Diario dei colloqui con Fra Leopoldo

Torino, 22 Gennaio 1919

Oggi fui a visitare Fra Leopoldo due volte.

Prima alle ore 16, di ritorno dai bambini, per trasmettere nel suo cuore la mia impressione dolorosa eppur cara che avevo ricevuta da un colloquio intimo o dirò meglio da una vera confessione fatta dai bambini.

Oggi ero stato pregato di trovarmi alle 14 da loro e la donna di servizio mi raccontò qualche cosa che addolorò il mio cuore.

Ho lasciato giocare un po' i bambini, e poi ho condotto nella camera solo Mario, me l'ho seduto vicino, ho appoggiato la sua testa al mio petto e gli ho detto di dirmi la causa perché non era contento.

Il bambino pensò un momento e siccome il loro affetto per me non ha confini e quindi la loro confidenza è completa, si mise a parlare con una tale serietà che io non credetti ai miei sensi e raddoppiai l'attenzione perché nulla mi sfuggisse.

Quel bambino, che pochi minuti prima giocava con tanta spensieratezza, parlava con la gravità di un uomo.

Si accusò di non essere buono, di meritare delle sgridate, ma con risolutezza che mi stupì disse di non credere di meritare i titoli continui di cretino, asino, bestia che il papà gli somministrava insieme ad altri castighi, e qualche volta busse.

Egli era stanco ed aveva risoluto di affrontare il papà ad ogni costo.

Desiderava qualunque cosa, andare in collegio, fare il facchino, venire via con me, purché andasse via da quella casa.

Mi diceva che nessuna cosa lui era capace di far bene e che si sentiva così avvilito di vedersi maltrattato da non poter oltre seguitare una tale vita.

Io cercavo di fargli vedere certi suoi difetti e mettere in buona luce il papà. Inutile.

Egli mi parlò di una relazione che definì oscena, perché in loro presenza erano stati fatti atti e parole tali e mi disse che dopo la visita fatta a Fra Leopoldo e la scena di Aroldo, non aveva messo più piede in casa, ma che se vi fosse tornata l'avrebbero mandata via mal concia.

Mi disse che da quando non veniva più tutte le sere il papà usciva e una sera vide questa tale che l'aspettava sull'angolo.

Vi è nella sua voce ribellione e dolore.

La requisitoria continua, accusando il padre di continue bestemmie e imprecazioni, della paura di farsi veder pregare e del non sentirlo dire mai una parola buona, né avere in tutta la casa un quadro religioso.

Mi continua dicendo che il padre crede di dominarli con il bastone, ma non si accorge che ormai dinanzi a lui stanno zitti, ma appena andato via si fanno beffe.

E poi, povero ragazzo, mi domanda il perché suo papà e la sua mamma non sono insieme, perché la sua casa non è come le altre.

E qui Mario si mette a piangere e mi dice con convinzione che mi commuove: "Creda sig. Blondet, preferirei cento volte che la mia mamma fosse morta e il mio papà la ricordasse con buone parole, che saperla viva e sentirla disprezzare".

E così continua la requisitoria, parlandomi del perché è andata via l'altra domestica, di un fatto in materia di religione, del suo sentimento e desiderio di farsi buono e cristiano, mentre io lo esorto a pregare, a essere ubbidiente e chiamo da solo Aroldo.

Aroldo viene sorridendo non sapendo il perché e dopo aver riso un po', gli domando perché fra lui e Mario non vi era quella cordialità che tante volte avevo raccomandato.

Aroldo, che mi si era seduto vicino credendo di giocare e mi aveva messe le sue gambe sulle mie, mi guarda.

E quando gli chiedo con tenerezza, se era contento del modo che il papà trattava lui e Mario, Aroldo non parla, ma gli prende un singhiozzo, che non freno, sapendo che era bene.

Ed il povero ragazzo mi dice l'ingiustizia del papà verso Mario, dei brutti titoli che continuamente gli dà, del modo burbero che sempre li tratta in casa e la requisitoria è profonda quanto quella di Mario.

Egli mi racconta la scena del capodanno contro la giovine che non volevano vedere in casa e mi dice tutto il suo desiderio della mamma.

Mi racconta che una di queste sere, uscendo, erano passati davanti la casa della loro mamma e Mario correva avanti.

Il papà lo appellò con il solito titolo di cretino e si mise a ridere.

Aroldo ( sono le sue parole ) impressionato di essere passato vicino alla mamma, non poté ridere ed il papà vedendolo serio gli dette come un pugno.

Il ragazzo lo racconta indignato e continua la requisitoria che io non trascrivo.

Li ho chiamati entrambi, li ho supplicati di recitare ogni giorno la preghiera al Santo Crocifisso, li ho esortati a pregare per il papà e la mamma ed a volersi bene almeno fra di loro.

Poco dopo i due bambini erano felici.

Mi saltavano intorno, mi prendevano per le braccia e mi pregarono di ritornare ancora domani.

Fra Leopoldo ascoltò tutto questo mio dire con foga con le lagrime agli occhi, non potendosi capacitare che due bambini giungessero a tanto.

Egli dice che è opera del Signore, che io sia contento, che è proprio il Signore che aveva disposto tutto questo.

I bambini, mi dice, si ricorderanno di lei per tutta la vita e ciò che dispiace è che lei vada via, perché ne farebbe due ottimi cristiani.

Mi dice che i due bambini se pregheranno saranno la salvezza dei loro genitori.

Si impegna di pregare e dice che ogni cosa si risolverà bene.

Entra il Prof. Teodoreto e si mostra lieto di vedermi.

Io lo ringrazio del piacere procuratomi il 20 e gli dico che l'impressione avuta è stata tale che da due giorni non mi ha più lasciato.

Egli se ne compiace unitamente a Fra Leopoldo e mi dicono di star tranquillo, che essa rimarrà e che se il Signore lo ha permesso questo privilegio, aveva certamente i suoi fini.

Prima dell'arrivo del Prof. Teodoreto, Fra Leopoldo mi aveva accennato, che oggi il Signore era molto triste, ma che sembrava volesse dirgli ancora.

Invece gli fece capire, che non era contento e temeva venisse qualche altro flagello.

Gli chiedo quale, ma Fra Leopoldo non mi spiega.

Dice che l'epidemia purtroppo continuerà e teme ancora qualche cosa d'altro.

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