Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CXXIX

Di molti altri defecti e’ quali per superbia e per l’amore proprio si comectono.

- Tucto questo t’ho decto per darti piú materia di pianto e d’amaritudine della ciechitá loro, cioè di vederli stare in stato di dannazione, e perché tu cognosca meglio la misericordia mia, acciò che tu in questa misericordia pigli fiducia e grandissima sicurtá, offerendo loro ministri della sancta Chiesa e tucto quanto el mondo dinanzi a me, chiedendo a me, per loro, misericordia.

E quanto piú per loro m’offerirai dolorosi e amorosi desidèri, tanto piú mi mostrarrai l’amore che tu hai a me.

Però che quella utilitá che tu a me none puoi fare, né tu né gli altri servi miei, dovete farla e mostrarla col mezzo di loro.

E Io allora mi lassarò costrignere al desiderio, alle lagrime e a l’orazioni de’ servi miei, e farò misericordia alla sposa mia, riformandola di buoni e sancti pastori.

Riformatala di buoni pastori, per forza si correggeranno e’ subditi, però che, quasi, de’ mali che si fanno per li subditi sonno colpa e’ gattivi pastori; però che, se essi correggessero, e rilucesse in loro la margarita della giustizia, con onesta e sancta vita, non farebbero cosí.

E sai che n’adiviene di questi cotali perversi modi? che l’uno séguita le vestigie de l’altro; però che i subditi non sonno obbedienti, perché, quando el prelato era subdito, non fu obbediente al prelato suo.

Unde riceve da’ subditi suoi quel che die’ egli; e perché fu gattivo subdito, è gattivo pastore.

Di tucto questo, e d’ogni altro difecto, è cagione la superbia fondata in amore proprio.

Ignorante e superbo era subdito, e molto piú è ignorante e superbo ora che è prelato.

E tanta è la sua ignoranzia che, come cieco, dará l’offizio del sacerdote a uomo idiota, il quale a pena saprá pure leggere e non saprá l’officio suo.

E spesse volte, per la sua ignoranzia, non sapendo bene le parole sacramentali, non consacrará.

Unde, per questo, commecte quello medesimo difecto di non consecrare, che quegli hanno facto per malizia, non consecrando ma facendo vista di consecrare.

Colá dove egli debba scegliere uomini experti e fondati in virtú che sappino e intendano quello che dicono. Ed essi fanno tucto il contrario, perché non mirano che egli sappi e non mirano a tempo ma a dilecto: pare che scelgano fanciulli e non uomini maturi.

E non mirano che essi siano di sancta e onesta vita, né che cognoscano la dignitá alla quale essi vengono, né il grande misterio che essi hanno a fare; ma mirano pure di moltiplicare gente, ma non virtú.

Essi sonno ciechi e ragunatori di ciechi, e non veggono che Io di questo e de l’altre cose lo’ richiedarò ragione ne l’ultima extremitá della morte.

E poi che egli hanno facti e’ sacerdoti cosí tenebrosi come decto è, ed essi lo’ danno ad avere cura d’anime, e veggono che di loro medesimi non sanno avere cura.

Or come potranno costoro, che non cognoscono el difecto loro, correggerlo e cognoscerlo in altrui?

Non può né vuole fare contra se medesimo.

E le pecorelle, che non hanno pastore che curi di loro né che le sappi guidare, agevolemente si smarriscono e spesse volte sonno devorate e sbranate da’ lupi.

E perché è gattivo pastore, non si cura di tenere il cane che abbai vedendo venire il lupo; ma tale il tiene quale è egli.

E cosí questi ministri e pastori perché non hanno sollicitudine né hanno el cane della coscienzia, né il bastone della sancta giustizia, né la verga per correggere, e la conscienzia non abbaia riprendendo se medexima, né reprendendo le pecorelle vedendole smarrite e non tenere per la via della veritá, cioè non observando e’ comandamenti miei, el lupo infernale le divora.

Abbaiando questo cane, ponendo e’ difecti loro sopra di sé con la verga della sancta giustizia, come decto è, camparebbe le pecorelle sue e tornarebbero a l’ovile.

Ma perché egli è pastore senza verga e senza cane di conscienzia, periscono le sue pecorelle, e non se ne cura, perché il cane della coscienzia sua è indebilito, e però non abbaia, perché non gli ha dato el cibo.

Però che il cibo che si debba dare a questo cane è il cibo de l’Agnello mio Figliuolo; però che piena che la memoria è del Sangue, sí come vasello de l’anima, la coscienzia se ne notrica; cioè che per la memoria del Sangue l’anima s’accende ad odio del vizio e amore della virtú.

El quale odio e amore purificano l’anima dalla macchia del peccato mortale, e dá tanto vigore a la conscienzia che la guarda, che subbito che veruno nemico de l’anima, cioè il peccato, volesse intrare dentro ( non tanto l’affecto, ma el pensiero ), subbito la coscienzia come cane abbaia con stimolo, tanto che desta la ragione.

E però non commecte ingiustizia, però che colui che ha coscienzia ha giustizia.

E però questi cotali iniqui, non degni d’essere chiamati non tanto ministri ma creature ragionevoli, perché sonno facti animali per li loro difecti, non hanno cane ( perché si può dire per la debilezza sua che essi non l’abbino ), e però non hanno la verga della sancta giustizia.

E tanto gli hanno facti timidi e’ difecti loro, che l’ombra lo’ fa paura, non di timore sancto, ma di timore servile.

Eglino si debbono dispónare a la morte per trare l’anime delle mani delle dimonia, ed essi ve le mectono, non dando lo’ doctrina di buona e sancta vita, né volendo sostenere una parola ingiuriosa per la salute loro.

E spesse volte sará l’anima del subdito inviluppata in gravissimi peccati, e avará a satisfare ad altrui; e per l’amore disordinato che egli avará a la sua fameglia, per none spropriarli, non renderá il debito suo.

La vita sua sará nota a grande quantitá di gente e anco al misero sacerdote; e nondimeno anco gli sará facto sapere, acciò che, come medico che egli debba essere, curi quella anima.

El misero ministro andará per fare quello che debba fare; e una parola che gli sia decta ingiuriosa o una mala miratura che gli sia facta, per timore non se ne impacciará piú.

E alcuna volta gli sará donato; unde, fra el dono e il timore servile, lassará stare quella anima nelle mani delle dimonia, e daragli el sacramento del Corpo di Cristo, unigenito mio Figliuolo.

E vede e sa che quella anima non è sviluppata dalla tenebre del peccato mortale; e nondimeno, per compiacere agli uomini del mondo e per lo disordinato timore e dono che ha ricevuto da loro, gli ha ministrato e’ sacramenti e sepellitolo a grande onore nella sancta Chiesa, colá dove, come animale e membro tagliato dal corpo, el dovarebbe gictare fuore.

Chi n’è cagione di questo? l’amore proprio e le corna della superbia.

Però che, se egli avesse amato me sopra ogni cosa e l’anima di quel tapinello, e fusse stato umile e senza timore, avarebbe cercata la salute di quella anima.

Vedi dunque quanto male séguita di questi tre vizi, e’ quali Io t’ho posti per tre colonne unde procedono tucti gli altri peccati: la superbia, avarizia e inmondizia delle menti e corpi loro.

L’orecchie tue non sarebbero sufficienti a udirli, quanti sonno e’ mali che di costoro escono sí come membri del dimonio.

E per la superbia, disonestá e cupiditá loro fanno che alcuna volta ( e tu hai veduto coloro a cui egli toccò ) saranno cotali semplicelle di buona fede che si sentiranno cotali difecti di paura nelle menti loro.

Temendo di non avere il dimonio, vannosene al misero sacerdote, credendo che egli le possa liberare; e vanno perché l’uno diavolo cacci l’altro.

E egli, come cupido, riceve il dono, e, come disonesto, bructo, lascivo e miserabile, dirá a quelle tapinelle:

- Questo difecto che voi avete non si può levare se non per lo tale modo; - e cosí, miserabilemente, lo’ fará fiaccare il collo con lui insieme.

O dimonio sopra dimonio! in tucto se’ facto peggio che il dimonio.

Molti dimòni sonno che hanno a schifo questo peccato; e tu, che se’ facto peggio di lui, vi t’involli dentro come il porco nel loto.

O immondo animale, è questo quel ch’Io ti richiego, che tu con la virtú del Sangue, del quale Io t’ho facto ministro, cacci le dimonia da l’anime e da’ corpi; e tu ve li mecti dentro?

Non vedi che la scure della divina giustizia è giá posta a la radice de l’arbore tuo?

E dicoti che elle ti stanno a usura e a l’ora e al tempo suo, se tu non punisci le tue iniquitá con la penitenzia e contrizione del cuore: tu non sarai riguardato perché tu sia sacerdote, anco sarai punito miserabilemente e portarai le pene per te e per loro.

E piú crudelmente sarai cruciato che gli altri: staracti a mente alora di cacciare il dimonio col dimonio della concupiscenzia.

E l’altro misero, che andará la creatura a lui che l’absolva perché sará legata in peccato mortale, e egli la legará in cotale e maggiore, e per nuove vie e modi cadrá in peccato con lei.

E se ben ti ricorda, tu vedesti la creatura con gli occhi tuoi, a cui egli toccò.

Bene è dunque pastore senza cane di coscienzia: anco affoga la coscienzia altrui non tanto che la sua.

Io gli ho posti perché cantino e psalmeggino la nocte, dicendo l’officio divino; e essi hanno imparato a fare malie e incantare le dimonia, facendosi venire per incanto di demonio, di mezza nocte, quelle creature che miseramente amano.

Parrá che vengano, ma non sará.

Or hotti Io posto perché la vigilia della nocte tu la spenda in questo?

Certo no, ma perché tu la spenda in vigilia ed orazione, acciò che la mactina, disposto, tu vada a celebrare, e dia odore di virtú al popolo e non puzza di vizio.

Se’ posto nello stato angelico, acciò che tu possa conversare con gli angeli per sancta meditazione in questa vita, e poi ne l’ultimo gustare me con loro insieme; e tu ti dilecti d’essere dimonio, e di conversare con loro prima che venga el punto della morte.

Ma le corna della tua superbia t’hanno percosso dentro ne l’occhio de l’intellecto la pupilla della sanctissima fede, e hai perduto el lume, e però non vedi in quanta miseria tu stai.

E non credi in veritá che ogni colpa è punita e ogni bene è remunerato: ché, se in veritá tu el credessi, non faresti cosí, e non cercaresti né vorresti sí facta conversazione, anco ti verrebbe in terrore pure d’udire mentovare il nome suo.

Ma perché tu séguiti la volontá sua, di lui e delle sue operazioni pigli dilecto.

Cieco sopra cieco, Io vorrei che tu dimandassi el dimonio che merito egli ti può rendere del servizio che tu li fai.

Esso ti risponderebbe, dicendo che ti dará quel fructo che ha per sé.

Però che altro non ti può dare se non quelli crociati tormenti e fuoco nel quale arde continuamente, dove esso cadde, per la superbia sua, da l’altezza del cielo.

E tu, angelo terrestre, cadi da l’altezza ( per la superbia tua ) della dignitá del sacerdote e dal tesoro delle virtú nella povertá di molte miserie e, se tu non ti correggerai, nel profondo de l’inferno.

Tu t’hai facto dio e signore il mondo e te medesimo: or di’ al mondo con tucte le sue delizie che tu hai prese in questa vita, e a la propria tua sensualitá con che tu hai usate le cose del mondo ( colá dove Io ti posi nello stato del sacerdozio perché tu le spregiassi, e te e il mondo sensualmente ); di’ che rendano ragione per te dinanzi a me, sommo giudice.

Rispondarannoti che non ti possono aitare e farannosi beffe di te, dicendo: - Per te conviene che riesca.

- E tu rimani confuso e vitoperato dinanzi a me e dinanzi al mondo.

Tucto questo tuo danno tu nol vedi, però che, come decto è, le corna della superbia tua t’hanno aciecato.

Ma tu el vedrai ne l’ultima extremitá della morte, dove tu non potrai pigliare rimedio in alcuna tua virtú, però che non l’hai se non solo nella misericordia mia, sperando in quello dolce Sangue del quale fusti facto ministro.

Questo né a te né ad alcuno sará mai tolto, mentre che vorrai sperare nel Sangue e nella misericordia mia; benché neuno debba essere sí matto né tu sí cieco che tu ti conduca a l’extremitá.

Pensa che in su quella extremitá l’uomo che iniquamente è vissuto le dimonia l’accusano, el mondo e la propria fragilitá; e none il lusenga né li mostra il dilecto colá dove era l’amaro, né la cosa perfetta colá dove era imperfeczione, né il lume per la tenebre, sí come fare solevano nella vita sua: anco mostrano la veritá di quello che è.

El cane della coscienzia, che era debile, comincia ad abbaiare tanto velocemente che quasi conduce l’anima a la disperazione.

Benché neuna ve ne debba giognere, ma debba pigliare con esperanza il Sangue, non obstante i difecti che abbi commessi; però che senza veruna comparazione è maggiore la misericordia mia, la quale ricevete nel Sangue, che tucti e’ peccati che si commectono nel mondo.

Ma neuno s’indugi, come decto è; ché forte cosa è a l’uomo trovarsi disarmato nel campo della bactaglia tra molti nemici.

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