Sermoni sul Cantico dei Cantici

Indice

Sermone XXXIII

I. Le tre cose che indaga l’anima che desidera conoscere Dio

1. Indicami, o amore dell’anima mia, dove vai a pascolare il gregge, dove riposi nel meriggio ( Ct 1,7 ).

E un altro ha detto: Fammi sapere perché mi sei avversario ( Gb 10,2 ), con le quali parole non si lamenta della sentenza, ma ne ricerca la causa; chiedendo di poter trarre ammonimento dai flagelli, non di esserne liberato.

E un altro ancora prega dicendo: Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri ( Sal 25,4 ).

Quali siano questi sentieri lo spiega altrove: Mi guidi, dice, per i sentieri della giustizia ( Sal 23,3 ).

Dunque, l’anima che brama conoscere Dio, non cessa di cercare queste tre cose: la giustizia, il giudizio e il luogo dove abita la gloria dello Sposo; in queste cose essa cerca la via per cui camminare, la cautela con cui camminare, e la dimora verso la quale dirigere i suoi passi.

Di questa dimora così parla il Profeta: Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco, abitare nella casa del Signore ( Sal 27,4 ); e ancora: Signore, amo la casa dove dimori, e il luogo dove abita la tua gloria ( Sal 26,8 ).

Delle altre due cose si dice: Giustizia e diritto sono la base del tuo trono ( Sal 89,15 ).

Giustamente l’anima devota cerca queste tre cose in quanto sono la sede di Dio e la base del suo trono.

E si confanno bene alla prerogativa della sposa, e servono alla perfezione delle sue virtù; così la forma della giustizia la rende bella, la conoscenza dei giudizi di Dio cauta, e il desiderio della presenza, ossia della gloria dello Sposo, la fa casta.

Tale veramente conviene che sia la sposa del Signore, bella, erudita e casta.

L’ultima delle petizioni che ho enumerato è quella che è espressa nel passo che stiamo commentando.

Chiede difatti a colui che l’anima sua ama di indicarle dove pascoli il gregge, dove riposi nel meriggio.

2. E in primo luogo. osserva con quale grazia distingue l’amore carnale dall’affetto spirituale, mentre, volendo esprimere il diletto più con l’affetto che con il nome, non dice semplicemente: colui che amo, ma: O amore dell’anima mia, designando la dilezione spirituale.

II. Qual è il luogo del pascolo e insieme del riposo, o quale la distanza di questo pascolo da quello

Bada poi con cura a quello che tanto le aggrada nel luogo del pascolo.

Tiene anche a mente l’ora meridiana, ed esamina in modo particolarissimo il luogo in cui colui che pasce il gregge riposa, nello stesso tempo, il che è indizio di grande sicurezza.

Penso infatti che sia stato aggiunto « si riposa » per indicare che in quel luogo non c’è bisogno di stare in piedi e di vegliare, per custodire il gregge, e mentre il pastore si distende all’ombra e si riposa, il gregge è libero di pascolare.

Felice regione, nella quale le pecore possono entrare e uscire a volontà, senza che alcuno le disturbi.

Chi mi darà di vedere voi, e me con voi, condotte al pascolo sui monti, insieme con quelle novantanove che, come si legge, sono state lasciate là, mentre il Pastore è disceso con tanta degnazione a cercare quella che si era smarrita?

Sicuro certamente riposa vicino, lui che non ha esitato ad andare lontano, perché le lasciava al sicuro.

Con ragione la sposa sospira verso quel luogo, giustamente ambisce quel luogo di pascolo e di pace, di quiete, di sicurezza, luogo di esultanza, di ammirazione e di stupore.

Anche per me, che sono, ahimè, povero e misero e vivo lontano da quel luogo, e da lontano lo saluto, il solo pensarvi mi spinge al pianto, proprio secondo i sentimenti e le parole di coloro che dicevano: Sui fiumi di Babilonia sedevamo piangendo al ricordo di Sion ( Sal 137,1 ).

Piace esclamare anche a me con la sposa e con il Profeta: Loda il tuo Dio, o Sion, perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte, in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli ( Sal 147,1.2 ).

Chi è che non desideri ardentemente pascolare là, a motivo della pace, dell’abbondanza del nutrimento, della sazietà?

Non vi è là alcun timore, alcun fastidio, nulla vi manca.

Il paradiso offre una dimora sicura, il Verbo vi è dolce pascolo, ricchezza stragrande l’eternità.

3. Ho anch’io il Verbo, ma nella carne; e mi è somministrata la verità, ma nel sacramento.

L’Angelo si pasce con abbondanza di fior di frumento e si sazia di puro grano; per il momento io devo contentarmi della corteccia, per così dire, del sacramento, della crusca della carne, della paglia della lettera, del velo della fede.

E queste cose sono tali che, gustate, danno la morte, se non ricevono un certo condimento delle primizie dello Spirito.

C’è davvero per me la morte nella pentola, se la vivanda non viene raddolcita dalla farina del Profeta.

Così il sacramento, senza lo Spirito, viene ricevuto a condanna, e la carne non giova a nulla, la lettera uccide, e la fede è morta.

Ma è lo Spirito che vivifica, perché io non muoia in esse.

Ma per quanta abbondanza di Spirito abbiano queste cose, non si riceve mai con uguale giocondità la corteccia del sacramento e il fior di frumento, la fede e la visione, il ricordo e la presenza, l’eternità e il tempo, il volto e lo specchio, l’immagine di Dio e la forma di servo.

In realtà in tutte queste cose la fede ha molto campo, l’intelligenza poco.

Ora, è forse uguale il sapore che ha l’intelligenza e quello che ha la fede, essendo questa attribuita a merito, quella a premio?

Vedi dunque che c’è distanza tra i pascoli come tra i luoghi, e come il cielo è più alto della terra, così chi abita in esso abbonda di beni più sublimi.

4. Affrettiamoci perciò, o figli, affrettiamoci verso il luogo più sicuro, verso il pasto più delizioso, verso il campo più ricco e fertile.

Affrettiamoci per abitare senza paura, per abbondare senza che nulla manchi, per banchettare senza provare nausea.

Tu infatti, o Signore degli eserciti, che con tranquillità giudichi tutte le cose, con uguale sicurezza ivi fornisci pascolo a tutti, tu che sei nello stesso tempo Signore degli eserciti e pastore delle pecore.

III. Quale il giorno nel cui meriggio lo sposo riposa

Dunque, tu pasci e riposi nello stesso tempo, ma non qui.

Stavi in piedi quando dal cielo guardavi una delle tue pecorelle, Stefano, circondato da lupi sulla terra.

E perciò ti prego, mostrami dove pasci il gregge, dove riposi nel meriggio, vale a dire, tutto il giorno; quel meriggio infatti è tutto il giorno che non conosce sera.

E per questo è migliore quel giorno nei tuoi atri che mille altrove, perché è un giorno che non conosce tramonto.

Ma forse ebbe un mattino, quando cioè spuntò per noi quel giorno santo, per le viscere davvero di misericordia del nostro Dio, per cui venne a visitarci dall’alto un sole che sorge.

Veramente allora, abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia dentro il tuo tempio ( Sal 48,10 ), quando, in mezzo all’ombra di morte brillò per noi la luce dell’oriente mattutino e vedemmo la gloria del Signore.

Quanti re e profeti vollero vedere e non videro!

Per quale ragione, se non perché era notte, e non era ancora giunto quell’aspettato mattino a cui era stata promessa la misericordia?

Per questo pregava un tale: Al mattino fammi sentire la tua misericordia, perché in te ho sperato ( Sal 143,8 ).

5. Un’aurora ha preceduto infatti questo giorno, da quando il Sole di giustizia fu annunziato alla terra per mezzo dell’arcangelo Gabriele, e la Vergine concepì nel suo utero per opera dello Spirito Santo, e partorì restando Vergine, e poi in seguito fino a che fu veduto sulla terra, e visse tra gli uomini.

Poiché fino a questo tempo apparve una debole luce, come di aurora, tanto che quasi tutti tra gli uomini non si erano accorti che stava spuntando il giorno.

Se l’avessero conosciuto, è detto, non avrebbero mai crocifisso il Re della gloria ( 1 Cor 2,8 ).

E ai pochi discepoli veniva detto: Ancora per poco la luce è tra voi ( Gv 12,35 ), perché era l’aurora e l’inizio, o piuttosto l’indizio del giorno, mentre il Sole ancora nascondeva i suoi raggi, e non li spandeva sulla terra.

Anche Paolo diceva: La notte è avanzata, il giorno è vicino ( Rm 13,12 ), significando che allora c’era ancora una luce così debole, che preferì dire che il giorno era vicino, piuttosto che era arrivato.

E quando diceva questo? Quando in realtà il Sole, tornato dagli inferi, già si era levato in alto nel cielo.

Quanto più quando ancora la somiglianza della carne del peccato, a guisa di densa nube, copriva l’aurora, come tutte le sofferenze del nostro corpo, tanto che non mancò né una dolorosa morte, né una croce obbrobriosa, quanto più, dico, vi fu allora una luce molto tenue e fioca, che sembrava provenire più da un’aurora che dalla presenza del Sole.

6. Era dunque un’aurora, e anche abbastanza oscura tutta quella vita di Cristo sulla terra, fino a che tramontato, e poi nuovamente risorto, con la luce più splendente della sua presenza, mise in fuga l’aurora, e, fattosi mattino, la notte fu assorbita nella vittoria.

Così riferisce il Vangelo: Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole ( Mc 16,2 ).

Era veramente mattino, quando si levava il sole.

Risorgendo si rivestì di una nuova bellezza e di una luce più serena del solito, perché, anche se lo avevamo conosciuto secondo la carne, ora però non era più così.

Sta scritto nel Profeta: Si ammanta di splendore, il Signore si riveste, si cinge di forza ( Sal 93,1 ), perché ha dissipato come una nuvola le infermità della carne, rivestendo il manto della gloria.

Veramente, da allora il sole si è elevato, e facendo scendere pian piano i suoi raggi sulla terra, cominciò poco a poco ad apparire più splendido e a farsi sentire più caldo.

IV. Quale quel meriggio o in quali pascoli la sposa pasce

Ma per quanto diventi ardente, rinforzi, moltiplichi e dilati i suoi raggi per tutto il tempo della vita dei mortali – sarà infatti con noi fino alla fine del mondo – la sua luce non perverrà mai al pieno meriggio, né in questo tempo si potrà vedere in quella pienezza nella quale si vedrà poi, da quelli soltanto però che egli si degnerà di ammettere a tale visione.

O vero meriggio, pienezza di calore e di luce, sole perenne, eliminazione delle ombre, prosciugamento delle paludi, venuta alla luce dei feti!

O luce meridiana, o temperatura primaverile, o bellezza estiva, o ricchezza autunnale, e perché non sembri aver io dimenticato qualche cosa, o quiete e riposo invernale!

Oppure, se ti sembra più esatto, solo l’inverno allora è passato e se n’è andato.

Mostrami, dice, questo luogo di tanta chiarezza e di tanta pace, questo luogo dove c’è tanta pienezza di ogni bene, affinché, a quel modo che Giacobbe, fin da questa vita vide il Signore faccia a faccia senza morire, oppure come Mosè lo vide, non attraverso figure o enigmi o in sogno come gli altri Profeti, ma in modo sovraeccellente e non sperimentato dagli altri, noto a lui solo e a Dio, o come Isaia lo vide con gli occhi del cuore svelati su di un trono eccelso ed elevato, o anche come Paolo, rapito in paradiso udì parole ineffabili e vide il suo Signore Gesù Cristo così anch’io meriti di contemplare, rapito in estasi, te nella tua luce e nella tua bellezza, che pasci i tuoi in pingui pascoli, mentre riposi sicuro.

7. Anche quaggiù tu pasci, ma senza saziare; né è lecito sdraiarsi per riposare, ma occorre, stare in piedi e all’erta a causa dei timori notturni.

Ahimè! non vi è né chiara luce, né piena refezione, né abitazione sicura; e perciò mostrami dove pasci, dove riposi nel meriggio.

Tu dici che sono beata quando ho fame e sete della giustizia.

Che è questo in paragone con la felicità di quelli che sono ripieni dei beni della tua casa, che banchettano ed esultano al cospetto del Signore e tripudiano nella gioia?

Ma anche se sopporto qualche travaglio per la giustizia tu mi dici beata.

Certamente anche il fatto di essere pasciuti da te, dove si ha il timore di patire, comporta una gioia, ma non sicurezza.

Pertanto, essere pasciuti e patire nello stesso tempo non è forse un piacere molesto?

Tutte le cose mie restano al di qua della perfezione, parecchie non sono affatto desiderate, e di sicuro non c’è nulla.

Quando mi darai gioia piena alla tua presenza?

Il tuo volto, Signore, io cerco. Il tuo volto è il meriggio.

Mostrami dove pascoli, dove riposi nel meriggio.

So abbastanza dove pasci senza coricarti: indicami dove pasci e solito pascere negli altri tempi; ma vorrei sapere dove pascoli nel meriggio.

Poiché durante la mia vita mortale e nel luogo del mio pellegrinaggio sono stata solita pascolare e far pascolare sotto la tua custodia, nella Legge e nei Profeti, nonché nei pascoli evangelici, e similmente ho riposato presso gli Apostoli; di frequente anche ho mendicato come ho potuto, per me e per quelli affidati alle mie cure, il vitto dagli atti dei santi, dalle loro parole e dai loro scritti; ma più spesso, poiché ciò mi era più a portata di mano, ho mangiato il pane del dolore e ho bevuto il vino della compunzione e le lacrime sono state il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: dov’è il tuo Dio? ( Sal 42,4 ).

Se non che dalla tua mensa – poiché davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici ( Sal 23,5 ) – da essa, dico, grazie alla tua compassione, mi rifocillo, tanto da poter respirare un poco, ogni volta che l’anima mia è triste e geme su di me.

Conosco e frequento questi pascoli, seguendo te mio pastore; ma, ti prego, mostrami anche quelli che non conosco.

V. Eretici e filosofi che si fanno compagni dello sposo e in che modo cerca di ingannarci il diavolo meridiano

8. Vi sono anche altri pastori che si dicono tuoi compagni, e non lo sono, i quali hanno i loro greggi e i loro prati pieni di pascoli mortali, nei quali pascolano i loro greggi, né con te, né per te; nel loro territorio non sono entrata, né mi sono avvicinata a essi.

Sono quelli che dicono: Ecco, il Cristo è qui, eccolo là ( Mc 13,21 ), promettendo pascoli più abbondanti di sapienza e di scienza; e sono creduti, e molti corrono da loro, e ne fanno dei figli della Geenna peggiori di sé.

Perché questo, se non perché non è meriggio e luce chiara, di modo che la verità venga conosciuta con evidenza, mentre con facilità la falsità viene accettata in sua vece, per una certa somiglianza di verità che non si distingue bene dalla verità a causa dell’oscurità, specialmente perché le acque furtive sono più dolci, e il pane preso di nascosto è più gustoso ( Pr 9,17 ).

E per questo ti prego, indicami dove pasci, dove riposi nel meriggio, cioè all’aperto, perché sedotta, non sia come vagabonda dietro i greggi dei tuoi compagni ( Ct 1,7 ), come vagabondi sono essi, mai stabili per la certezza della verità, sempre in cerca di imparare, senza pervenire mai alla scienza della verità.

Queste cose dice la sposa, riferendosi alle varie e vane opinioni dei filosofi e degli eretici.

9. Ma a me sembra che non sia solo per esse, ma anche per gli inganni delle invisibili potestà, spiriti seduttori, esperti nel tendere insidie, che preparano le loro saette nella faretra, per colpire di nascosto l’innocente: per questi, e soprattutto per questi, io penso che noi dobbiamo desiderare quel meriggio, affinché alla chiara luce possiamo scoprire le astuzie del diavolo, e distinguere molto facilmente quell’angelo di Satana che si trasforma in angelo di luce, dal nostro angelo.

Non possiamo infatti difenderci dall’assalto del demonio meridiano se non nella luce egualmente meridiana.

E penso che sia stato denominato appunto demonio meridiano, perché vi sono alcuni del numero dei maligni, i quali, pur potendosi chiamare giustamente notte e notte perpetua a causa della loro volontà tenebrosa e ostinata, tuttavia sanno simulare e mostrarsi come giorno, e non solo giorno, ma meriggio: come il loro principe, non contento di essere uguale a Dio, si contrappone, e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto ( 2 Ts 2,4 ).

Dunque, se qualcuno, tentato da un tale demonio meridiano, non verrà illuminato dal Sole che nasce, dall’alto come meriggio, e a questa luce si convinca e smascheri la falsità della diabolica suggestione, non riuscirà a guardarsene, ma il demonio lo tenterà e lo farà cadere sotto pretesto di bene, facendo credere all’incauto il male per bene.

E allora il meriggio, ossia una luce più chiara, fa sospettare che sia una tentazione, quando fa vedere qualcosa come un bene maggiore.

10. Quante volte, per esempio, questo demonio ha suggerito a un monaco di anticipare le veglie, per poi canzonarlo mentre sonnecchiava durante l’ufficiatura dei fratelli!

Quante volte ha suggerito digiuni per renderlo incapace di attendere al divino servizio perché troppo debole!

Quante volte, invidioso verso i monaci che vivevano con profitto nei cenobi, li ha persuasi a farsi eremiti con il pretesto di raggiungere una purezza maggiore, e i miseri si accorsero troppo tardi quanto sia vera quella parola che inutilmente avevano letto: Guai a chi è solo, perché se cade, non ha chi lo rialzi! ( Qo 4,10 ).

Quante volte ha incitato monaci al lavoro manuale più che non occorresse, e, venute loro meno le forze, si resero incapaci di seguire gli altri esercizi regolari!

Quante volte è riuscito a spingere a un esagerato esercizio corporale, che secondo l’Apostolo non ha molto valore, a spese della pietà!

Infine voi stessi avete veduto come taluni, lo dico a loro vergogna, che non si potevano frenare tanto era l’ardore con cui si buttavano a ogni cosa, in seguito si lasciarono prendere da tanta ignavia che, come dice l’Apostolo, dopo aver cominciato con lo spirito, ora finiscono con la carne ( Gal 3,3 ): che turpe patto hanno concluso con i loro corpi, ai quali avevano prima mosso una crudele guerra!

Li potresti vedere, che vergogna! chiedere qua e là senza ritegno le cose superflue, essi che prima rifiutavano con grande ostinazione le necessarie.

Se poi alcuni perdurano irremovibili nella loro ostinazione, facendo astinenza oltre i limiti della discrezione, e turbando con la loro notevole singolarità i confratelli con i quali devono abitare con identiche osservanze nella medesima casa, non so proprio se ritengano con ciò di alimentare la loro pietà.

A me sembra che l’abbiano rigettata e anche molto lontano.

Poiché costoro che hanno deciso di non accettare né il consiglio, né il comando altrui, ritenendosi sapienti ai loro propri occhi, vedano che cosa possono rispondere, non a me, ma alla Scrittura che dice: Perché la ribellione è come peccato di divinazione, e l’insubordinazione è come delitto di idolatria.

E aveva premesso: L’obbedienza è migliore del sacrificio, e l’essere docili è più del grasso degli arieti (1 Re 15,22.23 ), cioè dell’astinenza degli uomini caparbi.

Per questo dice il Signore per bocca del Profeta: Mangerò forse la carne dei tori, o berrò il sangue dei capri? ( Sal 50,13 ), volendo significare che non gli è affatto gradito il digiuno dei superbi o degli impuri.

11. Ma ho paura che condannando i superstiziosi, sembriamo allentare i freni ai golosi, e quello che è stato detto per rimedio dei primi costituisca un pericolo per questi ultimi.

VI. Le quattro tentazioni da cui devono guardarsi quanti sono bene incamminati

Per la qual cosa, udite, appartenenti alle due parti, come quattro sono le specie di tentazioni, e queste ci tengono così descritte dalle parole del Profeta: La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza, non temerai i terrori della notte, né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, l’assalto e il demonio meridiano ( Sal 91,5.6 ).

Fate tuttavia attenzione anche voi che non appartenete a quelle due categorie; quanto sto per dire spero che gioverà a tutti.

Noi tutti che ci siamo convertiti al Signore sentiamo e abbiamo sentito in noi quello che dice la Sacra Scrittura: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione ( Sir 2,1 ).

Pertanto i primi tempi della nostra conversione sono anzitutto agitati dal timore, che viene prodotto subito, in quelli che entrano, dalla paura di una vita assai austera e dalla strettezza di un’insolita disciplina.

Questo timore viene detto notturno, sia perché la notte nelle Scritture viene presa per indicare di solito le cose avverse, sia perché non ci è ancora rivelato ciò per cui ci accingiamo a sopportare le cose avverse.

Se infatti splendesse già quel giorno, alla luce del quale vedremo ugualmente e i travagli e il premio, non vi sarebbe più affatto timore di nulla a causa del desiderio del premio, perché apparirebbe, al fulgore di quella luce, come non vi è paragone tra le sofferenze di questo tempo e la gloria futura che si rivelerà in noi ( Rm 8,18 ).

Ora invece, poiché queste cose sono nascoste ai nostri occhi, e a questo riguardo c’è per ora notte, noi siamo tentati dal timore notturno, e, non vedendo i beni futuri abbiamo paura di sopportare le cose avverse che sono del momento.

Devono dunque vigilare e pregare quelli che sono appena entrati, per premunirsi contro questa prima tentazione, e non capiti che, a causa della loro pusillanimità di spirito e della violenza della tempesta, non si distolgano malauguratamente dal bene incominciato.

12. Superata questa tentazione, armiamoci però contro le lodi degli uomini, che prendono motivo soprattutto da una lodevole vita.

Diversamente porgeremo il fianco alla saetta che vola nel giorno, che è la vanagloria.

La fama infatti vola, e si dice « nel giorno » perché si tratta di opere della luce.

Se a questa non si dà retta, appunto perché è un vano soffio, la tentazione presenta qualche cosa di più consistente, come le ricchezze e gli onori del secolo, sicché uno che forse non si cura delle lodi, aspiri alle dignità.

E osserva come quest’ordine nelle tentazioni fu tenuto riguardo al Signore nostro, al quale venne proposto prima di precipitarsi dall’alto per vanità, poi vennero mostrati e offerti tutti i regni del mondo.

Tu dunque, sull’esempio del Signore, scaccia anche questa tentazione.

Diversamente sarà inevitabile che tu venga assalito dalla peste che vaga nelle tenebre, che è l’ipocrisia.

Questa infatti discende dall’ambizione, e abita nelle tenebre, in quanto nasconde ciò che è, e si mostra, mentendo ciò che non è.

E traffica continuamente, ritenendo all’esterno un’apparenza di pietà per nascondersi, vendendo virtù e comprando onori.

13. L’ultima tentazione è il demonio meridiano, che è solito tentare i perfetti, quelli cioè che, essendo uomini virtuosi, hanno già superato tutto, i piaceri, i favori, gli onori.

Che cosa rimane ancora al tentatore per poter combattere apertamente contro costoro?

Viene perciò nascosto, non osando presentarsi allo scoperto, e, cerca di far cadere così la prospettiva di un falso bene, colui che ha sperimentato abbastanza esperto nel respingere ogni male.

Ma quelli che possono dire con l’Apostolo: Noi non ignoriamo le sue macchinazioni ( 2 Cor 2,11 ) man mano che progrediscono sono sempre, più attenti a guardarsi da questo laccio.

Questa è la ragione per cui Maria, all’apparire dell’Angelo si turba, sospettando, se non erro, un inganno, e Giosuè non riceve l’Angelo amico prima di essersi accertato che è veramente amico.

E cerca di sapere se sia dalla parte sua o da quella dei nemici, conoscendo per esperienza le insidie del demonio meridiano.

Anche gli Apostoli, quando una volta faticavano nel remare, mentre il vento era contrario e la loro imbarcazione sballottata, vedendo il Signore camminare sul mare, e credendolo un fantasma, avevano gridato per lo spavento, dimostrando chiaramente il sospetto di avere di fronte il demonio meridiano.

E ricordatevi come la Scrittura dice che venne a essi camminando sul mare ( Mc 6,48 ) alla quarta veglia della notte.

Nel quarto, cioè supremo luogo è da temere questa tentazione, e più uno sa di stare in alto, tanto maggiormente deve vigilare per guardarsi, dall’assalto del demonio meridiano.

Ora, ai discepoli si manifestò il vero Meriggio, quando essi si sentirono dire: Sono io, non temete ( Mc 6,50 ), e il sospetto dell’inganno si dissipò in loro.

Oh, anche a noi ogni qual volta la falsità camuffata tenta di insinuarsi, mandi la sua luce e la sua verità il vero Meriggio nascente dall’alto, per smascherarla, e divida la luce dalle tenebre, affinché non veniamo tacciati dal Profeta come gente che chiama luce le tenebre, e tenebre la luce ( Is 5,20 ).

VII. Come queste quattro tentazioni colpiscano la Chiesa che è il Corpo di Cristo

14. Se non riesce noiosa la lunghezza del sermone, cercherò ancora di assegnare queste quattro tentazioni nel loro ordine al corpo stesso di Cristo, che è la Chiesa.

Ed ecco, lo faccio più brevemente che posso.

Vedete la Chiesa primitiva, come da principio fu pervasa, e fortemente, dal timore notturno: era notte infatti, quando chiunque uccideva i santi, credeva di rendere ossequio a Dio.

Superata questa tentazione e sedata la tempesta, divenne illustre, e, secondo la promessa a lei fatta, in breve tempo fu considerata come l’orgoglio dei popoli.

Il nemico allora, soffrendo nel vedersi frustrato, dal timore notturno passò astutamente alla saetta che vola nel giorno, e con essa ferì alcuni della Chiesa.

Sorsero così uomini vanitosi, avidi di gloria, e vollero farsi un nome.

E usciti dalla Chiesa per lungo tempo afflissero la loro madre con diverse e perverse dottrine.

Ma anche questa peste fu debellata con la sapienza dei santi, come la prima lo era stata dalle sofferenze dei martiri.

15. Ed eccoci ai nostri tempi, liberi sì, per la misericordia di Dio da quella doppia malizia, ma contaminati dalla peste che vaga nelle tenebre.

Guai a questa generazione a causa del fermento dei farisei, che è l’ipocrisia, se pure si può chiamare ipocrisia quella che ormai non può più restare nascosta per la sua ampiezza, né lo cerca, tanto è impudente!

Serpeggia oggi per il corpo della Chiesa questa fetida cancrena, e il male è tanto più disperato quanto più è vasto, e tanto più pericoloso quanto più interno.

Se infatti venisse fuori all’aperto un eretico, verrebbe buttato fuori e si seccherebbe; se si presentasse un nemico violento ci si nasconderebbe da lui.

Ma ora chi cacciare fuori, o da chi nascondersi?

Tutti amici, e tutti nemici; tutti congiunti, e tutti avversari; tutti familiari e nessuno pacifico; tutti prossimi, e tutti che cercano i propri interessi.

Sono ministri di Cristo, e servono all’Anticristo.

Incedono rivestiti dei beni del Signore, e al Signore non rendono onore.

Di qui ciò che ogni giorno si può vedere, l’eleganza da cortigiani, l’abito da istrioni, la pompa regale.

Di qui l’oro nei freni, nelle selle, negli speroni: splendono di più gli speroni che gli altari.

Di qui le mense splendide e per i cibi e per il vasellame; di qui le crapule e le ubriachezze, di qui la cetra, la lira e il flauto; di qui i torchi traboccanti e i magazzini pieni, ricolmi di questo e di quello.

E poi le botti di vini aromatizzati, e le borse gonfie.

Per queste cose vogliono essere, e sono, prepositi delle chiese, decani, arcidiaconi, vescovi, arcivescovi.

Né queste mansioni vengono affidate secondo il merito, ma si ottengono con quella peste che vaga nelle tenebre.

16. Fu predetto una volta, e ora è venuto il tempo in cui queste cose si compiono: Ecco nella pace la mia amarezza amarissima ( Is 38,17 ).

Amara prima nell’uccisione dei martiri, più amara poi nel conflitto con gli eretici, amarissima adesso nei costumi dei domestici.

Non li può mettere in fuga, non può fuggirli: così hanno preso forza e si sono moltiplicati all’infinito.

La piaga della Chiesa è interna e insanabile, e perciò in pace la sua amarezza è amarissima.

Ma in quale pace? È pace e non è pace.

Pace rispetto ai pagani, pace da parte degli eretici, ma non dai figli.

La voce della Chiesa in questo tempo è di una che piange: Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me ( Is 1,2 ).

Mi hanno disprezzata e macchiata con la loro turpe vita, il loro turpe guadagno, il loro turpe commercio, insomma con la peste che vaga nelle tenebre.

Non resta che la venuta anche del demonio meridiano per sedurre, se ve ne sono ancora, i fedeli a Cristo, che sono rimasti ancora nella loro semplicità.

Questo demonio ha infatti già assorbito i fiumi dei sapienti e i torrenti dei potenti, e confida di inghiottire tutta l’acqua del Giordano, vale a dire gli umili e i semplici che sono nella Chiesa.

È infatti egli l’Anticristo, che non solo dirà di essere il giorno, ma sosterrà, mentendo, di essere anche il meriggio, e si eleverà su ogni essere che si dice Dio e a cui si rende culto come a Dio: costui il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, in quanto vero ed eterno Meriggio, sposo e avvocato della Chiesa, che è Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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