Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CXXIII

Di molti altri defecti de’ predecti ministri, e singularmente dell’andare per le taverne e del giocare e del tenere le concubine.

- Unde riceve l’anima loro tanta puzza? da la propria loro sensualitá.

La quale sensualitá con amore proprio hanno facta donna, e la tapinella anima hanno facta serva; dove Io gli feci liberi, col sangue del mio Figliuolo, della liberazione generale, quando tucta l’umana generazione fu tracta della servitudine del dimonio e della sua signoria.

Questa grazia ricevette ogni creatura che ha in sé ragione; ma questi miei unti gli ho liberati dalla servitudine del mondo e postigli a servire solo me, Dio etterno, a ministrare i sacramenti della sancta Chiesa.

E hogli facti tanto liberi, che non ho voluto né voglio che neuno signore temporale di loro si faccia giudice.

E sai che merito, dilectissima figliuola, essi mi rendono di tanto benefizio quanto hanno ricevuto da me?

El merito loro è questo: che continuamente mi perseguitano in tanti diversi e scellerati peccati, che la lingua tua non gli potrebbe narrare e a udirlo ci verresti meno.

Ma pure alcuna cosa te ne voglio dire, oltre a quel ch’Io t’ho decto, per darti piú materia di pianto e di compassione.

Eglino debbono stare in su la mensa della croce per sancto desiderio, e ine notricarsi del cibo de l’anime per onore di me.

E benché ogni creatura che ha in sé ragione questo debba fare, molto maggiormente el debbano fare costoro che Io ho electi perché vi ministrino el Corpo e ’l Sangue di Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo, e perché vi diano exemplo di sancta e buona vita, e, con pena loro e con sancto e grande desiderio seguitando la mia Veritá, prendano el cibo de l’anime vostre.

Ed essi hanno presa per mensa loro le taverne: ine, giurando e spergiurando, con molti miserabili difecti, pubblicamente, come uomini aciecati e senza lume di ragione, sonno facti animali per li loro difecti e stanno in acti, in facti e in parole lascivamente.

E non sanno che si sia Officio; e se alcuna volta el dicono, el dicono con la lingua, e ’l cuore loro è dilunga da me!

Essi stanno come ribaldi e barattieri; e poi che hanno giocata l’anima loro e messala nelle mani delle dimonia, ed essi giuocano e’ beni de la Chiesa, e la sustanzia temporale, la quale ricevono in virtú del Sangue, giuocano e sbaractano.

Unde i poveri non hanno el debito loro; e la Chiesa n’è sfornita, e non con quelli fornimenti che le sonno necessari.

Unde, perché essi sonno facti templo del diavolo, non si curano del templo mio.

Ma quello adornamento, che debbono fare nel templo e nella Chiesa per riverenzia del Sangue, egli el fanno nelle case loro dove essi abitano.

E peggio è però che essi fanno come lo sposo che adorna la sposa sua; cosí questi dimòni incarnati, del bene della Chiesa adornano la diavola sua, con la quale egli sta iniquamente e immondamente.

E senza veruna vergogna le faranno andare, stare e venire, mentre ch’e’ miseri dimòni saranno a celebrare a l’altare.

E non si curaranno che questa miserabile diavola vada, co’ figliuoli a mano, a fare l’offerta con l’altro popolo.

O dimòni sopra dimòni!

Almeno le iniquitá vostre fussero piú nascoste negli occhi de’ vostri subditi; ché, facendole nascoste, offendete me e fate danno a voi, ma non fate danno al proximo, ponendo actualmente la vita vostra scellerata dinanzi a loro, però che per lo vostro exemplo gli sète materia e cagione, non che egli esca de’ peccati suoi, ma che egli caggia in quegli simili e maggiori che avete voi.

È questa la puritá che Io richeggio al mio ministro quando egli va a celebrare a l’altare?

Questa è la puritá che egli porta: che la mactina si levará con la mente contaminata e col corpo suo corrocto, stato e giaciuto nello immondo peccato mortale, e andará a celebrare.

O tabernacolo del dimonio, dove è la vigilia della nocte col solenne e devoto Offizio? dove è la continua e devota orazione?

Nel quale tempo della nocte tu ti debbi disponere al misterio che hai a fare la mactina, con uno cognoscimento di te, cognoscendoti e reputandoti indegno a tanto misterio, e con uno cognoscimento di me che per la mia bontá te n’hoe facto degno e non per li tuoi meriti, e factoti mio ministro, acciò che ’l ministri a l’altre mie creature.

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