Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XXX

I. Per quale motivo si dice: « Mi posero a custodire la vigna » e quali sono le vigne

1. Mi hanno messa a guardia delle vigne ( Ct 1,6 ).

Chi? Coloro che combattevano contro di te, che or ora hai ricordato?

Ascoltate e comprendete come la sposa ammetta di aver tratto giovamento da quelli stessi che l’hanno fatta soffrire.

E non fa meraviglia, se pensiamo che il motivo per cui l’hanno combattuta era l’intenzione di correggerla.

Chi non sa infatti che molti spesso sono perseguitati per amore e a loro vantaggio?

Vediamo ogni giorno quanti per i duri rimproveri dei superiori migliorano la loro condotta, e vengono spinti più in alto!

Dunque dimostriamo piuttosto come si sia combattuto contro la Chiesa da parte dei figli di sua madre, con animo ostile, ma con utile danno.

Questo è meraviglioso, quando coloro che intendono recare danno giovano invece, anche contro voglia.

L’interpretazione che abbiamo dato sopra considera l’uno e l’altro senso: non mancarono infatti di quelli che furono gelosi di lei in senso buono, e altri con animo cattivo, lottando gli uni e gli altri con diversa intenzione; ma sia gli uni che gli altri le portarono giovamento.

Ed essa si gloria di aver guadagnato da quanto ha sofferto da parte dei suoi nemici, tanto che, in cambio di una vigna che essi sembravano averle tolto, essa gode di essere stata costituita su molte vigne.

«

Questo – dice – mi hanno procurato combattendo contro di me e contro la mia vigna coloro che dicono: Distruggete, distruggete anche le sue fondamenta ( Sal 137,7 ), che invece di una vigna ne ho parecchie ».

Questo significa quanto dice in seguito: La mia vigna, la mia, non l’ho custodita ( Ct 1,6 ) aggiungendo come motivo per cui ha agito così, di non averne più una sola ma parecchie da custodire.

Così è la lettera.

2. Ma se noi seguiamo semplicemente questa lettera, contentandoci solamente di ciò che appare superficialmente, possiamo pensare che la Sacra Scrittura ci parli di quelle vigne corporee e terrene che vediamo ogni giorno alimentate, dalla pioggia del cielo e dai concimi della terra, donde traggono il vino, nel quale c’è lussuria: e così ci sembrerà, di non aver ricavato dalla divina Scrittura nulla che sia degno, non dico della sposa del Signore, ma che convenga a qualsiasi altra.

Come può essere conveniente per una sposa la custodia delle vigne?

Ma, anche se vogliamo pensare, che ciò sia conveniente da che cosa potremmo dedurre che la Chiesa sia mai stata incaricata di quest’ufficio?

Forse che il Signore si occupa delle vigne?

Ma se in senso spirituale per vigne intendiamo le chiese, cioè i popoli fedeli, secondo il senso del Profeta che dice: La vigna del Signore, degli eserciti è la casa d’Israele ( Is 5,7 ), allora comincerà a divenire chiaro per noi come non sia affatto indegno per la sposa l’essere fatta custode delle vigne.

3. Penso che in questo stesso apparirà una non piccola prerogativa, se si osservi diligentemente quanto in queste vigne la Chiesa abbia dilatato per tutto il mondo i suoi confini, da quel giorno in cui a Gerusalemme era stata combattuta e sconvolta, insieme con quella novella piantagione, vale a dire la moltitudine dei credenti, dei quali è detto che erano un solo cuore e un’anima sola ( At 4,32 ).

Ed è proprio quella la vigna che adesso dice di non aver custodito, non però per mancanza di sapienza.

Se infatti questa venne sradicata di la per opera della persecuzione, fu perché venisse trapiantata altrove, e fosse affidata ad altri agricoltori che ne recassero i frutti a suo tempo.

II. Qual è la vigna della sposa e com’è coltivata o qual è il suo vino, e fino a che punto è estesa

Infatti non fu del tutto distrutta, ma si trasferì; anzi crebbe e si dilatò, essendo benedetta dal Signore.

E ora alza i tuoi occhi, e vedi se non ha coperto i monti la sua ombra e i suoi rami i più alti cedri ( Sal 80,11 ), se non ha esteso i suoi tralci fino al mare, e non arrivano al fiume i suoi germogli ( Sal 80,12 ).

Non fa meraviglia: È l’edificio di Dio, è il campo di Dio ( 1 Cor 3,9 ).

Egli fonda quest’edificio, egli propaga questa vigna, la coltiva e la pota, perché porti più frutto ( Gv 15,2 ).

E quando mai potrebbe privare della sua operosa cura quella che la sua destra ha piantato?

Non può essere trascurata quella vigna nella quale gli Apostoli sono i tralci, il Signore la vite, e il Padre l’agricoltore.

Piantata nella fede, mette radici nella carità, zappata con la vanga della disciplina, concimata con le lacrime dei penitenti, irrigata con le parole dei predicatori, porta così abbondanza di vino in cui c’è letizia, ma non lussuria, vino soavissimo, che non eccita affatto la libidine.

Certamente questo vino rallegra il cuore dell’uomo, e sappiamo che anche gli Angeli lo bevono con gioia.

Anche essi godono infatti per la conversione e la penitenza dei peccatori, assetati come sono della salvezza degli uomini.

Le lacrime dei penitenti sono il loro vino, giacché il dolore della contrizione è per essi sapore di grazia, gusto d’indulgenza, giocondità della riconciliazione, sanità dell’innocenza riacquistata, soavità della coscienza tornata serena.

4. Dunque da quella sola vigna che sembrava ormai distrutta dalla tempesta di una crudele persecuzione, quante altre se ne propagarono e divennero fiorenti in tutta la terra!

Sopra tutte queste è stata posta come custode la sposa, perché non si contristasse per non aver custodito la sua prima vigna.

Consolati, figlia di Sion: se Israele fu colpito in parte da cecità, che cosa perdi tu?

Ammira il mistero e non piangere per il danno; dilata il seno e accogli la pienezza delle genti.

Dì alle città di Giuda: Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la Parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani ( At 13,46 ).

A Mosè in verità venne offerto da Dio, se avesse voluto abbandonare ed esporre alla divina vendetta il popolo prevaricatore, di diventare lui stesso padre di una grande nazione.

Ma egli non volle. Perché?

Certamente a causa del grandissimo affetto che lo teneva legato al popolo ebreo, e perché non cercava l’utile proprio, ma l’onore di Dio, e non ciò che poteva giovare a sé solo ma a molti.

Questo nei riguardi di Mosè.

5. Ma io penso che, per un disegno più occulto, questo compito sia stato da Dio, per la sua grandezza, riservato alla sposa, perché essa e non Mosè fosse costituita sopra un grande popolo.

Non era infatti conveniente che l’amico dello Sposo portasse via alla sposa la benedizione.

E perciò non Mosè, ma la novella sposa alla quale viene detto: Andate in tutto il mondo, e predicate il Vangelo ad ogni creatura ( Mc 16,15 ), viene effettivamente mandata a un grande popolo.

Non ve ne poteva essere di più grande che tutto il mondo.

E tutti si arresero a chi portava la pace, a chi offriva la grazia.

Ma non come la grazia, così anche la legge.

Che differenza tra la soavità con cui la grazia si presentava a ogni coscienza, e l’austerità invece della legge!

Chi, infatti, accoglierebbe nello stesso modo uno che condanna e uno che consola, uno che esige e uno che condona, uno che percuote e uno che abbraccia?

Non erano certamente accolte con uguali sentimenti l’ombra e la luce, l’ira e la pace, il giudizio e la misericordia, la figura e la verità, la verga e l’eredità, il morso e il bacio.

Infine, le mani di Mosè sono pesanti, come dimostrano Aronne e Ur; pesante il giogo della legge, come ammettono gli stessi Apostoli, che lo dicono impossibile a portarsi da loro stessi e dai padri; giogo pesante e vile il premio: poiché di terra si parla nella promessa.

Per questo Mosè non è stato mandato a un grande popolo.

Tu invece, madre Chiesa, che hai le promesse della vita presente e di quella futura, facilmente ottieni di venire accolta da tutti a causa del doppio vantaggio, cioè per il giogo soave e per il regno sublime.

Cacciata dalla città vieni ricevuta da tutti, che sono così allettati da quanto prometti, da non spaventarsi più per quanto loro imponi.

Perché piangere ancora la perdita di una sola vigna, mentre ne hai in cambio un compenso così grande?

Dopo essere stata derelitta, odiata, senza che alcuno passasse da te, io farò di te l’orgoglio dei secoli, la gioia di tutte le generazioni.

Tu succhierai il latte dei popoli, succhierai le ricchezze dei re; e saprai che io sono il Signore tuo salvatore e tuo redentore, io il forte di Giacobbe ( Is 60,15.16 ).

In tale senso la sposa dice di essere stata posta custode nelle vigne, e di non aver custodito la sua vigna.

III. L’anima è la vigna: quali sono le sue viti, quali i grappoli, quale il vino; la lamentela della sua vigna

6. Io, leggendo questo passo, sono solito rimproverarmi di aver accettato la cura delle anime, mentre non sono capace di custodire la mia, intendendo per vigne le anime.

E se anche tu accetti la nostra interpretazione, vedi se è anche giusto che per conseguenza, intendiamo per vite la fede, per tralci le virtù, per grappoli le opere e per vino la devozione.

Infatti, come non c’è vino senza vite, così non c’è virtù senza fede.

Senza fede, infatti, è impossibile piacere a Dio ( Eb 11,6 ) forse sarà inevitabile dispiacergli.

E poi tutto quello che non viene dalla fede è peccato ( Rm 14,23 ).

Hanno dunque dovuto considerare questo coloro che mi hanno affidato la custodia delle vigne, se cioè avessi custodito la mia.

Ma per quanto tempo essa è rimasta incolta e deserta, ridotta in solitudine!

Non produceva più affatto vino, essendo seccati i tralci delle virtù a causa della sterilità della fede.

La fede c’era, ma morta era infatti senza opere.

Questo nella vita secolare.

Convertitomi al Signore ho cominciato a custodirla un po’ meglio, ma non come conveniva.

E chi mai è capace di farlo come si deve?

Neppure il santo Profeta, il quale dice: Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il suo custode ( Sal 127,1 ).

Anche oggi so di essere esposto a molte insidie di colui che colpisce con le sue saette l’innocente.

Quanto danno, o mia vigna, ci è stato arrecato dalle sue furtive macchinazioni, proprio in quel tempo in cui con maggior vigilanza abbiamo cominciato ad aver cura e custodia di noi!

Quanti e quali grappoli di opere pie sono stati soffocati dall’ira, e portati via dalla iattanza, o insozzati dalla vanagloria!

Quanto abbiamo sofferto da parte della passione della gola, dallo spirito di accidia; dalla furia del vento e della tempesta!

Tale ero io; e tuttavia mi hanno posto come custode, nelle vigne, senza considerare che cosa facessi o avessi fatto per la mia, e senza por mente all’ammonimento del maestro che dice: Se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? ( 1 Tm 3,5 ).

7. Mi stupisce l’audacia di parecchi che vediamo non raccogliere dalle loro vigne se non triboli e spine, e tuttavia non hanno timore di ingerirsi anche nelle vigne del Signore.

Sono ladri e briganti, non custodi, né vignaioli.

Ma questo riguarda loro.

Guai a me anche adesso per il pericolo che incombe alla mia vigna, anzi adesso specialmente, perché intento a più cose, sono costretto a essere meno diligente e sollecito alle singole.

Non mi è impossibile circondarla di siepe, né scavare in essa un torchio. Ahimè!

È stato distrutto il suo muro di cinta, e la vendemmiano tutti quelli che passano per la via.

È esposta senza difesa alla tristezza, aperta all’iracondia e all’impazienza.

La saccheggiano con avidità certe piccole volpi delle incombenti necessità; irrompono da ogni parte le, ansietà, i sospetti, le sollecitudini; raramente mancano la confusione dei discordanti e le molestie delle cause.

Non ho possibilità di impedire tutto questo, non facilita di ritirarmi in disparte, non ho tempo per pregare.

Quale pioggia di lacrime mi sarà sufficiente per innaffiare la sterile anima mia?

Volevo dire: la mia vigna; mi sono capitate quelle parole del salmo che si usano citare, ma il senso è lo stesso; né mi rincresce dell’errore che è portato dalla similitudine, poiché parliamo non della vigna, ma dell’anima.

Perciò si pensi all’anima quando si legge vigna, in quanto, sotto la figura della sterilità della vigna si deplora quella dell’anima.

Con quali lacrime dunque irrigherò la sterile mia vigna?

Tutti i suoi tralci si sono disseccati per la mancanza di umore; giacciono senza frutto, perché manca la linfa.

O Gesù buono, quanti fasci di sarmenti da questi tralci vengono ogni giorno bruciati nel sacrificio del mio cuore contrito davanti a te!

Sia, ti prego, per te sacrificio il mio spirito contrito, non disprezzare, o Dio, il mio cuore affranto e umiliato.

IV. All’uomo spirituale si addicono le parole: « La mia vigna non ho custodito » e come si dice « perdere l’anima »

8. Anch’io sto applicando alle mie imperfezioni questo capitolo.

Sarà però perfetto chiunque potrà dire diversamente: Non ho custodito la mia vigna in quel senso di cui parla il Signore nel Vangelo: Chi avrà perduto la sua anima per me, la troverà ( Mt 10,39 ).

Veramente capace e degno di essere posto come custode delle vigne colui nel quale la cura della propria vigna non impedisce o rallenta la diligenza e sollecitudine per quelle che gli sono affidate, dal momento che non cerca il proprio interesse, né ciò che è utile a sé, ma quello che lo è a molti.

E in verità, se a san Pietro fu affidata la cura di tante vigne che venivano dalla circoncisione, fu appunto perché era un uomo disposto ad andare anche in carcere e alla morte ( Lc 22,33 ); fino a tal punto non era trattenuto dal prodigarsi per le anime affidategli dall’amore della sua vigna, vale a dire, dell’anima sua.

E giustamente anche a Paolo venne affidata tra i Gentili una tale selva di vigne, che anche lui non si preoccupò della custodia della sua propria, tanto che era pronto non solo a essere legato, ma anche a morire in Gerusalemme per il nome del Signore Gesù Cristo.

E diceva: Non temo nessuna di queste cose, né ritengo la mia vita più preziosa di me ( At 20,24 ).

Ottimo estimatore delle cose, che non stimava doversi preferire a sé nulla delle cose sue.

9. Quanti sono coloro che alla propria salvezza preferirono poco e vilissimo denaro!

Paolo non vi preferì neppure la vita.

Non la stimo, dice, più preziosa di me.

Dunque, fai differenza tra te e la tua vita?

Giudichi prudentemente se ritieni te stesso più importante di qualsiasi cosa tua.

Ma come la tua anima non è lo stesso che te?

Penso che, siccome Paolo camminava già allora secondo lo spirito, e con la mente consentiva alla legge di Dio perché è buona, ritenesse questa sua mente come la parte principale e suprema di sé e la designasse come se stesso piuttosto che una qualsivoglia cosa sua; del resto, ciò che si sa appartenere alla natura inferiore, è aderire alla inferiore e più vile essenza, cioè al corpo, con il compito di dargli vita e senso, calore e appetito, tutto questo dico, carnale e sensuale, l’uomo spirituale giudicandolo indegno di chiamarlo con il nome di sé, pensò di considerarlo come cosa sua piuttosto che espressione personale di sé.

« Quando dico me » egli dice « intendo dire ciò che in me vi è di più eccellente, in cui sto per la grazia di Dio, vale a dire la mente e la ragione.

Quando dico anima mia, ciò significa la parte inferiore, ordinata ad animare la carne e che ne risente la concupiscenza.

Ammetto che io sono stato questo, ma ora non più, perché non cammino più secondo la carne, ma secondo lo spirito.

Vivo io, non più io, ma vive in me Cristo ( Gal 2,20 ).

Secondo la mente io, secondo la carne non io.

Che cosa vuol dire se anche ora l’anima sperimenta concupiscenze carnali?

Non sono più io che opero questo, ma il peccato che è in me ( Rm 7,17 ).

E perciò non dico me, ma mio, ciò che in me sente carnalmente, e questo non è altro che la stessa anima ».

In realtà è porzione dell’anima il suo affetto carnale, e la vita che essa dà al corpo.

Quest’anima dunque Paolo teneva in minor conto di sé, pronto non solo a essere legato, ma anche a morire in Gerusalemme per il Signore, e così, secondo il consiglio di lui, perdere la propria anima.

10. Anche tu, se abbandoni la tua volontà, se rinunzi perfettamente alle voluttà del corpo, se crocifiggi la tua carne con i vizi e le concupiscenze, mortificando le tue membra che sono sulla terra, ti dimostri imitatore di Paolo, non stimando l’anima tua, come ha fatto lui, più preziosa di te stesso; ti dimostrerai anche discepolo di Cristo, sapendola anche perdere salutarmente.

In verità con più prudenza la perdi per conservarla, che non perderla volendola conservare.

Poiché chi vorrà salvare l’anima sua, la perderà ( Mt 16,25 ).

V. La correzione è utile per coloro che attendono il cibo e l’abbraccio

Che dite qui, voi che state attenti ai cibi e trascurate i costumi?

Ippocrate e i suoi seguaci insegnano a salvare l’anima in questo mondo, Cristo e i suoi discepoli a perderla.

Chi scegliete tra i due come maestro?

Manifesta da che parte stia colui che così ragiona: « Questo fa male agli occhi, questo alla testa, quello al petto o allo stomaco ».

È chiaro che ognuno adduce ciò che ha appreso dal suo maestro.

Non avete letto nel Vangelo queste cose, e neanche nei Profeti o nelle lettere degli Apostoli.

Questa è una sapienza che non ti ha rivelato lo Spirito del Padre, ma che ti viene dalla carne e dal sangue.

Ma senti che cosa pensano di essa i nostri medici: La sapienza della carne, dicono, è morte ( Rm 8,6 ).

Devo forse proporre a voi la dottrina di Ippocrate, di Galeno, di Epicuro?

Sono discepolo di Cristo, parlo ai discepoli di Cristo.

È peccato per me insegnarvi principi estranei alla dottrina di Cristo.

Epicuro insegna il piacere, Ippocrate a star bene; il mio Maestro insegna a disprezzare l’una e l’altra cosa.

Ippocrate si applica con cura a sostentare la vita dell’anima nel corpo, Epicuro studia come procurarle piacere, il Salvatore insegna a perderla.

11. Che cos’altro senti alla scuola di Cristo all’infuori di quanto è stato detto poc’anzi: Chi ama l’anima sua la perderà?

La perderà, disse, sia dandola come martire, sia affliggendola come penitente.

Sebbene sia anche una specie di martirio mortificare con l’aiuto dello spirito le opere della carne, un martirio più mite di quello in cui si colpiscono con il ferro le membra, ma più molesto per la sua durata.

Vedi come, con queste parole il mio Maestro condanna la sapienza della carne, per la quale, o ci si immerge nei piaceri della lussuria, o si cura più di quanto sia necessario la stessa salute del corpo.

Che poi la vera sapienza non cerchi sfogo nei piaceri lo hai udito dal saggio quando dice che essa non si trova nel paese di quelli che vivono nelle delizie ( Gb 28,13 ).

Colui invece che l’ha trovata dice: Ho amato la sapienza più della salute e della bellezza ( Sap 7,10 ).

Se l’ha amata più della salute e della bellezza, quanto maggiormente più della voluttà e della turpitudine?

Ma che cosa giova astenersi dalla voluttà, e preoccuparsi poi ogni giorno nello studio delle diverse complessioni e nella ricercatezza e diversità dei cibi?

« I legumi, dice uno, sono flatulenti, il formaggio appesantisce lo stomaco, il latte fa male alla testa, il petto non sopporta che si beva acqua, i cavoli fanno venire la malinconia, i porri accendono la collera, i pesci di stagno o di acqua melmosa non convengono affatto alla mia costituzione ».

Che cosa si può trovare in tutti i fiumi, campi, orti o dispense che tu possa mangiare?

12. Pensa, ti prego, che tu sei monaco, non medico, e non devi giudicare della tua complessione, ma della tua professione.

Provvedi, di grazia, prima alla tua pace, non gravare poi il lavoro di chi ti serve, non gravare la casa, non gravare la coscienza, non dico tua, ma altrui; di colui, cioè, che sedendo accanto a te e mangiando ciò che gli viene servito, è portato a mormorare vedendo, te che, solo, non mangi.

Egli si scandalizza o per la tua irragionevole delicatezza, o supponendo durezza in chi ha il dovere di provvedere ai tuoi bisogni.

Si scandalizza, dico, il fratello, per la tua singolarità, giudicandoti troppo ricercato, in quanto pretendi cose superflue, oppure giudicando me troppo duro, quasi non provvedessi a te il necessario nutrimento.

A torto alcuni si fanno forti dell’esempio di san Paolo, il quale esorta il discepolo a non bere acqua, ma a far uso di un po’ di vino, a causa dello stomaco e delle sue frequenti indisposizioni ( 1 Tm 5,23 ).

Costoro devono riflettere prima che l’Apostolo non consiglia una tal cosa a se stesso, e non è neppure il discepolo che la richiede.

Poi pensino che Paolo non prescrive questo a un monaco, ma a un vescovo, la cui vita era oltremodo necessaria alla ancor tenera nascente Chiesa.

Tale era Timoteo. Dammi un altro Timoteo, e io te lo nutro, se vuoi, anche con oro, e gli do balsamo da bere.

Del resto tu pensi a te per compassione verso te stesso.

Confesso che questo modo di agire mi è sospetto, e temo che tu ti lasci illudere, sotto il pretesto di discrezione, dalla prudenza della carne.

Voglio soltanto raccomandarti questo: se proprio ti piace l’autorità dell’Apostolo circa il bere vino, non tralasciare quel « poco » che egli vi ha aggiunto.

E basta su questo argomento.

Ma torniamo alla sposa per imparare da lei a non custodire, con vantaggio, la nostra propria vigna, noi specialmente, ai quali è affidata la custodia delle vigne dello Sposo della Chiesa, Gesù Cristo Signore nostro, che è benedetto nei secoli.

Amen.

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