Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XXXIV

I. Coloro che ricercano le altezze sono richiamati al grado dell’umiltà

1. Se tu non conosci te stessa, o bellissima tra le donne, esci fuori, e va dietro le orme dei greggi dei tuoi compagni, e pasci i tuoi capretti presso le tende dei pastori ( Ct 1,8 ).

Una volta il santo Mosè, fatto molto ardito dalla familiarità e grazia che aveva trovato presso Dio, aspirava a una qualche grande visione, in modo da dire a Dio: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrami te stesso ( Es 33,13 ).

Ricevette invece al posto di essa una visione molto inferiore, dalla quale tuttavia potesse un giorno pervenire a quella che voleva.

Anche i figli di Zebedeo, che camminavano nella semplicità del loro cuore, osarono chiedere anch’essi qualcosa di grande, ma furono ricondotti al gradino per il quale dovevano salire.

Così ora anche la sposa, poiché sembra richiedere una grande cosa, viene frenata con una risposta alquanto austera, ma veramente utile e fedele.

È necessario infatti che colui che tende a cose molto alte, nutra sentimenti di umiltà, affinché non gli succeda, mentre viene innalzato sopra di sé, di cadere più in basso di sé se non sarà reso ben saldo da una vera umiltà.

E poiché le cose più grandi non si ottengono se non per merito dell’umiltà, per questo colui che deve essere portato in alto viene umiliato con la correzione, e con l’umiltà diventa meritevole.

Tu dunque, quando ti sembra di essere umiliato, abbi questo come un buon segno, e una buona prova della grazia che si avvicina.

Poiché, a quel modo che la superbia del cuore precede la rovina, così l’esaltazione viene dopo l’umiliazione.

Trovi tutte e due le cose nella Sacra Scrittura, che cioè Dio resiste ai superbi, e dà grazia agli umili.

Così, quando, dopo l’insigne trionfo di Giobbe, stabilì di premiarne con larga benedizione la tanto provata pazienza, prima con molte e stringenti domande lo volle umiliare, e così disporlo a ricevere la benedizione.

II. Esempio di umiltà tratto da Davide, e triplice distinzione di persone che sono umiliate

2. Ma è ancora poco accettare volentieri quando Dio ci umilia direttamente; bisogna che ci comportiamo nello stesso modo quando si serve di altri per farlo.

Prendi dunque come mirabile esempio in questo il santo re Davide.

Un giorno egli fu maledetto da un suddito; egli non fece caso del cumulo di ingiurie, perché presentiva la grazia.

Che ho io in comune con voi, figli di Servia? ( 2 Sam 16,10 ).

O uomo veramente secondo il cuore di Dio, che stimò doversi incoraggiare chi lo puniva, più che malediva.

Perciò con sicura coscienza diceva: Se ho reso male per male, cada io giustamente sotto i miei nemici ( Sal 7,5 ).

Proibì dunque che venisse fatto tacere chi lo ingiuriava maledicendolo, stimando un guadagno quelle maledizioni.

E aggiunse: Il Signore lo ha mandato a maledire Davide ( 2 Sam 16,10 ).

Davvero secondo il cuore di Dio questo Davide, che accettava la sentenza come venisse dal cuore di Dio.

Infieriva la lingua malefica, ed egli badava all’azione occulta di Dio.

La voce di chi malediva risuonava nei suoi orecchi, mentre l’animo si piegava alla benedizione.

C’era forse Dio nella bocca del blasfemo?

Affatto, ma di essa si servi Dio per umiliare Davide.

Né lo ignorò il Profeta, in quanto Dio gli aveva manifestato gli ignoti e occulti misteri della sua sapienza; e dice perciò: Bene per me se sono stato umiliato, perché impari le tue giustificazioni ( Sal 119,71 ).

3. Vedi come l’umiltà ci giustifica? L’umiltà, ho detto, non l’umiliazione.

Quanti sono umiliati, e non sono umili!

Alcuni, quando sono umiliati sentono rancore, altri sopportano con pazienza, altri accettano volentieri.

I primi sono colpevoli, i secondi innocui, gli ultimi giusti.

Anche l’innocenza è parte della giustizia, ma la sua perfezione si trova nell’umiltà; ma è veramente umile chi può dire: Bene per me che mi hai umiliato.

Non lo può dire chi tollera contro voglia l’umiliazione, e meno ancora chi mormora.

A nessuno di costoro promettiamo la grazia che segue l’umiliazione, anche se i due differiscano molto tra di loro, e uno con la pazienza possieda l’anima sua, l’altro per la sua mormorazione perisca.

Uno solo merita ira, ma nessuno dei due merita la grazia, perché Dio dà la grazia, non agli umiliati, ma agli umili.

Ora umile è colui che trasforma l’umiliazione in umiltà, ed è colui che dice a Dio: Bene per me che mi hai umiliato.

Ora, per nessuno è bene ciò che sopporta con pazienza, ma è cosa molesta.

Sappiamo invece che Dio ama chi dà con gioia ( 2 Cor 9,7 ).

Perciò quando digiuniamo ci viene detto di ungere il nostro capo con olio e di lavarci la faccia, affinché la nostra opera sia come condita dal gaudio spirituale, e il nostro olocausto sia pingue.

La sola umiltà infatti, ilare e completa, merita la grazia che la segue.

Quella infatti che è subita o estorta, come quella che è nell’uomo paziente che possiede la sua anima, quest’umiltà, dico, anche se ottiene la vita a causa della pazienza, non avrà tuttavia la grazia a causa della tristezza che l’accompagna.

A chi è in questa condizione infatti, non si confà quel detto della Scrittura: Si glori l’umile della sua esaltazione ( Gc 1,9 ), perché non si umilia spontaneamente e neppure di buon grado.

III. L’umiliazione volontaria

4. Vuoi vedere un umile che si gloria giustamente, ed è veramente degno di gloria?

Mi vanterò, dice, ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo ( 2 Cor 12,9 ).

Non dice di sopportare con pazienza le sue infermità, ma di gloriarsene, e gloriarsene volentieri, mostrando di ritenere un bene per sé l’essere umiliato, e non si contenta di possedere la sua anima per il fatto che sopporta pazientemente l’umiliazione, ma vuole ricevere là grazia, in quanto spontaneamente umiliato.

Ecco pertanto una regola generale: Chiunque si umilia sarà esaltato ( Lc 14,11 ).

Significa pertanto che non ogni umiltà sarà esaltata, ma solo quella che viene dalla volontà, non dalla tristezza o dalla necessità.

E neppure al contrario, ognuno che è esaltato dovrà essere umiliato, ma soltanto chi si esalta sarà umiliato, vale a dire, chi si esalta per volontaria vanità.

Così dunque, non chi è umiliato, ma chi spontaneamente si umilia sarà esaltato, per merito della volontà.

Sia pure che la materia dell’umiltà, come per esempio gli oltraggi, i danni, i supplizi, vengano prodotti da un altro e non da se stesso; non si dirà per questo giustamente che quel tale che ha cercato di subire tutte quelle cose con tranquilla e lieta coscienza in vista di Dio, sia stato umiliato da altri che da se stesso.

5. Ma dove andiamo? Sento che mi sopportate con pazienza mentre vi parlo di umiltà e pazienza; ma torniamo al passo dal quale ci siamo allontanati.

Ce ne ha dato occasione la risposta con cui lo Sposo ha creduto bene di rimproverare la sposa che osava chiedere cose grandi, e questo, non perché fosse sciocca, ma per darle con ciò occasione di maggiore e più provata umiltà, per cui fosse resa più degna di cose migliori, e più capace di quelle stesse cose che domandava.

Tuttavia, poiché stiamo ancora entrando in questo capitolo, rimandiamo, se vi piace, la discussione del suo inizio a un altro sermone, affinché le parole dello Sposo non vengano riferite, né ascoltate con noia.

Il che tenga lontano dai suoi servi lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, che è benedetto nei secoli.

Amen.

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