, n. 36
16 Apostolicam Actuositatem, n. 5; cf. anche il n. 7
17 Sinodo dei Vescovi 1971, La giustizia nel mondo, Introduzione
18 Apostolicam Actuositatem, n. 7
19 Gaudium et Spes, n. 22, n. 78
20 Gaudium et Spes, n. 39
21 Gaudium et Spes, n. 13 b
22 Gaudium et Spes, n. 58; cf. ivi, n. 42;
Lumen Gentium, n. 9
23 Apostolicam Actuositatem, n. 7;
Lumen Gentium, n. 31, n. 37;
Gaudium et Spes, n. 43
24 La Gaudium et Spes, n. 43, sviluppa questo punto di vista
25 Paolo VI, Lettera Apostolica Octogesima Adveniens, n. 50
26 Gaudium et Spes, n. 92