Sermoni sul Cantico dei Cantici |
1. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle e le cerve dei campi, non destate, non scuotete dal sonno l’amata, finché essa non lo voglia ( Ct 2,7 ).
Si proibisce alle giovinette, queste infatti chiama figlie di Gerusalemme, perché anche se delicate e molli e quasi ancora inferme per gli affetti e le azioni femminile, aderiscono tuttavia alla sposa con la speranza di progredire e di andare a Gerusalemme.
Si vieta loro dunque di disturbare la sposa che dorme, perché contro la sua volontà non osino affatto svegliarla.
Per questo infatti il dolcissimo sposo ha posto la mano sinistra sotto il capo, secondo quanto è stato già detto, per farla riposare e dormire nel suo seno.
E ora, come prosegue la Scrittura, egli stesso come suo custode, con somma degnazione e benevolenza veglia su di lei, perché non sia costretta a svegliarsi disturbata dalle frequenti e minute necessità delle giovinette.
Questo è il decorso letterale del testo.
Se non che quello scongiuro fatto per le gazzelle e le cerve dei campi non sembra affatto avere una ragione di stare lì secondo il filo letterale del discorso: perciò tutto il motivo di queste parole sta nel loro senso spirituale.
Ma qualunque esso sia, intanto è cosa buona per noi stare qui ( Mt 17,4 ) e scrutare un poco la bontà della divina natura, la sua soavità, la sua degnazione.
Che cosa mai infatti tu, uomo, hai sperimentato negli umani affetti di più dolce di quello che ora ti viene espresso del cuore dell’Altissimo?
E ti viene espresso da colui che scruta le profondità di Dio, e non può ignorare ciò che vi è in lui, perché è il suo Spirito, né può affatto dire se non quello che ha visto presso di lui, perché è lo Spirito di verità.
2. E poi non mancano neanche tra di noi quei felici che hanno meritato di essere rallegrati di questo dono, e così in se stessi hanno fatto esperienza di questo soavissimo arcano; ma non screditiamo il passo della Scrittura che abbiamo tra le mani, dove apertamente viene descritto lo Sposo celeste oltremodo zelante per il riposo di una certa sua diletta, sollecito nel tenerla addormentata tra le sue braccia, perché non sia disturbata da qualche molestia o inquietudine nel suo dolcissimo sonno.
Non sto in me stesso dalla gioia per il fatto che quella maestà non disdegna di chinarsi sulla nostra infermità con una unione così familiare e dolce, e la superna Deità non ha difficoltà a stabilire un connubio con un’anima ancora esule e a manifestarle l’affetto di uno Sposo preso da ardentissimo amore.
Così, così non dubito sia in cielo, come leggo sulla terra, e sentirà certamente l’anima ciò che contiene la pagina, se non che questa non è in grado di esprimere totalmente quanto quella allora potrà comprendere e neppure ora può capire.
Che cosa pensi che potrà allora ricevere quella che fin da quaggiù è favorita da tanta familiarità da sentirsi stretta dalle braccia di Dio, riscaldata dal seno di Dio, custodita dalla cura e dall’amore di Dio, perché nel sonno non sia disturbata da qualcuno, fino a che da sé si risvegli?
3. Ma su, è tempo che diciamo, se possiamo, di che specie sia quel sonno di cui lo Sposo vuole che la sua delicata diletta dorma, e dal quale non sopporta che sia riscossa, se, non quando essa lo vuole; perché non accada che qualcuno, leggendo quanto scrive l’Apostolo: È ormai tempo di svegliarvi dal sonno ( Rm 13,11 ), la preghiera che fa il Profeta perché Dio illumini i suoi occhi perché non si addormenti mai nella morte ( Sal 13,4 ), resti turbato dall’equivoco dei nomi, e non sappia come pensare degnamente del sonno della sposa di cui si parla in questo passo.
E non è simile a questo neppure quello di cui parla il Signore nel Vangelo a proposito di Lazzaro: Lazzaro, il nostro amico, dorme; andiamo a svegliarlo dal sonno ( Gv 11,11 ).
Questo infatti diceva della sua morte corporale, mentre i discepoli lo intendevano del sonno naturale.
Ora, questo della sposa non è un sonno consistente nel dormire, o placido, dove i sensi carnali restano soavemente assopiti per un certo tempo, oppure orrido, che distrugge totalmente la vita; e molto di più differisce il sonno della sposa da quel dormire per cui ci si addormenta nella morte, quando si persevera irrevocabilmente nel peccato mortale.
Ma piuttosto il vitale e vigile sopore di costei illumina il senso interiore, e cacciata la morte, dona la vita sempiterna.
È in realtà un sonno che tuttavia non assopisce i sensi, ma li rende assenti.
È anche una morte e non esito a dirlo, perché l’Apostolo, lodando alcuni che ancora vivevano nella carne, così dice loro: Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio ( Col 3,3 ).
4. Pertanto, anch’io chiamerei non a torto l’estasi della sposa una morte, che non strappa alla vita ma ai lacci della vita, perché possa dire: La nostra anima è stata liberata come un uccello dai lacci dei cacciatori ( Sal 124,7 ).
In questa vita, infatti, si cammina in mezzo ai lacci, dei quali non si ha timore tutte le volte che l’anima viene come strappata a se stessa da qualche santo e forte pensiero, se tuttavia la mente talmente si assenti o si elevi da oltrepassare questo nostro comune e usuale modo di pensare; difatti: Invano si tende la rete sotto gli occhi di chi è fornito di ali ( Pr 1,17 ).
Come si temerebbe la lussuria dove non si sente neppure la vita?
Andando invero l’anima in estasi esce, se non dalla vita, dai sensi della vita, per cui è inevitabile che non senta neppure le tentazioni della vita.
Chi mi darà ali come di colomba per volare e trovare riposo? ( Sal 55,7 ).
Voglia Iddio che io muoia spesso di questa morte perché io sfugga ai lacci di morte, perché io non senta gli allettamenti mortiferi di una vita lussuriosa, perché sia insensibile al senso della libidine, all’ardore dell’avarizia, alla pressione delle sollecitudini, alla molestia degli affari!
Muoia l’anima mia della morte dei giusti, affinché non resti irretito da alcuna ingiustizia, affascinato da alcuna iniquità.
Buona morte quella che non toglie la vita, ma la trasferisce in meglio: buona morte quella per cui non cade il corpo ma l’anima viene sollevata.
5. Ma questo riguarda gli uomini.
Muoia anche l’anima mia, se così si può dire, della morte degli angeli, perché elevandosi sopra la memoria delle cose presenti, si spogli non solo della cupidigia delle cose inferiori a sé e corporee, ma anche delle loro immagini, e così si trattenga puramente con essi dei quali imita la purezza.
Tale estasi, penso, sola o soprattutto si chiama contemplazione.
Non sentirsi legato dalle cupidigie nella vita appartiene all’umana virtù; nel meditare il non essere avvolto da immagini corporali appartiene all’angelica purità.
Ma è dono di Dio l’uno e l’altro.
L’uno e l’altro essere rapito, trascendere te stesso, ma uno lontano, l’altro non molto.
Beato chi può dire: Ecco mi sono allontanato fuggendo e mi fermai nella solitudine ( Sal 55,8 ).
Non si contentò di uscire, ma volle fuggire lontano da sé per poter riposare.
Hai oltrepassato le lusinghe, della carne per non obbedire più ormai alle sue concupiscenze, né essere impastoiato dalle lusinghe delle passioni; hai progredito, ti sei separato da te, ma non sei ancora andato lontano se non riesci a trasvolare con una mente pura i fantasmi delle immagini corporee che irrompono da ogni parte.
Fino a qui non ti promettere il riposo.
Sbagli se pensi di trovare al di qua un luogo di riposo, una solitudine segreta, una luce serena, una dimora di pace.
Ma dammi uno che sia arrivato là: subito lo vedo riposare, tale da poter dire: Ritorna, anima mia alla tua pace, perché il Signore ti ha beneficato ( Sal 115,7 ).
Qui veramente è il posto nella solitudine, e l’abitazione nella luce, davvero, secondo il Profeta, tabernacolo per il giorno che ripara il caldo, e ripara con sicurezza dal turbine e dalla pioggia, del quale anche il santo Davide dice: Mi ha nascosto nella sua tenda nel giorno della sventura, mi ha nascosto nel segreto della sua dimora ( Sal 27,5 ).
6. Pensa dunque che la sposa si sia ritirata in questa solitudine, e qui per l’amenità del posto, si sia addormentata dolcemente tra gli abbracci dello Sposo, in altre parole, sia andata in estasi.
Perciò le giovinette hanno avuto l’ordine di non svegliarla fino a che essa non lo voglia. Ma questo come?
Non hanno infatti avuto un comando o una leggera ammonizione, come si suole fare, ma con una proibizione affatto nuova e inconsueta, per le gazzelle e le cerve dei campi.
Con questo genere di fiere mi sembrano abbastanza bene espresse le anime sante spoglie dei loro corpi, e insieme gli Angeli che sono con Dio, a causa dell’acutezza della vista e della celerità della corsa.
Queste due cose competono sia alle anime che agli Angeli, come sappiamo; facilmente infatti raggiungono la sommità e penetrano nell’intimo.
Anche la loro vita descritta nei campi li indica liberi e sciolti nella contemplazione.
Che cosa significa dunque lo scongiuro per questi?
Certamente perché le inquiete giovanette non ardiscano per cose da nulla distogliere la diletta da così venerando consesso, al quale senza dubbio viene associata ogni volta che nella contemplazione va in estasi.
E bene vengono spaventate adducendo la loro autorità, perché sanno che la loro importunità le priva della loro società.
Badino le giovinette a chi recano offesa quando disturbano la madre, e non contino affatto sulla carità della madre, in modo che temano far irruzione in quel celeste consesso senza una grande necessità.
Sappiano che così fanno quando disturbano più di quanto sia giusto l’anima che riposa nella contemplazione.
Ed è lasciato alla sua volontà sia il badare a sé, sia attendere alle loro faccende, secondo che avrà giudicato opportuno, poiché alle giovinette è vietato di svegliarla finché essa lo voglia.
Conosce lo Sposo di quanta carità la sposa sia piena anche verso il prossimo, e che come madre è molto sollecita per il profitto delle figlie, e che, non si sottrarrà né si negherà loro per nessuna ragione quanto e tutte le volte che sarà necessario; e per questo ha affidato sicuro alla sua discrezione questi interventi.
Non è infatti come quei molti che vediamo bollati dal Profeta, che prendendo per sé quello che è grasso rigettano ciò che è debole ( Ez 34,3 ).
Forse il medico cerca quelli che stanno bene e non piuttosto i malati, e se capita si comporterà forse più da amico che da medico.
A chi insegnerai, maestro buono, se scaccerai tutti gli ignoranti?
Chi formerai, di grazia, all’amore della disciplina, se allontanerai tutti gli indisciplinati, o fuggirai da essi?
In chi, ti prego, mostrerai la tua pazienza, se accetterai soltanto i mansueti, escludendo gli irrequieti?
7. Vi sono tuttavia tra quelli che siedono qui, di quelli che farebbero bene a osservare con più attenzione questo capitolo.
Imparerebbero certamente quanta riverenza si debba ai superiori, inquietando temerariamente i quali si rendono contrari anche i cittadini del cielo, e comincerebbero forse ad essere un pochino più indulgenti del solito con noi, né reclamerebbero irriverentemente o con leggerezza quando ci dedichiamo alla contemplazione.
È raro il tempo che mi è lasciato libero per la preghiera, come sanno bene, dalle cure esterne che premono, anche nel caso che essi mi sopportino con grande pazienza.
Ma io mi sfogo con questo lamento con molto scrupolo, nel timore che vi sia qualche pusillanime che, oltre i limiti della propria pazienza, dissimuli le sue necessità, non osando disturbarmi.
Mi fermo qui anche perché io non sembri dare piuttosto esempio di impazienza ai deboli.
Sono i piccoli del Signore, che credono in lui; non voglio che patiscano scandalo per causa mia.
Non userò di questo potere: essi piuttosto usino di me a loro piacimento; purché si salvino.
Mi faranno cosa gradita se non mi risparmieranno, e in questo troverò il mio riposo se non avranno timore di disturbarmi per le loro necessità.
Farò loro interesse finché potrò, e in essi servirò il mio Dio finché vivrò, in una carità sincera.
Non cercherò il mio interesse, non ciò che è utile a me, ma quello che lo è a molti giudicherò utile anche a me.
Questo solo chiedo, che il mio ministero sia ad essi accetto e fruttuoso, perché nel giorno cattivo trovi per questo misericordia agli occhi del loro Padre, e insieme dello Sposo della Chiesa Gesù, Cristo nostro: Signore, che con lui è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.
Indice |