Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XLIII

I. A quale mazzetto di mirra il Cristo è da paragonare e perché la mirra

1.Il mio diletto è per me un fascetto di mirra, riposerà sul mio seno ( Ct 1,11 ).

Prima l’ha chiamato « Re », ora « diletto »; prima « nella sua sede regale », ora « sul seno della sposa ».

Grande è la virtù dell’umiltà alla quale anche la divina maestà si abbassa così facilmente.

Facilmente il nome di riverenza si è mutato in quello di amicizia, e colui che era lontano in breve si è fatto vicino.

Il mio diletto è per me un fascetto di mirra.

La mirra è cosa amara, e significa le cose dure e aspre delle tribolazioni.

Prevedendo che queste sono per lei imminenti a causa del diletto, dice così, quasi congratulandosi, fiduciosa di poter tutto sopportare virilmente.

Se ne andarono, è scritto, ( i discepoli ) dal sinedrio, lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù ( At 5,41 ).

Perciò non dice che il suo diletto è un fascio, ma un fascetto di mirra, perché stima leggero tutto quello che può accadere di penoso e doloroso, a causa dell’amore che ha per lui.

Dice bene « fascetto », perché un Pargolo ci è nato ( Is 9,6 ).

Bene « fascetto » perché non sono proporzionate le sofferenze di questo tempo alla futura gloria che si rivelerà ( Rm 8,18 ).

Quello infatti, dice ancora, che al presente è momentaneo e leggero nella nostra tentazione ci procura lassù un peso eterno di gloria ( 2 Cor 4,17 ).

Sarà dunque per noi un giorno un ingente cumulo di gloria quello che ora è un fascetto di mirra.

Non è forse un fascetto colui il cui giogo è soave e il peso leggero?

Non perché sia leggero in sé – non è infatti cosa leggera l’asprezza della sofferenza e l’amarezza della morte – ma tuttavia per chi ama sono cose leggere.

E perciò non dice solamente: il mio diletto è un fascetto di mirra, ma dice: per me, che amo, è un fascetto.

Perciò lo chiama anche diletto, mostrando che la forza dell’amore fa superare ogni molestia delle amarezze, e che l’amore è forte come la morte ( Ct 8,6 ).

E perché tu sappia che non si gloria della propria virtù, ma nel Signore, e dalla grazia del Signore aspetta la forza necessaria, dice che egli riposerà sui suo seno, e a lui canta sicura: Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male perché tu sei con me ( Sal 23,4 ).

II. Spiega col suo esempio come collochiamo questo mazzetto fra i seni, nell’alternarsi delle vicende liete e tristi

2. Mi ricordo di aver detto in uno dei precedenti sermoni che le due mammelle della sposa significano la congratulazione e la compassione, secondo la dottrina di san Paolo che dice: Godere con chi gode, piangere con chi piange ( Rm 12,15 ).

Ma poiché stando tra le cose prospere e quelle avverse sa che tra le une e le altre non mancano pericoli, nel mezzo di queste sue mammelle vuole avere il diletto, sicché munita della continua protezione di lui contro entrambi questi pericoli non si esalti troppo nelle cose liete, e non si avvilisca nelle tristi.

Anche tu, se sei sapiente, imita la prudenza della sposa, e non permettere che questo così caro fascetto di mirra venga tolto anche per una sola ora dal tuo cuore, ritenendo sempre con la memoria tutte le amarezze che per te egli ha sopportato, facendone oggetto della tua assidua meditazione, onde anche tu possa dire: Il mio diletto è per me un fascetto di mirra, che riposa costantemente sul mio seno.

3. Anch’io, fratelli miei, fin dall’inizio della mia conversione, ho cercato di raccogliere e legare insieme questo fascetto, e di collocarlo sul mio petto, raccogliendolo da tutte le ansietà e amarezze del mio Signore, cominciando dalle necessità della sua infanzia, poi dalle fatiche che sopportò nella predicazione, la stanchezza dei viaggi, le veglie trascorse nella preghiera, le tentazioni nel periodo del suo digiuno, le lacrime che versò per compassione, le insidie dei nemici tese a coglierlo in fallo quando parlava, e poi il pericolo dei falsi fratelli, gli oltraggi, gli sputi, gli schiaffi, le derisioni, gli obbrobri, i chiodi e altre cose del genere che egli subì per la nostra salvezza, come si può cogliere abbondantemente dalla selva del Vangelo.

Tra tanti rametti di questa odorosa mirra, non ho trascurato quella che gli fu data da bere quando era sulla croce, né quella di cui fu unto nella sepoltura.

Nella prima egli applicò a se stesso l’amarezza dei miei peccati, nella seconda figurò la futura incorruttibilità del mio corpo.

Proclamerò il ricordo dell’abbondante soavità di queste cose fino a che avrò vita; in eterno non dimenticherò queste manifestazioni della sua misericordia; perché per esse ho ricevuto la vita.

4. Queste una volta cercava il santo Davide con le lacrime: Vengano a me le tue misericordie e avrò vita ( Sal 119,77 ), queste ricordava con gemiti un altro santo dicendo: Molte sono le misericordie del Signore ( Sal 119,156 ).

Quanti re e profeti vollero vedere e non videro!

Essi hanno lavorato e io sono entrato a raccogliere il frutto del loro lavoro: io ho mietuto la mirra che essi piantarono.

A me fu riservato questo fascetto di mirra: nessuno me lo toglierà: riposerà sul mio cuore!

III. Meditare i patimenti di Cristo è la sua più sottile filosofia; portiamo Cristo davanti a voi, non dietro

Ho chiamato sapienza meditare queste cose, in esse ho fatto consistere per me la perfezione della giustizia, in esse la pienezza della scienza, le ricchezze della salvezza, in esse l’abbondanza dei meriti.

Da queste cose ricavo ogni tanto una bevanda di salutare amarezza, e poi nuovamente da esse mi proviene l’unzione di una soave consolazione.

Queste mi danno sollievo nelle avversità, mi tengono nell’umiltà, e quando cammino tra le cose liete e quelle tristi di questa vita, mi offrono una guida sicura per la via regia, tenendo lontani i mali che insidiano da una parte e dall’altra.

Queste mi conciliano il Giudice del mondo, mentre mi rappresentano lui che è tremendo ai potenti, mite e umile, non solo placabile, ma anche imitabile, lui che è inaccessibile ai principati e terribile ai re della terra.

Perciò io ho spesso queste cose sulla bocca, come voi sapete, e nel cuore sempre, come lo sa Iddio; queste cose sono familiari alla mia penna, come è risaputo, questa è la mia più sottile e interiore filosofia, conoscere Gesù, e Gesù crocifisso.

Non cerco, come la sposa, dove egli riposi nel meriggio, mentre lo abbraccio stringendolo al cuore.

Non cerco dove egli pascoli il gregge nel meriggio, mentre lo contemplo mio salvatore sulla croce.

Là egli è più sublime, qui è più soave; quello è pane, questo è latte; questo rifocilla le viscere dei pargoli, questo riempie le mammelle della madri; e perciò riposerà sul mio cuore.

5. Anche voi, o dilettissimi, raccogliete per voi questo caro fascetto, conservatelo nell’intimo dei vostri cuori, adornatene l’ingresso del vostro petto, perché anche per voi dimori sul vostro cuore.

Abbiatelo sempre non di dietro sulle spalle, ma davanti agli occhi, affinché portandolo e non odorandolo, il suo peso non vi sia gravoso senza il sollievo del suo profumo.

Ricordatevi come Simeone lo ricevette nelle sue braccia, come Maria lo portò nel seno, lo accarezzò tenendolo in braccio, e la sposa lo ha collocato sul suo petto.

E per non tralasciare nulla, come fu fatto il Verbo nella mano del Profeta Zaccaria e di alcuni altri.

Penso che anche Giuseppe, sposo di Maria, lo abbia di frequente vezzeggiato tenendolo sulle ginocchia.

Tutti questi lo tennero davanti, e nessuno di dietro.

Siano dunque di esempio a voi, perché anche voi facciate così.

Se infatti avete davanti agli occhi colui che portate, certamente vedendo le angustie del Signore, le vostre vi sembreranno più leggere, e più facilmente le sopporterete con l’aiuto del medesimo Sposo della Chiesa, che è Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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