Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo XL

Come i dannati non possono desiderare alcuno bene.

- Egli è tanto l'odio che essi hanno, che non possono volere né desiderare veruno bene, ma sempre mi bastemmiano.

E sai perché eglino non possono desiderare il bene? però che, finita la vita dell'uomo, è legato el libero arbitrio; per la qual cosa non possono meritare, perduto che essi hanno el tempo.

Se eglino finiscono in odio con la colpa del peccato mortale, sempre per divina giustizia sta legata l'anima col legame de l'odio e sempre sta obstinata in quel male che ella ha, rodendosi in se medesima, e accrescele sempre pene, e spezialmente delle pene d'alcuni in particulare de' quali ella fusse stata cagione della dannazione loro.

Sí come vi dimostrò quello ricco dannato quando chiedeva di grazia che Lazzaro andasse a' suoi frategli, e' quali erano rimasi nel mondo, ad anunziare le pene sue.

Questo giá non faceva per caritá né per compassione de' frategli, però che egli era privato della caritá e non poteva desiderare bene né in onore di me né in salute loro; perché giá t'ho decto che non possono fare alcuno bene nel proximo e me bastemmiano, perché la vita loro finí ne l'odio di me e della virtú.

Ma perché dunque il faceva? però che egli era stato el maggiore e avevali notricati nelle miserie nelle quali egli era vissuto, sí che egli era cagione della dannazione loro.

Per la quale cagione se ne vedeva seguitare pena, giognendo eglino al crociato tormento, con lui insieme, dove sempre in odio si rodono, perché ne l'odio finí la vita loro.

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