Concilio di Basilea

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Sessione XX ( 29 gennaio 1435 )

Decreto sui concubinari

Il sacrosanto sinodo generale di Basilea, riunito legittimamente nello Spirito santo, espressione di tutta la chiesa, a perpetua memoria.

[ … ]Qualsiasi chierico - di qualunque stato, condizione, religione, dignità, anche vescovile o di altra preminenza esso sia quale, dopo esser venuto a conoscenza di questa costituzione - e si presume che egli abbia tale conoscenza entro due mesi dopo la sua pubblicazione nelle chiese cattedrali ( che i vescovi sono tenuti a fare ) - da quando la stessa costituzione è venuta a sua conoscenza, fosse un concubinario, sia ipso facto sospeso per tre mesi dal percepire i frutti di tutti i suoi benefici.

Il suo superiore destini questi frutti a beneficio della fabbrica o ad altra evidente utilità delle chiese da cui essi sono percepiti.

Naturalmente, il superiore è tenuto ad ammonire questo pubblico concubinario, non appena si sappia che egli è tale, perché allontani entro brevissimo tempo la concubina.

Se egli non la allontanasse, o se riprendesse quella che ha mandato via o altra, questo santo sinodo ordina che lo privi senz'altro di tutti i suoi benefici.

Questi pubblici concubinari anche dopo l'allontanamento delle concubine e l'emendamento palese della loro vita siano inabili a ricevere qualsiasi bene, dignità, beneficio o ufficio, fino a che i loro superiori non li abbiano dispensati.

Ma se, una volta dispensati, fossero recidivi ( Pr 26,11; 2 Pt 2,22 ) e tornassero al pubblico concubinato, siano del tutto inabili a quanto abbiamo detto, senza alcuna speranza di dispensa.

Se poi quelli, a cui spetta correggerli, fossero negligenti nel punirli come è stato disposto, i loro superiori puniscano con la dovuta pena sia loro per la loro negligenza, che i colpevoli per il loro concubinato.

E nei concili provinciali e sinodali si proceda severamente contro questi negligenti nel punire, o che hanno fama di aver commesso tale delitto, anche con la sospensione dal conferimento dei benefici o con altra pena proporzionata.

Se poi quelli, la cui destituzione spetta al Romano pontefice, dai concili provinciali o dai loro superiori fossero trovati degni della privazione per pubblico concubinato, con processo di inquisizione siano deferiti al sommo pontefice.

La stessa diligente indagine sia fatta in ogni capitolo generale e provinciale per quanto riguarda i propri membri, rimanendo in vigore le altre norme contro quelli di cui abbiamo parlato, e contro gli altri concubinari non pubblici.

Per "pubblici", poi, devono intendersi non solo quelli il cui concubinato è notorio per una sentenza o per una confessione giuridicamente rilevante o per l'evidenza del fatto, quando questo non possa essere tenuto nascosto, ma anche chi tiene una donna sospetta di incontinenza, o di cattiva fama, e, ammonito dal suo superiore, non la rimanda.

E poiché in alcune regioni vi è chi, avendo giurisdizione ecclesiastica, non si vergogna di accettare somme di denaro dai concubinari, sopportando che essi vivano in tale vergogna, si comanda sotto pena dell'eterna maledizione, che in futuro essi non tollerino in nessun modo o facciano finta di non vedere tali cose, con patti, composizioni, o con la speranza di qualche guadagno.

In caso diverso, oltre la pena predetta per la loro negligenza, siano obbligati e costretti senz'altro a restituire il doppio di quanto hanno ricevuto per questo motivo, da destinarsi ad usi pii.

I prelati, inoltre, si preoccupino in ogni modo di allontanare dai loro sudditi - anche con l'aiuto del braccio secolare - queste concubine; e non permettano che i figli nati dal loro concubinato vivano presso il padre.

Comanda ancora, questo santo sinodo, che la presente costituzione venga pubblicata anche nei predetti sinodi e capitoli, e che ognuno ammonisce diligentemente i propri sudditi ad allontanare le loro concubine.

Obbliga, inoltre, tutti i secolari, anche quelli che abbiano dignità regale, a non frapporre impedimento, con qualsiasi scusa, ai prelati che in ragione del loro ufficio intendono procedere contro i loro sudditi per questo concubinato.

E siccome ogni peccato di fornicazione è proibito dalla legge divina, e deve evitarsi sotto pena di peccato mortale, ammonisce tutti i laici, sia ammogliati che liberi, che vogliano astenersi ugualmente dal concubinato.

È infatti degno di molta riprensione chi ha la propria moglie e va dalla donna altrui; e chi è libero, se non intende astenersi, sposi, secondo il consiglio dell'apostolo. ( 1 Cor 7,9 )

Per l'osservanza di questo divino precetto, quelli che ne hanno il dovere si diano da fare in ogni modo, sia con ammonizioni salutari che con gli altri rimedi canonici.

Gli interdetti non si devono Porre troppo facilmente

Poiché dalla facile imposizione degli interdetti nascono, di solito, molti scandali, questo santo sinodo stabilisce che nessuna città, paese, castello, villaggio o luogo possa esser sottoposto ad interdetto ecclesiastico se non per una colpa dei luoghi stessi o del signore o dei reggitori o degli officiali.

Per colpa, invece, o per causa di qualsiasi altra persona privata questi luoghi non possano essere sottoposti ad interdetto da qualsiasi autorità ordinaria o delegata, se tale persona non è stata prima scomunicata e denunziata, ossia pubblicata in chiesa, e se i signori, o reggitori od officiali di tali località, richiesti dall'autorità del giudice, non hanno allontanato effettivamente entro due giorni la persona scomunicata, ovvero non l'hanno costretta a dare soddisfazione.

In caso poi che questa, anche se cacciata entro i due giorni, si ricredesse o offrisse riparazione, la celebrazione dei divini misteri può riprendere.

Ciò può aver luogo anche quando la questione è in pendenza.

Contro quelli che si appellano con troppa leggerezza

Perché le liti possano terminare più presto, non sia permesso riappellarsi per lo stesso aggravio o per la stessa causa interlocutoria, che non abbia valore definitivo.

E chi si appella senza seri e giusti motivi prima della sentenza definitiva sia condannato dal giudice di appello oltre che al pagamento delle spese, dei danni e dell'interesse, a pagare quindici fiorini d'oro alla parte appellata.

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