Sermoni sul Cantico dei Cantici |
1. Nel mio lettuccio ho cercato l’amato dell’anima mia ( Ct 3,1 ).
A quale scopo? L’abbiamo detto, ed è superfluo ripeterlo, tuttavia per alcuni che erano assenti quando si parlava di questo dico qualche cosa brevemente, che forse non riuscirà sgradito neanche a quelli che erano presenti.
Del resto allora non si è potuto dire tutto.
L’anima cerca il Verbo per accettarne la correzione, per essere illuminata nella sua conoscenza, per trovare un appoggio per la sua virtù, per riformarsi nella sapienza, per conformarsi a lui ed essere più bella, unirsi a lui ed essere feconda, godere di lui ed essere nella gioia.
Per tutte queste ragioni l’anima cerca il Verbo.
Non dubito che ve ne siano anche molte altre, ma queste mi sono venute qui alla mente.
Se a qualcuno interessa ne potrà notare in se stesso facilmente diverse altre.
Sono, infatti, molte le nostre deficienze, molte e infinite le necessità dell’anima e le ansietà non si contano.
Ma il Verbo più doviziosamente e pienamente sovrabbonda nei beni, in quanto Sapienza che vince la malizia, vince i mali con i beni.
E adesso sentite la ragione di quelle che ho accennate.
E per primo vedete come acconsenta alla correzione.
Sentiamo come il Verbo nel Vangelo dice: Mettiti d’accordo con il tuo avversario mentre sei con lui in via, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia ( Mt 5,25 ).
Nulla di più prudente.
È un consiglio del Verbo, se non erro, che si protesta Avversario, perché è contrario ai nostri desideri carnali mentre dice: Sono un popolo dal cuore traviato ( Sal 95,10 ).
Ma tu che ascolti queste cose, se, spaventato, comincerai a voler sfuggire all’ira che sta per venire, credo che sarai sollecito a metterti d’accordo con questo avversario che minaccia di intentarti una così terribile causa.
Ma questo non è possibile se tu non ti metti in disaccordo con te stesso, se non ti fai avversario di te stesso, se non conduci un’aspra , continua e infaticabile lotta contro te stesso, e se non abbandoni le inveterate abitudini e le innate inclinazioni.
E questo è duro.
Se affronterai questo con le tue forze, sarà come se volessi fermare con un dito un torrente impetuoso, o volessi nuovamente far scorrere il Giordano all’indietro.
Che cosa farai? Cerca il Verbo con cui metterti d’accordo, con la grazia sua.
Fuggi a lui che é tuo avversario, perché tu per mezzo suo divenga uno cui egli non sia più contrario, perché lui che prima ti minacciava ti incoraggi, e sia per la tua conversione più efficace con l’infusione della sua grazia che non con un’intensa ira.
2. Questa è la prima necessità per cui, penso io, l’anima comincia a cercare il Verbo.
Ma se ignori quello che vuole colui al quale già acconsenti con la volontà non si dirà di te che hai lo zelo di Dio, ma non secondo scienza?
E perché tu non sottovaluti questo ricorda quanto dice la Scrittura, che cioè se qualcuno non lo riconosce neppure lui è riconosciuto ( 1 Cor 14,38 ).
Vuoi sapere quello che ti consiglio in questa necessità?
La stessa cosa che nella prima.
Se ascolti il mio consiglio, anche adesso andrai dal Verbo, ed egli ti insegnerà le sue vie, perché non ti capiti che volendo, ma ignorando il bene, mentre corri tu non vada fuori strada e cominci a errare nel deserto, fuori dalla via giusta.
Il Verbo infatti è luce: La tua parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici ( Sal 119,130 ).
Sarai beato se dirai anche tu: Lampada ai miei passi la tua parola, luce sul mio cammino ( Sal 119,105 ).
Non è piccolo il profitto della tua anima la cui volontà si è cambiata, illuminata la ragione, perché possa volere e conoscere il bene.
Nella prima cosa ha ricevuto la vita, nell’altra la vista: poiché volendo il male era morta, e ignorando il bene era cieca.
3. Ormai vive, ormai vede, ormai è fissata nel bene, con l’aiuto e l’opera del Verbo.
Sta, innalzata dalla mano del Verbo, come su due piedi, la devozione e la cognizione.
Sta in piedi, dico, ma consideri come detto a sé: Chi pensa di stare in piedi, badi di non cadere ( 1 Cor 10,12 ).
Pensi tu che possa da sé stare in piedi lei che non ha potuto da sola alzarsi? Non penso.
Perché? Dalla parola del Signore furono fatti i cieli ( Sal 33,6 ) e la terra potrà stare senza il Verbo?
Perché, dunque, se poteva stare, pregava un uomo della terra dicendo: Confermami con le tue parole ( Sal 119,28 ), e lo dimostrava.
È di lui quella frase. Mi avevano spinto per farmi cadere ma il Signore è stato il mio aiuto ( Sal 118,13 ).
Chiedi chi sia colui che aveva dato questa spinta? Non è uno solo.
Spinge il diavolo, spinge il mondo, spinge l’uomo.
Chiedi chi sia questo uomo? È quello che è in ognuno di noi.
Non stupirtene: l’uomo sospinge a tal punto e precipita se stesso, che tu non hai da temere che un altro ti spinga se ti guardi dalle tue stesse mani.
Chi infatti, dice, vi potrà fare del male se sarete ferventi nel bene? ( 1 Pt 3,13 ).
La tua mano è il tuo consenso.
Se secondo i suggerimenti del diavolo o le insinuazioni del mondo non acconsentirai a cose non lecite e non userai le tue membra come arma di iniquità, né permetterai che il peccato regni nel tuo corpo mortale ti dimostrerai buon operatore del bene, al quale la malizia non ha recato danno, e forse ti ha piuttosto giovato.
Sta scritto, infatti: Fa’ il bene, e avrai lode da essa ( Rm 13,3 ).
Sono rimasti confusi quelli che cercavano la tua anima; ma tu canterai: Se non prevarranno contro di me, allora sarò puro ( Sal 19,14 ).
Hai dato prova di grande virtù se, secondo il consiglio del Saggio, hai pietà della tua anima, se con ogni diligenza custodisci il tuo cuore, se, come raccomanda l’Apostolo, conservi casto te stesso.
Diversamente, anche se guadagnassi tutto il mondo, ma ne riportassi danno alla tua anima, non ti riterremmo più un buon operaio, e neppure il Salvatore.
4. Sono dunque tre che insidiano l’uomo che sta in piedi: il diavolo, con il livore della sua malizia; il mondo, con il soffio della vanità; l’uomo, che spinge se stesso con il peso della sua corruzione.
Spinge il diavolo, ma non fa cadere se tu gli neghi la collaborazione e l’assenso.
Dice la Scrittura: Resistete al diavolo e fuggirà da voi ( Gc 4,7 ).
È questi colui che, invidioso, spinse e fece cadere quelli che stavano nel paradiso, ma perché non resistettero e gli acconsentirono.
Questi è colui che, superbo, senza che alcuno lo tentasse, precipitò se stesso dal cielo, e anche perciò sappi che l’uomo è molto più incline a cadere in quanto gravato dal peso della propria sostanza.
E c’è anche il mondo che spinge, il mondo tutto posto sotto il potere del maligno.
Spinge tutti, ma fa cadere solo i suoi amici, cioè quelli che sono consenzienti a lui.
Non voglio essere amico del mondo per non cadere: Poiché chi vuol essere amico di questo mondo si fa nemico di Dio ( Gc 4,4 ), e nessuna caduta è più grave di questa.
Da questo appare chiaro che colui che dà all’uomo la maggior spinta per farlo cadere è lui stesso, in quanto egli stesso può cadere, senza la spinta di alcun altro, e non può cadere per la spinta di altri se non c’è anche la sua.
A quale di questi è da opporre maggior resistenza?
A quest’uomo che è lui stesso, tanto più pericoloso quanto più interno, e basta vincere questo, dato che senza di esso gli altri non possono far nulla.
Non senza ragione il Saggio loda chi domina il suo animo più di colui che espugna le città.
Questo va molto bene per te: hai bisogno di forza, e non una forza qualunque, ma di una forza che ti venga dall’alto.
Questa, infatti, se è perfetta, rende facilmente l’animo vincitore di sé, e così lo rende invincibile in tutto.
È, infatti, un vigore dell’animo che non sa cedere per difendere la ragione o, se meglio ti garba, il vigore di un animo che sta immobile con la ragione o per la ragione; oppure così: vigore dell’animo che costringe o dirige tutto alla ragione.
5. Chi salirà al monte del Signore? ( Sal 24,3 ).
Chiunque si accingerà a raggiungere il vertice di questo monte, vale a dire la perfezione della virtù, saprà certamente come la salita sia ardua e lo sforzo inutile senza l’aiuto del Verbo.
Felice quell’anima che, davanti agli sguardi degli Angeli ha dato di sé questo spettacolo e piena di gaudio li ha uditi esclamare a suo riguardo: Chi è costei che sale dal deserto, ricolma di delizie, appoggiata al suo diletto? ( Ct 8,5 ).
Diversamente sono vani i suoi sforzi se non si appoggia.
In verità, anche appoggiandosi contro di sé, prende forza, e fatta più forte di se stessa sottometterà tutto alla ragione: l’ira, la paura, la bramosia, e la gioia, tutte queste cose guiderà come un buon cocchiere guida il suo cocchio, e sottometterà ogni affetto carnale e i sensi della carne ai consigli della ragione, in ossequio alla virtù.
Come mai non sarebbe tutto possibile a chi si appoggia su di Lui che tutto può?
Quanta fiducia in questa parola: Tutto posso in colui che mi conforta! ( Fil 4,13 ).
Nulla rende più splendente l’onnipotenza del Verbo che il fatto di rendere onnipotenti tutti quelli che sperano in Lui.
E poi: Tutto è possibile a chi crede ( Mc 9,22 ).
Non è dunque onnipotente colui al quale tutto è possibile?
Così l’animo, non se presuma di sé, ma se è confortato dal Verbo, può dominare se stesso, e non sarà dominato da alcuna ingiustizia.
Così nessuna forza, nessun inganno, nessuna lusinga potrà abbattere chi sta in piedi o assoggettare chi domina, se è appoggiato al Verbo o rivestito di forza dall’alto.
6. Vuoi non aver paura di chi ti spinge per farti cadere?
Non ti raggiunga il piede della superbia, e la mano di chi spinge non ti smuoverà.
Là sono caduti i malfattori ( Sal 36,13 ).
Là il diavolo e i suoi angeli sono precipitati, i quali, sebbene non spinti dall’esterno, sono stati espulsi né poterono stare.
Non stette nella verità lui che non era appoggiato al Verbo, che aveva confidato nella sua forza.
E forse volle sedersi lui che non poté stare in piedi.
Diceva, infatti: Siederò nel monte del testamento ( Is 14,13 ).
Ma Dio pensava diversamente, e così né stette né sedette; ma cadde, come dice il Signore: Vedevo satana cadere dal cielo come folgore ( Lc 10,18 ).
Dunque, chi sta se non vuol cadere non si fidi di se stesso, ma si appoggi al Verbo.
Dice il Verbo: Senza di me non potete fare nulla ( Gv 15,5 ).
È così: né sorgere per fare il bene, né stare nel bene possiamo senza il Verbo.
Tu, dunque, che stai in piedi, da’ gloria al Verbo e di’: Stabilì i miei piedi sulla pietra e diresse i miei passi ( Sal 40,3 ).
È la sua mano che ti rialza, della sua forza hai bisogno per tenerti in piedi.
Questo riguardo al bisogno che noi abbiamo del Verbo, al quale dobbiamo appoggiarci per praticare la virtù.
7. Ora dobbiamo vedere, come ho prima accennato, come per mezzo del Verbo noi siamo riformati rispetto alla sapienza.
Il Verbo è forza, il Verbo è sapienza.
Riceva, dunque, l’anima forza dalla forza, e sapienza dalla sapienza, e attribuisca al Verbo l’uno e l’altro dono.
Diversamente, se pretende di averli da altri, oppure se attribuisce a sé entrambe o una delle due cose, è come se negasse che il ruscello nasce dalla sorgente, che il vino viene dalla vite, o che la luce dalla luce.
Questa parola è sicura: Se uno ha bisogno di sapienza, la chieda a Dio che dà a tutti in abbondanza e senza rinfacciare, e gli sarà concessa ( Gc 1,5 ).
Questo dice san Giacomo.
Io poi penso la medesima cosa riguardo alla forza.
La forza è parente della sapienza.
È dono di Dio la forza, da considerare tra quegli ottimi doni che discendono dall’alto, dal Padre del Verbo.
E se qualcuno sostiene che essa è tutt’uno con la sapienza, non ho nulla da obiettare, ma nel Verbo non nell’anima.
Quelle cose, infatti, che nel Verbo a causa della singolare semplicità della sua natura divina sono una cosa sola, non hanno un unico effetto nell’anima, ma si adattano alle sue varie e diverse necessità, venendo diversamente partecipate da essa.
Così, pertanto, altro è per l’anima essere mossa dalla forza, altro essere governata dalla sapienza, altro è dominare con la virtù, altro deliziarsi nella soavità.
Sebbene infatti anche la sapienza sia forte e la virtù soave, per dare tuttavia a ciascun vocabolo il suo proprio significato, il vigore denota la virtù, la’ tranquillità dell’animo con una certa soavità spirituale indica la sapienza.
Penso che questa l’abbia designata l’Apostolo, dove, dopo molte esortazioni che riguardano la virtù, aggiunge quello che riguarda la sapienza nella soavità, nello Spirito Santo.
Pertanto, stare in piedi, resistere, respingere la forza con la forza, che fanno parte della virtù, costituiscono un onore, ma sono cose faticose.
Non è lo stesso, infatti, difendere laboriosamente il tuo onore e possederlo in pace.
Non è lo stesso essere mosso dalla virtù e godere della virtù.
Tutto quello che la virtù faticosamente guadagna la sapienza lo gode; e quello che la sapienza ordina, delibera, propone, la virtù lo esegue.
8. La sapienza dello scriba si deve alle sue ore di quiete, dice il Saggio ( Sir 38,25 ).
Dunque, gli ozi della sapienza sono occupazioni, e più è in riposo la sapienza più è in esercizio nel suo genere.
Di riscontro, la virtù esercitata è più splendida, e tanto più provata quanto più premurosa.
E se uno definisse la sapienza amore della virtù non mi sembrerebbe scostarsi dalla verità.
Ma dove vi è l’amore non vi è fatica ma gusto.
E forse la sapienza si chiama così dal sapore che unendosi alla virtù come se fosse un condimento, rende saporita quella che di per sé era in un certo modo insipida e aspra.
Né avrei da ridire se qualcuno definisse la sapienza sapore del bene.
Abbiamo perduto questo gusto dal primo inizio del genere umano.
Da quando il palato del cuore prevalendo il senso della carne fu infetto dal veleno dell’antico serpente, l’anima cominciò a non avere più il gusto del bene e a subentrare il sapore cattivo.
Purtroppo l’istinto del cuore umano è incline al male fin dalla sua adolescenza ( Gen 8,21 ), cioè dall’insipienza della prima donna.
Così l’insipienza della donna rinunciò al gusto del bene, perché la malizia del serpente ingannò l’insipiente donna.
Ma dove sembrò che la malizia avesse vinto per un certo tempo, proprio là si duole di essere stata vinta per l’eternità.
Poiché, ecco, di nuovo la Sapienza riempì il cuore e il corpo della donna, per cui noi che eravamo stati rovinati e resi insipienti dalla donna siamo stati restaurati nella sapienza da un’altra donna.
E ora continuamente la sapienza vince la malizia nelle menti in cui entra soppiantando il gusto del male che la malizia aveva portato, con un gusto migliore.
Entrando la sapienza, mentre fa svanire il senso della carne, purifica l’intelletto, risana e ripara il palato del cuore.
Al palato sano diventa gustoso il bene, gustosa la sapienza che è il migliore dei beni.
9. Quante cose buone si fanno senza che vengano gustate da coloro che le fanno!
Sono, infatti, indotti a compierle non per il gusto del bene, ma o dalla ragione e da qualche altra occasione o necessità; e viceversa molti non gustano il male che fanno, ma sono condotti a farlo o per timore o per desiderio di qualche cosa piuttosto che dal gusto del male; coloro invece che agiscono per affetto del cuore, o sono sapienti, e per questo stesso fatto si dilettano nel gusto del bene; o sono maligni e si compiacciono nella malizia stessa, anche senza la lusinga di qualche altro interesse.
E la malizia che altro è se non il gusto del male?
Beata la mente che è tutta presa dal gusto del bene e dall’odio del male.
Questo significa essere restaurati secondo la sapienza, questo è sperimentare felicemente la vittoria della sapienza.
Quando, infatti, è provato con più evidenza che la sapienza vince la malizia che quando, cacciato il gusto del male, che non è altro che la stessa malizia, si sente un intimo gusto del bene invadere con grande dolcezza l’intimo della mente?
Pertanto spetta alla virtù sopportare con fortezza le tribolazioni, alla sapienza godere nelle tribolazioni.
Confortare il tuo cuore e attendere il Signore è compito della virtù; gustare e vedere come è buono il Signore spetta alla sapienza.
E perché sia maggiormente chiaro dal bene della propria natura il bene di entrambe, la modestia dell’animo dimostra il sapiente, e la costanza l’uomo virtuoso.
E bene la sapienza viene dopo la virtù perché questa è come uno stabile fondamento, sul quale la sapienza si edifica la casa.
È stato necessario che precedesse la nozione del bene, perché non possono andare d’accordo la luce della sapienza e le tenebre dell’ignoranza.
È stata necessaria anche la buona volontà perché: la sapienza non entra in un’anima che vuole il male ( Sap 1,4 ).
10. Ormai nel cambiamento della volontà è apparso il ritorno della vita dell’anima, nell’erudizione si è dimostrata la sua santità, nella virtù la stabilità, nella sapienza, infine, la sua maturità; resta da trovarle la bellezza, senza la quale l’anima non può piacere a colui che è bello tra figli dell’uomo.
Senti, infine, come al Re piacerà la tua bellezza ( Sal 45,12 ).
Quanti beni dell’anima, doni del Verbo, abbiamo enumerato: la buona volontà, la scienza, la virtù, la sapienza!
E di nessuno di questi si legge che piaccia al Verbo ma solo si dice: Al Re piacerà la sua bellezza.
Il Profeta dice: Il Signore regna, si riveste di bellezza ( Sal 93,1 ).
Perché non desidererà anche per la sua sposa un simile indumento?
Gli sarà, dunque, tanto più cara quanto più gli sarà simile.
E in che cosa consiste la bellezza dell’anima?
Forse in quello che si dice onesto?
Intanto sentiamo se non troviamo qualcosa di meglio.
Circa l’onestà si esamini la condotta esteriore.
Non che da essa provenga l’onestà, ma si manifesta attraverso di essa.
L’origine e la sede di essa è nella coscienza.
Il suo splendore, infatti, è la testimonianza della coscienza.
Nulla è più chiaro di questa luce, nulla più glorioso di questa testimonianza, quando la verità splende nella mente e la mente si vede nella verità.
Ma quale? Si vede pudica, vereconda, pavida, circospetta, che non ammette affatto nulla che renda vana la gloria della coscienza che attesta di non essere cosciente di nulla per cui si vergogni della presenza della verità, per cui sia costretta a voltare la faccia, quasi confusa e abbagliata dalla luce di Dio.
Questo davvero, questo è quella bellezza che sopra ogni altra cosa buona dell’anima piace agli occhi di Dio e noi chiamiamo onesto.
11. Quando poi lo splendore di questa bellezza avrà riempito con maggiore abbondanza l’intimo del cuore, è necessario che si manifesti al di fuori come una lampada che era nascosta sotto il moggio, anzi come luce che splende nelle tenebre, incapace di restare nascosta.
Rifulgendo perciò, e quasi erompendo con certi suoi raggi dal simulacro della mente viene ricevuta dal corpo e si diffonde nelle sue membra e nei suoi sensi, in modo che ne riluce ogni atto, discorso, sguardo, movimento, il riso, se pure è riso, misto a gravità e decoro.
Se il movimento, il gesto e l’uso di queste e altre membra e sensi, appare serio, puro, modesto, tutto privo di insolenza e di mollezza, alieno da leggerezza come da ignavia, ma informato da equità, sollecito alla pietà, allora la bellezza dell’anima sarà manifesta, a meno che non vi sia inganno nel suo spirito: può darsi, infatti, che vengano simulate tutte queste cose, e non provengano dall’abbondanza del cuore.
E perché maggiormente risplenda questa bellezza dell’anima, la stessa onestà nella quale abbiamo detto che essa consiste, venga così definita: nobiltà della mente, sollecita di conservare con buona coscienza l’integrità della fama, o, secondo l’Apostolo, si preoccupa di comportarsi bene non soltanto davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini.
Beata la mente che si riveste di questo splendore di purità e di quel certo manto candido di innocenza che le conferisce la gloriosa conformità non con il mondo, ma con il Verbo del quale si legge che è candore della vita eterna, splendore e figura della sostanza di Dio.
12. Da questo gradino ormai una tale anima ardisce pensare alle nozze.
Come non oserebbe farlo, scorgendosi nubile in quanto simile?
Non l’atterrisce l’altezza che la somiglianza associa, che l’amore concilia, che la professione unisce.
La formula della professione è questa: Ho giurato e lo confermo di custodire i tuoi precetti di giustizia ( Sal 119,106 ).
Seguendo questa gli Apostoli dicevano: Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito ( Mt 19,27 ).
Sono parole simili a quelle dette nel carnale connubio che ha prefigurato l’unione spirituale di Cristo con la Chiesa: Per questo l’uomo abbandonerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne ( Ef 5,31 ) e presso il Profeta: Il mio bene è aderire a Dio e porre la mia speranza nel Signore Dio ( Sal 73,28 ).
Pertanto, l’anima che vedrai abbandonare tutto e aderire con tutto l’ardore al Verbo, vivere per il Verbo, secondo il Verbo comportarsi, concepire dal Verbo per poi partorire al Verbo, che possa dire: Per me vivere è Cristo e morire un guadagno ( Fil 1,21 ) considerala coniuge e sposata al Verbo.
Confida in essa il cuore del suo Sposo, sapendola fedele, sapendo che ha disprezzato tutto ciò che è fuori di lui, tutto ha considerato come immondizia pur di guadagnare lui.
Riconosceva essere tale colui del quale Cristo diceva: Questi è per me un vaso di elezione ( At 9,15 ).
Davvero pia madre, l’anima di Paolo, e fedele al suo Sposo, quando diceva: Figlioli miei che io nuovamente partorisco finché sia formato Cristo in voi ( Gal 4,19 ).
13. Ma bada come nel matrimonio spirituale vi sono due maniere di partorire e di conseguenza c’è diversità nella prole, ma non contrarietà, poiché le sante madri partoriscono o anime predicando, o intelligenze spirituali meditando.
In questo ultimo genere talvolta si viene anche rapiti e si esce anche dai sensi del corpo, di modo che non sente più se stessa l’anima che sente il Verbo, in qualche modo si ruba a se stessa, anzi viene rapita e sottratta a se stessa, per godere del Verbo.
Diversa è la situazione della mente che porta frutto per il Verbo e di quella che gode del Verbo.
Nel primo caso è sollecitata dalla salvezza del prossimo, nell’altro è attirata dalla soavità del Verbo.
E, pertanto, è si lieta la madre per la prole, ma più felice nei suoi amplessi la sposa.
Cari i pegni dei figli, ma i baci sono più dolci.
È buona cosa salvare molti; andare in estasi ed essere con il Verbo è cosa molto più gioiosa.
Ma quando questo e fino a quando?
Dolce scambio, ma breve momento e rara esperienza!
È questo quello che dopo altre cose ricordo di aver detto, che cioè l’anima cerca il Verbo per trovare in Lui la gioia e la dolcezza.
14. Qualcuno vorrà ancora chiedermi che cosa sia godere del Verbo.
Rispondo: cerchi piuttosto uno che abbia sperimentato questo per domandarlo a lui.
O se anche a me fosse dato di fare questa esperienza, pensi che potrei dire ciò che è indicibile?
Senti uno che lo aveva sperimentato: Se siamo stati fuori dei sensi era per Dio; se siamo assennati è per voi ( 2 Cor 5,13 ).
Vale adire: altro è quello che io provo con Dio, lui solo essendo testimonio, altra è la mia relazione con voi: quello si può sperimentare ma per nulla descrivere, in quest’altro io sono con voi tanto condiscendente che io posso parlarvi e voi siete in grado di comprendere.
O tu che sei curioso di sapere che cosa sia godere del Verbo, prepara a lui non l’orecchio ma la mente!
Non insegna questo con la lingua, lo insegna con la grazia.
Questo viene nascosto ai sapienti e ai prudenti, e viene rivelato ai piccoli.
Grande, fratelli, grande e sublime virtù l’umiltà, che merita quello che non insegna, che è degna di conseguire quello che non può imparare, degna di concepire dal Verbo e del Verbo quello che lei stessa con le sue parole non riesce a spiegare.
Perché questo? Non perché’così ha meritato, ma perché cosî piace al Padre del Verbo, Sposo dell’anima, Gesù Cristo Signore nostro, che è sopra ogni cosa Dio benedetto nei secoli.
Amen.
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