Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CLX

Come li veri obedienti ricevono per uno cento e vita eterna.

E che s’intende per quello uno e per quello cento.

- Conpiesi in loro la parola che dixe nel sancto Evangelio il dolce e amoroso Verbo, unigenito mio Figliuolo, quando rispose a Pietro, che l’aveva dimandato: - « Maestro, noi aviamo lassato ogni cosa per lo tuo amore e noi medesimi, e aviamo seguitato te: che ci darai? »

- La Veritá mia rispose: - « Daròvi per uno cento, e vita etterna possederete ».

- Quasi volesse dire la mia Veritá: - Ben hai facto Pietro, ché in altro modo non mi potevi seguitare; ma Io in questa vita te ne darò, per uno, cento.

- E quale è questo cento, dilectissima figliuola, che, di po’ questo, séguita vita etterna?

Di quale intese e dixe la mia Veritá?

Di substanzia temporale?3

No, propriamente ( poniamo che alcuna volta ne l’elimosiniere Io facci multiplicare i beni temporali ); ma di quali?

Di quello che dá la propria sua volontá, che è una volontá, Io ne gli rendo cento per questa una.

Perché ti pongo numero di cento?

Perché cento è numero perfecto, e non puoi agiognervi piú, se tu non ti ricominci al primo.

Cosí la caritá è perfectissima sopra tucte l’altre virtú, ché non si può salire ad virtú piú perfecta.

Ricominciti bene al cognoscimento di te, e cresci numero di centonaia in merito, ma tu giogni pure al numero del cento.

Questo è quello cento, che è dato a quelli che hanno dato l’uno della loro volontá e ne l’obbedienzia generale e in questa particulare; e con questo cento avete vita etterna, però che solo la caritá è quella che entra dentro come donna, menandosene seco il fructo di tucte l’altre virtú ( ed esse rimangono di fuore ), in me, vita durabile, in cui essi gustano vita etterna, però che Io so’ essa vita etterna.

Non ci saglie la fede, perché essi hanno quello, per pruova e in essenzia, che hanno creduto per fede; né la speranza, ché essi sonno in possessione di quello che hanno sperato; e cosí tucte l’altre virtú.

Solo la caritá entra come reina e possiede me, suo possessore.

Vedi dunque che questi parvoli ricevono per uno cento, e vita etterna con esso, ricevendo qui el fuoco della divina caritá, posto per lo numero del cento, come decto è.

E perché da me hanno ricevuto questo cento, stanno in admirabile allegrezza cordiale.

Perché nella caritá non cade tristizia, ma allegrezza: fa el cuore largo e liberale, e non doppio né strecto.

L’anima, che è ferita di questa dolce saetta, non mostra una in faccia e in lingua, e un’altra abbi nel cuore; non serve, né fa fictivamente e con ambizione al proximo suo, però che la caritá è aperta a ogni creatura.

E però l’anima, che la possiede, non cade in pena né in tristizia afflictiva, né si scorda de l’obbedienzia, ma è obbediente infino a la morte.

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