Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XXIV

I. La pace restituita, conseguenza del capitolo in cui si dice: « I giusti ti amano ». Si tratta anche dei detrattori

1. È la terza volta, fratelli, che torno da Roma.

Quest’ultimo ritorno è stato guardato dal cielo con occhio più clemente, e di lassù ci ha arriso un volto più sereno.

Si è acquietata la furia Leonina, ha avuto fine la malvagità, la Chiesa ha ritrovato la pace.

È stato ridotto al nulla al suo cospetto il maligno che in questi ultimi otto anni l’aveva sconvolta con un funesto scisma.

Ma ora io, da tanti pericoli sarò restituito a voi per nulla?

Sono stato donato ai vostri desideri; mi preparo a lavorare per il vostro profitto: sono vivo per i vostri meriti, voglio dedicare la mia vita ai vostri desideri e al bene delle vostre anime.

Volentieri accetto di continuare, come chiedete, il commento sui Cantico dei Cantici, e penso valga la pena di proseguire nel discorso interrotto, piuttosto che affrontare un nuovo argomento.

Temo tuttavia che il mio animo, non più abituato, e per lungo tempo occupato in molte cose, non solo tanto diverse, ma anche tanto indegne, non sia adatto, come si conviene, alla dignità della materia.

Ma vi darò quello che ho; potrà anche Dio, venendo in aiuto al mio fedele servizio, darmi ciò che non ho, perché possa darlo a voi.

Se non riuscirò nell’intento, si dia colpa alla mia incapacità, non alla mia volontà.

2. Il luogo da cui dobbiamo cominciare, se non erro, è questo: I retti ti amano ( Ct 1,3 ).

Ma prima di cominciare a spiegare che cosa significhi questo, vediamo di chi si tratti, vale a dire, chi sia che dice queste parole.

Poiché si esige da noi quello che l’autore non dice.

E forse è meglio che attribuiamo queste parole alle giovinette; aggiungerebbero queste alle altre parole.

Infatti avendo detto: Esulteremo e ci rallegreremo in Te, ricordando le tue mammelle migliori del vino ( Ct 1,3 ) e parlavano certamente alla madre, continuando il discorso, aggiungono: I retti ti amano.

Penso che dicano questo a causa di alcune del loro numero, le quali, anche se sembravano correre insieme a esse, non avevano però gli stessi sentimenti, ma cercavano il loro interesse e non camminavano con sincerità e semplicità, ma, invidiose della gloria speciale della madre, prendevano occasione di mormorare contro di essa dal fatto che fosse entrata sola nelle stanze del Re; il che non è altro se non quello di cui parla l’Apostolo dove dice: Pericolo nei falsi fratelli ( 2 Cor 11,26 ).

E sono queste a cui risponde in seguito la sposa per difendersi contro le amare critiche: Sono scura, ma bella, figlie di Gerusalemme ( Ct 1,4 ).

Dunque, per quelle che mormorano e bestemmiano, si dice da parte di quelle che sono buone, che sono semplici, umili e mansuete, per consolare la sposa: I retti ti amano.

« Non t’importi », dicono, « dell’iniqua e blasfema risposta di costoro, mentre risulta che i retti ti amano ».

Buona consolazione davvero, quando, facendo del bene, siamo ingiuriati dai cattivi, se le persone rette ci amino.

La stima dei buoni, con la testimonianza della buona coscienza è un buon rimedio contro le bocche maligne.

Nel Signore si glorierà l’anima mia; ascoltino gli umili e si rallegrino ( Sal 34,3 ).

Gli umili, dice, si rallegrino: purché piaccia agli umili, e sopporterò con serenità tutto quanto vorrà lanciare contro di me il livore delle persone perverse.

3. Penso dunque che in questo senso siano state aggiunte le parole: I retti ti amano.

La cosa non è assurda, io penso, perché trovo quasi dovunque gruppi di tali giovinette, le quali osservano curiosamente le azioni della sposa, non per imitarle, ma per criticarle.

Sono tormentate dal bene che vedono negli anziani, si pascono dei loro mali.

Le puoi vedere camminare in disparte, unirsi tra di loro, sedersi insieme, e subito sciogliere le lingue procaci alla detestabile mormorazione.

Una critica si aggiunge all’altra, senza lasciare spazio per respirare, tanta è la libidine della detrazione e di udire chi detrae.

Contraggono amicizia per dir male, concordi nel causare discordia.

Conciliano tra di loro inimicissime amicizie, e con mutui sentimenti di malignità si celebra l’odiosa riunione.

Non diversamente agirono un tempo Erode e Pilato, di cui racconta il Vangelo che diventarono amici in quel giorno ( Lc 23,12 ), cioè, nel giorno della passione del Signore.

Quelli che così si riuniscono insieme, non mangiano certamente la cena del Signore, ma piuttosto mescono e bevono il calice dei demoni, mentre gli uni portano con le loro lingue il veleno, e gli altri, aprendo a esso di buon grado le loro orecchie, lasciano entrare in se stessi la morte.

Così dunque, secondo il Profeta la morte entra per le nostre finestre ( Ger 9,21 ) quando andiamo a gara nel somministrarci il veleno mortale della detrazione, assecondando il prurito delle nostre orecchie e delle nostre bocche.

Non entri la mia anima nel circolo di coloro che parlano male del prossimo, perché Dio li odia, come dice l’Apostolo: I detrattori sono oggetto di odio da parte di Dio ( Rm 1,30 ).

E senti come Dio conferma questa sentenza parlando nel salmo: Chi parla male del suo prossimo, io lo farò perire ( Sal 101,5 ).

4. E non fa meraviglia, perché questo vizio, come è chiaro, è principalmente contrario e combatte la carità, che è Dio, più degli altri, come voi stessi potete rilevare.

Chiunque detrae, anzitutto si manifesta vuoto di carità.

E poi parlando male, che altro intende, se non che colui del quale sparla venga odiato e disprezzato da coloro ai quali ne parla male?

Dunque la lingua maldicente ferisce la carità in tutti quelli che l’ascoltano e, per quando dipende da lei, la uccide fin dalla radice e la spegne; non solo, ma porta danno anche a tutti quelli ai quali arriveranno quelle parole malediche attraverso coloro che le hanno udite.

Vedi con quanta facilità e in breve tempo può venire infettata, da una parola maliziosa, una grande moltitudine di anime.

Perciò dice di questi tali lo spirito profetico: La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza, i loro piedi corrono veloci a spargere sangue ( Sal 14,5 ).

Davvero tanto veloci quanto corre la parola.

Uno solo è quello che parla, e proferisce una sola parola, e tuttavia, quella sola parola in un solo momento infetta le orecchie e uccide le anime di una moltitudine di ascoltatori.

Da un cuore, infatti, reso amaro dal fiele del livore, non possono spandersi, attraverso lo strumento della lingua, che parole amare, come dice il Signore: La bocca parla dall’abbondanza del cuore ( Lc 6,45 ).

E vi sono varie specie di questa peste: alcuni vomitano il veleno della detrazione apertamente e senza riguardo, come viene loro in bocca, altri si sforzano di coprire la malizia che hanno nel cuore con un velo di verecondia, dato che non possono tenerla dentro.

Li potresti vedere premettere lunghi sospiri, e così, con una certa gravità e lentezza, con volto mesto, sopracciglia abbassate e voce lamentevole far uscire la maldicenza, che è allora tanto più credibile, quanto più si crede, da parte di coloro che ascoltano, proferita contro cuore, e più con dispiacere che con malizia.

« Mi dispiace molto – dice un tale – perché gli voglio bene, e non sono mai riuscito a correggerlo da questo difetto ».

E un altro: « Io sapevo bene questa cosa, ma non ne avrei mai parlato con nessuno.

Dato però che si è saputa da altri, non posso negare la verità: lo dico con dispiacere, le cose stanno così ».

E aggiunge: « Peccato! Perché in molte altre cose è bravo; ma in questa cosa, per dire il vero, non si può scusare ».

II. Rettitudine o tortuosità dell’anima

5. Ricordate queste poche cose contro il malignissimo vizio della detrazione, ritorniamo alla spiegazione del testo, e dimostriamo chi siano da intendere in questo luogo i retti.

Non penso infatti che vi sia alcuno che ragiona rettamente, il quale intenda retti secondo il corpo quelli che amano la sposa.

Dobbiamo perciò mostrare quale sia la rettitudine spirituale, ossia dell’anima.

È lo Spirito che parla, paragonando cose spirituali ad altre spirituali.

Dunque, Dio ha fatto l’uomo retto secondo l’anima, non secondo la materia corruttibile.

Lo ha infatti creato a sua immagine e somiglianza.

Ed egli, come canta nei Salmi, Retto è il Signore nostro Dio e in lui non c’è iniquità ( Sal 92,16 ).

Dunque, Iddio retto ha fatto l’uomo retto, simile a lui, cioè, senza iniquità, come non c’è iniquità in lui.

Ora, l’iniquità è un vizio del cuore, non della carne, e perciò tu devi custodire e rinnovare la somiglianza di Dio nella parte spirituale di te, non nella sostanza materiale e terrena.

Poiché Dio è spirito, e coloro che vogliono perseverare o diventare simili a lui, devono rientrare in se stessi, e realizzare questo nello spirito, con il quale contemplando la gloria di Dio a faccia svelata, vengano trasformati nella stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.

6. Ma Dio ha dato anche all’uomo un corpo eretto, forse perché questa rettitudine del corpo fatto di vile fango, gli ricordasse il dovere di conservare la rettitudine spirituale dell’uomo interiore che è stato fatto a immagine di Dio, e il decoro del corpo fosse ( all’occorrenza ) un rimprovero per la deformità dell’anima.

Che cosa vi è infatti di più indecente che avere, sotto un corpo eretto, un animo curvo?

È cosa perversa e turpe che un vaso di creta, qual è un corpo fatto di terra, abbia in alto gli occhi, con i quali possa liberamente guardare il cielo e rallegrarsi alla vista degli astri celesti, mentre la celeste spirituale creatura al contrario abbia i suoi occhi, cioè i sensi interni e gli affetti rivolti alla terra, e lei che doveva essere allevata nella porpora guazzi nel fango, come una scrofa, e affondi nello sterco.

« Vergognati, anima mia dice il corpo – considerando me.

Arrossisci, anima mia, per aver mutato la tua somiglianza divina con quella degli animali, vergognati di rivoltarti nella melma, tu che vieni dal cielo.

Creata retta a somiglianza del Creatore, hai ricevuto in aiuto me, simile a te, secondo la forma eretta delle membra.

Dovunque ti volti, sia in alto a Dio, sia in basso a me, – poiché nessuno ha in odio la propria carne – dappertutto trovi una bella immagine di te, dappertutto trovi, dall’insegnamento della sapienza, una familiare ammonizione che ti ricorda la tua dignità.

Mentre dunque io mantengo la mia prerogativa che ho ricevuto in grazia di te; come tu non ti confondi per aver perso la tua?

Perché mai il Creatore vede in te cancellata la sua somiglianza, mentre in me si conserva la tua, e continuamente sta davanti a te?

Ormai, ogni aiuto che ti era dovuto da me, l’hai cambiato in confusione: abusi del mio servizio, indegnamente abiti un corpo umano, bruto e bestiale spirito ».

7. Anime così piegate verso il basso non possono amare lo Sposo, non sono amiche dello Sposo, essendo amiche del mondo.

Chi vuole essere amico del mondo, si rende nemico di Dio ( Gc 4,4 ).

Dunque, cercare e aver gusto per le cose terrene, è una gobba dell’anima e, al contrario, meditare e desiderare le cose di lassù è rettitudine.

III. Senso o consenso, fede e azione

E perché questa rettitudine sia perfetta, deve estendersi sia ai sentimenti interni, sia agli atti esterni the devono concordare con essi.

Dirò dunque retto colui che in tutte le cose sente rettamente, e non lo contraddice nei suoi atti.

Lo stato dell’animo invisibile dev’essere dimostrato dalla fede e dall’azione.

Retto è colui che si dimostra cattolico nella fede e giusto nelle opere.

Diversamente non è retto, ma gobbo.

Così infatti sta scritto: Se offri rettamente e non dividi rettamente, pecchi ( Gen 4,7 secondo i LXX ).

Offri pertanto rettamente qualsiasi delle due cose, ma non puoi rettamente dividere l’una dall’altra.

Non essere un retto offerente e un cattivo divisore.

Perché dividi l’azione dalla fede?

Dividi iniquamente, uccidendo la tua fede: poiché la fede senza le opere è morta ( Gc 2,20 ).

Offri dunque in dono a Dio una cosa morta.

Se infatti la devozione è in certo qual modo l’anima della fede, che cos’è la fede che non produce opere per amore, se non un cadavere senz’anima?

Onori forse Dio come si deve offrendogli un dono puzzolente?

Sei tu in grado di placare, tu, uccisore della tua fede?

Come vi sarà ostia pacifica dove si trova, così furiosa discordia?

Non c’è da meravigliarsi se Caino insorse contro il fratello, avendo già prima ucciso la sua fede.

Che meraviglia, o Caino, se non guarda le tue offerte colui che non guarda te?

E non è strano che non guardi a te, che sei così diviso in te stesso.

Se applichi la mano alla devozione, perché rivolgi l’animo al livore?

Non puoi conciliarti Dio fino a che sei in discordia con te stesso; non plachi, ma pecchi, non ancora ferendo empiamente, ma dividendo non rettamente.

Anche se non ancora fratricida, sei già ritenuto fideicida.

Sei forse retto, anche quando alzi le mani verso Dio, mentre il livore e l’odio fraterno trascinano il tuo cuore verso la terra?

Come saresti retto, mentre, la tua fede è morta, le opere morte, nulla la devozione, e molta l’amarezza?

C’era sì la fede in te mentre offrivi doni a Dio, ma nella fede non vi era la dilezione: retta l’oblazione, ma crudele la divisione.

8. La morte della fede è la separazione della carità.

Credi in Cristo? Compi le opere di Cristo, affinché la tua fede sia viva: la dilezione animi la tua fede, gli atti ne siano la prova.

Non renda curvo un agire terreno colui che la fede celeste rende eretto.

Tu che dici di rimanere in Cristo, devi comportarti come egli si è comportato.

Che se cerchi la tua gloria, se porti invidia a chi è nella prosperità, se mormori contro chi è assente, se restituisci il male a chi ti fa del male, sappi che Cristo non ha fatto questo.

Fai professione di conoscere Dio, ma con i fatti lo neghi.

Certo non rettamente, ma empiamente hai dato la lingua a Cristo e l’anima al diavolo.

Ascolta dunque quello che dice: Quest’uomo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me ( Mt 15,8 ).

Non sei dunque retto, tu che non dividi rettamente.

Non puoi innalzare la testa schiacciata dal giogo del diavolo.

Non riesci a raddrizzarti finché sei dominato dall’iniquità.

Le tue iniquità hanno superato il tuo capo, e come carico pesante ti hanno oppresso.

L’iniquità poi siede sopra un talento di piombo ( Zc 5,7-8 ).

Vedi come non basta per fare l’uomo retto una fede anche retta, ma che non opera per amore.

Ma chi è senza amore, non può amare la sposa.

E neppure le opere, per quanto rette, possono rendere retto il cuore, senza la fede.

Chi infatti può chiamare retto uno che non piace a Dio?

Ora, senza fede è impossibile piacere a Dio ( Gal 5,6 ).

Chi non piace a Dio, non può Dio piacere a lui.

Perché colui a cui piace Dio, non può dispiacere a Dio.

Invece, a chi non piace Dio, non piace neppure la sua sposa.

Come dunque può essere retto chi non ama Dio, né la Chiesa di Dio, alla quale vien detto: I retti ti amano?

Se dunque, né la fede senza le opere, né le opere senza la fede sono sufficienti a rendere l’animo retto, noi, che crediamo in Cristo, o fratelli, cerchiamo di fare rette le nostre vie e i nostri sentimenti.

Eleviamo a Dio i nostri cuori con le nostre mani, onde essere trovati totalmente retti, dimostrando con azioni rette la rettitudine della nostra fede, mostrandoci amanti della sposa, amati dallo Sposo, Gesù Cristo nostro Signore, che è Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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