Aspetti della formazione spirituale nei seminari

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3. La parola della Croce: i « Sacrifici Spirituali »

Occorre assegnare pure un posto, accanto all'Eucaristia, alla Penitenza.

Questo nome è stato dato a un sacramento, ma è necessario evidentemente estenderlo alla vita sacerdotale, intesa come sforzo che tende a raggiungere il Cristo redentore e a partecipare personalmente ed effettivamente alla sua Passione.

Il sacerdote deve essere per gli altri un « maestro di penitenza », così come è un « maestro di preghiera ».

Preparazione alla Penitenza

Il Concilio Vaticano II non ha relegato nell'ombra il sacramento della Penitenza.

Se questo sembra essere andato in disuso, in relazione a un passato recente, ciò è accaduto a causa di un vero abuso.

Le « celebrazioni penitenziali » non erano destinate ad eliminare a poco a poco il sacramento della Penitenza, in favore di una penitenza cosiddetta « generale » e falsamente presentata come un ritorno alle origini.

La Penitenza pubblica dei primi secoli riguardava un piccolo numero di peccatori determinati, conosciuti e lungamente provati in un contatto « privato » con il Vescovo.

La Penitenza detta « pubblica » veniva perciò ad introdurre in « pubblico » un penitente il cui cammino penitenziale era stato, fino a quel momento, privato.

Che cosa c'è in comune fra questo antico rito e un'assoluzione data a un pubblico indeterminato del quale nessuno sa niente?

Anche se la Chiesa ammette, in caso di necessità e sotto certe condizioni, un'« assoluzione collettiva », è nella Penitenza privata, così come la teologia l'ha progressivamente definita e giustificata e come essa è stata praticata fino ai nostri giorni, che si identifica effettivamente la Penitenza pubblica del passato.

Detto questo, le celebrazioni penitenziali sono una ben felice iniziativa che interviene giustamente per mettere le coscienze in grado di presentarsi individualmente al sacerdote in un clima spirituale conveniente, spesso assai poco garantito in passato, e con la chiara percezione della volontà di Dio e delle sue precise esigenze: cosa che è mancata forse per molto tempo.

Emerge da sé quale ricca educazione il seminario debba dare ai suoi futuri sacerdoti in questa materia, anche secondo le indicazioni dell'Istruzione di questa Congregazione sulla formazione liturgica ( n. 35 ).

«É necessario fare esercitare i candidati, mediante un vero contatto con la Parola di Dio, a formarsi un'idea giusta della struttura di una coscienza cristiana, ordinata intorno alla carità, ma senza ignorare nessuna delle componenti che devono dare alla carità il suo contenuto: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza, secondo le espressioni classiche.

Occorre che gli alunni si esercitino, inoltre, a mettere tutta questa riflessione e investigazione in un clima di amore di Dio dove sboccia un'autentica e serena contrizione.

La penitenza privata

Partendo da quanto detto, il contatto personale con il sacerdote diventa del tutto naturale: la dottrina morale tradizionale incontra qui il suo pieno senso.

Niente può supplire questo contatto con il sacerdote, in cui uno spirito illuminato e un cuore pentito sollecitano da colui che ha da Dio il potere di rimettere i peccati quella parola insostituibile che il Vangelo ci fa ascoltare così spesso e che tocca, direttamente e personalmente, il peccatore pentito: « Ti sono perdonati i tuoi peccati ».

Tutto questo, unito, quando è possibile e utile, a un consiglio ben appropriato.

Come la preparazione è stata comunitaria e ha permesso che ciascuno profittasse della preghiera di tutti, così il perdono è di per sé personale e incomunicabile.

Il seminario deve dare il gusto di questa assoluzione privata, come pure della celebrazione comunitaria quando essa può essere fatta.

Il sacerdote che l'avrà capito troverà il coraggio di imporsi il faticoso servizio che ha fatto un santo Curato d'Ars, e di cui Don Bosco ha dato un magnifico esempio in un tempo assai più vicino a noi.

Direttori di anime

C'e da dire inoltre che, nel contesto del sacramento degnamente e autenticamente ricevuto, la luce del Signore passa liberamente e va molto al di là del semplice perdono.

Un sacerdote che « confessa » diventa in molti casi, a partire dalla confessione, un « direttore di coscienza »: egli aiuta a discernere le vie del Signore.

Quante vocazioni non sono state mai scoperte per la mancanza di questo contatto soprannaturale unico nel quale il sacerdote avrebbe potuto almeno far sorgere un interrogativo!

E non si deve forse attribuire all'oscuramento del sacramento della Penitenza privata almeno una parte della responsabilità del calo impressionante delle vocazioni religiose?

Il seminario deve sapere che esso prepara dei « direttori di anime ».

Ascesi e regolamento

Il sacramento della Penitenza non è altro che l'intervento di Dio che viene ad avallare un lavoro personale, del quale la « celebrazione » è una tappa felice e previa a tutte le altre.

Dio viene ad incontrare il penitente che deve essere in permanenza un cristiano che porta la sua croce dietro al Cristo.

La parola « ascesi » è oggi pronunziata molto raramente; l'ascesi stessa è poco accetta.

Essa tuttavia è indispensabile a ciascuno, certo tenendo conto della propria natura e missione.

Il sacerdote non può essere fedele al suo incarico e ai suoi impegni, soprattutto a quello del celibato, se non è stato preparato ad accettare una vera disciplina che un giorno dovrà imporsi da se stesso.

Il seminario non ha sempre il coraggio di dirlo e di richiederlo, però la suddetta disciplina dice particolarmente relazione ad un « regolamento » saggio e sobrio, ma fermo, che non ricusi una certa necessaria severità e che prepari a sapersi dare più tardi una regola di vita adatta.

L'assenza di una qualsiasi regola precisa e ben seguita è per il sacerdote fonte di molti mali: perdita di tempo, perdita di coscienza della sua propria missione e delle riserve che essa gli impone, progressiva vulnerabilità agli attacchi del sentimento …

Si pensi ai sacrifici che impone la fedeltà coniugale; e la fedeltà sacerdotale non ne dovrebbe richiedere?

Sarebbe un paradosso.

Un sacerdote non può vedere tutto, ascoltare tutto, dire tutto, provare tutto …

Il seminario deve averlo reso capace, nella libertà interiore, di compiere dei sacrifici e di osservare una disciplina personale intelligente e leale.

Obbedienza

Non si può mancare di fermarsi un momento sul problema dell'obbedienza.

É necessario che la parola obbedienza non appaia più come una parola interdetta: non si può essere discepoli del Cristo, negando un titolo che è espressamente attribuito a gloria del Cristo ( cfr. Fil 2,8-9 ).

La libertà personale non soltanto non è compromessa dall'obbedienza bene intesa, ma essa vi trova la sua espressione più alta.

Ovviamente è necessario che l'obbedienza sia ben intesa.

Non si può certo definire obbediente a Dio chi si rifiuta di obbedire ai suoi ministri.

Ma l'esercizio dell'autorità e quello dell'obbedienza non possono essere compresi o accettati se da una parte e dall'altra non vi si scorge espressamente un'obbedienza a Dio.

Per cui sia il rettore sia il seminarista devono avere, in questo campo, innanzi tutto e costantemente gli occhi fissi alla volontà divina, che si manifesta nel « bene comune » del seminario.

Al rettore tocca definire chiaramente questo « bene comune », di farlo vedere e comprendere, di farlo amare, di stimolare al suo servizio tutte le iniziative e le buone volontà, di interessare gli alunni alla definizione di detto « bene comune », sui punti in cui è oscuro, mediante un dialogo ben diretto, e infine di decidere con autorità e senza esitazione. Al futuro sacerdote spetta di prestarsi all'ascolto, comprendere colui che ha la missione di dirigere nel nome del Signore; al futuro sacerdote spetta di cooperare, secondo le sue possibilità, alla realizzazione di quel « bene comune » che consiste sempre, in definitiva, nel fatto che venga creato e mantenuto un ambiente nel quale il sacerdozio del Cristo sia conosciuto e proposto alla coscienza di tutti, nel quale la grazia di Dio possa fare la sua opera in ciascuno, non esigendo di più da chi può di meno, né di meno da chi può di più.

L'obbedienza rimarrà sempre un sacrificio.

Essa deve diventare nel medesimo tempo una gioia, perché è un modo di amare Dio.

Un domani, sotto varie forme, il giovane sacerdote dovrà praticare l'obbedienza.

É necessario che egli giunga a comprenderla nel Cristo e ad amarla.

É in questo contesto che si può fare l'esperienza autentica di una vera comunità fraterna cristiana, il cui cemento consiste nella volontà di cooperare insieme al regno di Dio.

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