Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CLV

Come l’obbedienzia è una chiave con la quale si disera el cielo, e come debba avere el funicello e debbasi portare attaccata a la cintura.

E de le excellenzie sue.

- Poi che Io t’ho mostrato dove tu la truovi, e unde ella viene, e chi è la sua compagna, e da cui è nutricata; ora ti parlarò degli obbedienti insieme co’ disobbedienti, e de l’obbedienzia generale e della particulare, cioè di quella de’ comandamenti e di quella de’ consigli.

Tucta la fede vostra è fondata sopra l’obbedienzia, ché ne l’obbedienzia mostrate d’essere fedeli.

Posti vi so’ dalla mia Veritá, a tucti generalmente, i comandamenti della legge.

El principale si è d’amare me sopra ogni cosa e ’l proximo come voi medesimi; e sonno legati questi insieme con gli altri, che non si può observare l’uno che tucti non si observino, né lassarne uno che tucti non si lassino.

Chi observa questo observa tucti gli altri, è fedele a me e al proximo suo, ama me e sta nella dileczione della mia creatura; e però è obbediente, fassi subdito a’ comandamenti della legge e alle creature per me, con umiltá e pazienzia porta ogni fadiga e detrazione dal proximo.

Questa obbedienzia fu ed è di tanta excellenzia, che tucti ne contraeste la grazia, sí come per la disobbedienzia tucti avavate tracta la morte.

Ma e’ non bastarebbe, se ella fusse stata solo nel Verbo, e ora non l’usaste voi.

Giá ti dixi che ella era una chiave che diserrò il cielo, la quale chiave pose nelle mani del vicario suo.

Questo vicario la pone in mano d’ogniuno, ricevendo il sancto baptesmo, dove egli promecte di renunziare al dimonio, al mondo e alle ponpe e delizie sue.

Promectendo d’obbedire, riceve la chiave de l’obbedienzia; sí che ogniuno l’ha in particulare, ed è la medesima chiave del Verbo.

E se l’uomo non va col lume della fede e con la mano de l’amore a diserrare con questa chiave la porta del cielo, giá mai dentro non vi entrarrá, non obstante che ella sia aperta per lo Verbo; però che Io vi creai senza voi, ma non vi salvarò senza voi.

Addunque vi conviene portare in mano la chiave, e convienvi andare e non sedere: andare per la doctrina della mia Veritá e non sedere, cioè ponendo l’affecto suo in cosa finita, sí come fanno gli uomini stolti che seguitano l’uomo vecchio, il primo padre loro, facendo quello che fece egli, che gittò la chiave de l’obbedienzia nel loto della immondizia; schiacciandola col martello della superbia, arrugginilla con l’amore proprio.

Se non poi che venne il Verbo, unigenito mio Figliuolo, che si recò questa chiave de l’obbedienzia in mano e purificolla nel fuoco della divina caritá; trassela del loto, lavandola col Sangue suo; dirizzolla col coltello della giustizia, fabricando le iniquitá vostre in su l’ancudine del corpo suo.

Egli la racconciò sí perfectamente che, tanto quanto l’uomo guastasse la chiave sua per lo libero arbitrio, con questo medesimo libero arbitrio, mediante la grazia mia, con questi medesimi strumenti la può racconciare.

O cieco sopra cieco uomo, che, poi che tu hai guasta la chiave de l’obbedienzia, tu anco non ti curi di raconciarla!

E credi tu che la disobbedienzia, che serrò el cielo, te l’apra?

Credi che la superbia, che ne cadde, vi salga?

Credi col vestimento stracciato e bructo andare alle nozze?

Credi, sedendo e legandoti nel legame del peccato mortale, potere andare? o senza chiave potere aprire l’uscio?

Non te lo imaginare di potere, ché ingannata sarebbe la tua imaginazione.

E’ ti conviene essere sciolto.

Esce del peccato mortale per la sancta confessione e contrizione di cuore e satisfazione, e con proponimento di non offendere piú.

Gittarai allora a terra el bructo e laido vestimento, e corrirai, col vestimento nunpziale, con lume e con la chiave de l’obbedienzia in mano, a diserrare la porta.

Lega, lega questa chiave col funicello della viltá e dispiacimento di te e del mondo; actaccala al piacere di me tuo Creatore: del quale debbi fare uno cingolo e cignerti, acciò che tu non la perda.

Sappi, figliuola mia, che molti sonno quegli che hanno presa questa chiave de l’obbedienzia, perché hanno veduto col lume della fede che in altro modo non possono campare dall’etterna danpnazione.

Ma tengonla in mano senza el cingolo cinto e senza el funicello dentrovi: cioè che non si vestono perfectamente del piacere di me, ma anco piacciono a loro medesimi.

E non v’hanno posto el funicello della viltá, desiderando d’essere tenuti vili, ma piú tosto dilectatisi della loda degli uomini.

Questi sonno acti a smarrire la chiave, pure che lo’ soprabondi un poca di fadiga o tribulazione mentale o corporale; e, se non s’hanno ben cura, spesse volte, allentando la mano del sancto desiderio, la perdarebbero.

El qual perdere è uno smarrire, ché, volendola ritrovare, possono, mentre che vivono; e non volendo, non la truovano mai.

E chi gli li manifestará che l’abbino smarrita?

La inpazienzia: perché la pazienzia era unita con l’obbedienzia; non essendo paziente, si dimostra che l’obbedienzia non è ne l’anima.

Oh, quanto è dolce e gloriosa questa virtú, in cui sonno tucte l’altre virtú!

Perché ella è conceputa e partorita dalla caritá; in lei è fondata la pietra della sanctissima fede; ella è una reina che, di cui ella è sposa, non sente veruno male: sente pace e quiete.

L’onde del mare tempestoso non gli possono nuocere, che l’offendano per alcuna sua tempesta il mirollo de l’anima.

Non sente l’odio nel tempo della ingiuria, però che vuole obbedire, ché sa che gli è comandato che perdoni; non ha pena che l’appetito suo non sia pieno, perché l’obbedienzia l’ha facto ordinare a desiderare solamente me, che posso, so e voglio conpire i desidèri suoi, e hallo spogliato delle mondane ricchezze.

E cosí in tucte le cose ( le quali sarebbero troppo lunghe a narrare ) truova pace e quiete, avendo questa reina de l’obbedienzia presa per sposa, la quale t’ho posta come chiave.

O obbedienzia, che navighi senza fadiga, e senza pericolo giogni a porto di salute!

Tu ti conformi col Verbo, unigenito mio Figliuolo; tu sali nella navicella della sanctissima croce, recandoti a sostenere per non trapassare l’obbedienzia del Verbo, né escire della doctrina sua; tu te ne fai una mensa, dove tu mangi el cibo de l’anime, stando nella dileczione del proximo!

Tu se’ unta di vera umilitá, e però non appetisci le cose del proximo fuore della volontá mia.

Tu se’ dricta senza veruna tortura, ché fai el cuore dricto e non ficto, amando liberalmente e non fictivamente la mia creatura.

Tu se’ una aurora, che meni teco la luce della divina grazia.

Tu se’ uno sole che scaldi, perché non se’ senza el calore della caritá.

Tu fai germinare la terra, cioè che gli strumenti de l’anima e del corpo tucti producono fructo, che dá vita in sé e nel proximo suo.

Tu se’ tucta gioconda, perché non hai turbata la faccia per inpazienzia, ma ha’ la piacevole con la piacevolezza della pazienzia, tucta serena di fortezza.

Se’ grande con longa perseveranzia, sí grande che tieni dal cielo alla terra, perché con essa si diserra il cielo.

Tu se’ una margarita nascosta e non cognosciuta, calpestata dal mondo, avilendo te medesima, sottoponendoti alle creature.

Egli è sí grande la tua signoria, che veruno è che ti possa signoreggiare, perché se’ escita della mortale servitudine della propria sensualitá, la quale ti tolleva la dignitá tua.

Morto questo nemico, con l’odio e dispiacimento del proprio piacere, hai riavuta la tua libertá.

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