Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CXXIV

Come ne’ predecti ministri regna el peccato contra natura, e d’una bella visione che questa anima ebbe sopra questa materia.

- Io ti fo a sapere, carissima figliuola, che tanta puritá Io richeggio a voi e a loro in questo sacramento, quanta è possibile a uomo in questa vita; in quanto da la parte vostra e loro ve ne dovete ingegnare d’acquistarla continuamente.

Voi dovete pensare che, se possibile fusse che la natura angelica si purificasse, a questo misterio sarebbe bisogno che ella si purificasse; ma non è possibile, perché non ha bisogno d’essere purificata, perché in loro non può cadere veleno di peccato.

Questo ti dico perché tu vega quanta puritá Io richeggio da voi e da loro in questo sacramento, e singularmente da loro.

Ma el contrario mi fanno, però che tucti inmondi vanno a questo misterio; e non tanto della immondizia e fragilitá, a la quale sète inchinevoli naturalmente per fragile natura vostra ( benché la ragione, quando el libero arbitrio vuole, fa stare queta la sua rebellione ); ma e’ miseri non tanto che raffrenino questa fragilitá, ma essi fanno peggio, commectendo quel maledecto peccato contra natura.

E come ciechi e stolti, obfuscato el lume de l’intellecto loro, non cognoscono la puzza e la miseria nella quale eglino sonno: che non tanto che ella puta a me, che so’ somma e etterna puritá ( ed emmi tanto abominevole che per questo solo peccato profondâro cinque cittá per divino mio giudicio, non volendo piú sostener la divina giustizia, tanto mi dispiacque questo abominevole peccato ); ma non tanto a me, come decto t’ho, ma a le demonia ( le quali dimonia e’ miseri s’hanno facto signori ) lo’ dispiace.

Non che lo’ dispiaccia el male perché lo’ piaccia alcuno bene, ma perché la natura loro fu natura angelica, e però la natura loro schifa di vedere o di stare a vedere commectere quello enorme peccato actualmente.

Hagli bene inanzi gictata la saecta avelenata del veleno della concupiscenzia, ma, giognendo a l’acto del peccato, egli si va via per la cagione e per lo modo che decto t’ho.

Sí come tu sai, se bene ti ricorda innanzi la mortalitá, che Io el manifestai a te quanto m’era spiacevole, e quanto el mondo di questo peccato era corrocto.

Unde, levando Io te sopra di te per sancto desiderio ed elevazione di mente, ti mostrai tucto quanto el mondo, e quasi in ogni maniera di gente tu vedevi questo miserabile peccato.

E vedevi e’ dimòni, sí come Io ti mostrai, che fuggivano come decto è.

E sai che fu tanta la pena che tu ricevesti nella mente tua e la puzza, che quasi ti pareva essere in su la morte.

Tu non vedevi luogo dove tu e gli altri servi miei vi poteste ponere, acciò che questa lebbra non vi si ataccasse.

E non vedevi di potere stare né tra piccoli né tra grandi, né vecchi né giovani, né religiosi né cherici, né prelati né subditi, né signori né servi, che di questa malediczione non fussero contaminati le menti e i corpi loro.

Mostra’telo in generale, non ti dico, ne mostrai de’ particulari, se alcuno ce n’ha a cui non tocchi, ché pure tra’ gactivi ho riserbato alcuno de’ miei, de’ quali per le loro giustizie Io ritengo la mia giustizia che non comando a le pietre che si rivolgano contra di loro, né alla terra che gl’inghioctisca, né agli animali che gli devorino, né alle dimonia che ne portino l’anime e i corpi.

Anco vo trovando le vie e i modi per poter lo’ fare misericordia, cioè perché correggano la vita loro; e mecto per mezzo e’ servi miei che sonno sani e non lebbrosi, perché per loro mi preghino.

E alcuna volta lo’ mostraròe questi miserabili peccati acciò che sieno piú solliciti a cercare la salute loro, offerendoli a me con maggiore compassione; e con dolore de’ loro difecti e de l’offesa mia pregare me per loro, sí come Io feci a te per lo modo che tu sai e decto t’ho.

E se bene ti ricorda, facendoti sentire una sprizza di questa puzza, tu eri venuta a tanto che tu non potevi piú, sí come tu dicesti a me:

- O Padre etterno, abbi misericordia di me e delle tue creature!

O tu mi traie l’anima del corpo, però che non pare che io possa piú; o tu mi dá refrigerio e mostrami in che luogo io e gli altri servi tuoi ci possiamo riposare, acciò che questa lebbra non ci possa nuocere né tollere la puritá de l’anime e de’ corpi nostri.

- Io ti risposi vollendomi verso di te con l’occhio della pietá, e dixi, e dico:

- Figliuola mia, el vostro riposo sia di render gloria e loda al nome mio, e gittarmi oncenso di continua orazione per questi tapinelli che si sonno posti in tanta miseria, facendosi degni del divino giudicio per li loro peccati.

El vostro luogo, dove voi stiate, sia Cristo crocifixo unigenito mio Figliuolo, abitando e nascondendovi nella caverna del costato suo, dove voi gustarete, per affecto d’amore, in quella natura umana la natura mia divina.

In quello cuore aperto trovarete la caritá mia e del proximo vostro, però che per onore di me, Padre etterno, e per compire l’obbedienzia ch’Io posi a lui per la salute vostra, corse a l’obbrobriosa morte della sanctissima croce.

Vedendo voi e gustando questo amore, seguitarete la doctrina sua, notricandovi in su la mensa della croce, cioè portando per caritá, con vera pazienzia, el proximo vostro, pena, tormento e fadiga, da qualunque lato elle si vengano.

A questo modo camparete e fuggirete la lebbra.

- Questo è il modo che Io diei e do a te e agli altri.

Ma per tucto questo, da l’anima tua non si levava però el sentimento della puzza, né a l’occhio de l’intellecto la tenebre.

Ma la mia providenzia providde; però che, comunicandoti del Corpo e del Sangue del mio Figliuolo tucto Dio e tucto uomo, sí come ricevete nel sacramento de l’altare, in segno che questo era veritá, levossi la puzza per l’odore che ricevesti nel sacramento, e la tenebre si levò per la luce che in esso sacramento ricevesti.

E rimaseti, per admirabile modo, sí come piacque a la mia bontá, l’odore del Sangue nella bocca e nel gusto del corpo tuo per piú dí, sí come tu sai.

Sí che vedi, carissima figliuola, quanto m’è abominevole in ogni creatura: or ti pensa che molto maggiormente in questi che Io ho tracti che vivano nello stato della continenzia.

E fra questi continenti che sonno levati dal mondo, chi per religione e chi come pianta piantata nel corpo mistico della sancta Chiesa, tra’ quali sonno e’ ministri, non potresti tanto udire quanto piú mi dispiace questo peccato in loro; oltre al dispiacere che Io ricevo dagli uomini generali del mondo, e de’ particulari continenti, de’ quali Io t’ho decto; perché costoro sono lucerne poste in sul candelabro, ministratori di me, vero Sole, in lume di virtú, di sancta e onesta vita; ed essi ministrano in tenebre.

E tanto sonno tenebrosi, che la sancta Scriptura, che in sé è illuminata, perché la trassero e’ miei electi col lume sopranaturale da me, vero lume ( sí come in un altro luogo Io ti narrai ), per la enfiata loro superbia, e perché sonno immondi e lascivi, non ne veggono né intendono altro che la corteccia, licteralmente, e quella ricevono senza alcuno sapore, perché ’l gusto de l’anima non è ordinato: anco è corrocto da l’amore proprio e da la superbia, ripieno lo stomaco della immondizia, desiderando di conpire i disordenati dilecti loro; ripieni di cupiditá e d’avarizia, e senza vergogna publicamente commectono e’ difecti loro.

E l’usura, che è vetata da me, saranno molti miserabili che la commectaranno.

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