Libro delle fondazioni

Capitolo 17

Racconta della fondazione dei monasteri di Pastrana, uno per i frati l'altro per le monache, aperti ambedue nell'anno 1570, voglio dire nel 1569.

1. Nei quindici giorni trascorsi dalla fondazione della casa di Toledo fino alla vigilia di Pentecoste, si era dovuta sistemare la piccola cappella, mettere le grate e provvedere ad altro, il che ci aveva procurato molto da fare ( perché, come ho detto, restammo in questa casa quasi un anno ).

Ero molto stanca per essere stata con gli operai, ma finalmente tutto era ormai terminato.

Quella mattina, mentre eravamo nel refettorio per il pranzo, fui presa da così grande gioia al pensiero che ormai non avevo più nulla da fare e che in quella festa avrei potuto gioire qualche momento con nostro Signore, che quasi non potevo mangiare per la felicità di cui l'anima si sentiva piena.

2. Ma non mi fu possibile di goderne a lungo, perché in quello stesso momento vennero a dirmi che chiedeva di me un servo della principessa di Eboli, moglie di Ruy Gómez de Silva.

Andai da lui: lo mandava la principessa a prendermi perché da molto tempo avevamo convenuto insieme di fondare un monastero a Pastrana, ma non pensavo che si dovesse fare così in fretta.

Ne rimasi afflitta, essendo molto pericoloso lasciare un monastero fondato così di recente fra tante opposizioni: pertanto decisi subito di non andare e lo dissi al servo.

Egli mi rispose che non era possibile, perché la principessa stava già là ove si era recata per questo solo motivo, e che sarebbe stato da parte mia un affronto non andarvi.

Ciò nonostante decisi di non partire.

Gli dissi perciò di andare a mangiare: nel frattempo avrei scritto alla principessa ed egli sarebbe poi ripartito con la mia lettera.

Era un uomo assai dabbene, e quando gli ebbi spiegato le mie ragioni, nonostante la sua riluttanza, finì per cedere.

3. Le religiose che dovevano stare nel monastero erano appena arrivate; non vedevo proprio come avrei potuto lasciarle così presto.

Andai davanti al santissimo Sacramento per chiedere al Signore la grazia di farmi scrivere alla principessa in modo da non irritarla.

Ciò poteva arrecarci molto danno per il fatto che si cominciava allora la riforma dei frati ed era utile, per ogni nostra occorrenza, avere il favore di Ruy Gómez, che godeva di tanta influenza presso il re e presso tutti.

Non mi ricordo, in verità, se pensavo a questo, ma so bene che non volevo dispiacerle.

Mentre riflettevo sul da farsi, mi fu detto da parte di nostro Signore di recarmi a Pastrana, perché vi sarei andata per qualcosa di più importante della stessa fondazione e che portassi con me la Regola e le Costituzioni.

4. Udito questo, nonostante vedessi che vi erano motivi fondati per non farlo, non osai sottrarmi ad agire come sono solita fare in simili circostanze, cioè attenermi al consiglio del confessore.

Così, lo mandai a chiamare, ma non gli dissi nulla di quello che avevo udito nell'orazione, perché in questo modo resto sempre più tranquilla.

Supplico solo il Signore d'illuminare i miei confessori conformemente a quel che possono capire in virtù di lumi naturali, e Sua Maestà, quando vuole che la cosa si faccia, gliela pone in cuore.

Questo mi è accaduto spesso e così avvenne anche questa volta.

Egli, dopo aver considerato attentamente tutto, fu del parere che partissi e pertanto mi decisi ad andare.

5. Lasciai Toledo il secondo giorno di Pentecoste.

Dovendo passare per Madrid, le mie compagne e io prendemmo alloggio in un monastero di francescane ove si trovava la signora fondatrice del monastero stesso, che aveva stabilito ivi la sua dimora.

Era donna Leonor Mascareñas, ex governante del re, gran serva di Dio, presso la quale io avevo alloggiato altre volte quando mi si era offerta l'occasione di passare da lì, e mi aveva sempre trattato con molta benevolenza.

6. Questa signora mi disse che si rallegrava di vedermi capitare in quel momento, perché v'era là un eremita che desiderava vivamente conoscermi, e la cui vita, come quella dei suoi compagni, le sembrava concordare molto con la nostra Regola.

Siccome io allora non avevo che due frati, mi venne in mente che se avessi potuto indurre quest'eremita ad aggiungersi a loro, sarebbe stata un'ottima cosa.

La supplicai pertanto di procurarmi un incontro con lui.

Egli viveva in un alloggio datogli da questa signora, con un giovane frate chiamato fra Giovanni della Miseria, molto semplice nei riguardi delle cose del mondo, ma gran servo di Dio.

Durante il nostro incontro venni a sapere che voleva recarsi a Roma.

7. Prima di proseguire, voglio dire quanto so di questo padre, il cui nome è Mariano de san Benito.

Era italiano di nascita, dottore e uomo di grande ingegno e abilità.

Mentre stava presso la regina di Polonia, preposto al governo di tutta la sua casa, senza essersi mai voluto sposare, provvisto di una commenda dell'Ordine di San Giovanni, nostro Signore gli ispirò di abbandonare ogni cosa per meglio provvedere alla sua salvezza.

Ebbe a soffrire non poche tribolazioni, perché fu accusato ingiustamente d'aver preso parte a un omicidio.

Per questo motivo fu tenuto due anni in carcere, senza che volesse né un avvocato né alcun altro che lo difendesse, rimettendosi solo a Dio e al suo buon diritto.

Ci furono falsi testimoni che affermarono d'essere stati incitati da lui a compiere il delitto, ma accadde loro come ai vecchi di santa Susanna.

Interrogati, infatti, separatamente circa il luogo ove l'accusato allora si trovasse, uno disse che era seduto sul letto, l'altro che stava presso una finestra.

In conclusione, finirono col confessare d'averlo calunniato.

Egli mi rivelò che gli era poi costato molto denaro sottrarli al meritato castigo, e che quello stesso che gli faceva la guerra era finito nelle sue mani, a causa di una circostanza in cui egli avrebbe potuto dare un'informazione contro di lui, ma che anche allora si era prodigato in tutti i modi a non nuocergli.

8. Questo e altre virtù – essendo egli un uomo integro e casto, contrario ad ogni contatto con le donne – dovettero meritargli da nostro Signore la grazia di conoscere cosa è il mondo, affinché cercasse di liberarsene.

Cominciò pertanto a chiedersi quale Ordine avrebbe potuto scegliere ma, esaminando gli uni e gli altri, in tutti ebbe a trovare qualcosa che non conveniva al suo modo di essere, a quanto mi disse.

Venne a sapere che presso Siviglia, in un deserto chiamato el Tardón, vivevano insieme alcuni eremiti, sotto la guida di un grande santo conosciuto con il nome di padre Mateo.

Abitavano in celle separate.

Non recitavano l'Ufficio divino, ma disponevano di un oratorio dove si riunivano per la Messa.

Non avevano rendite, non chiedevano né ricevevano elemosine, ma si mantenevano con il lavoro delle loro mani, e ognuno mangiava da solo, assai poveramente.

Mi parve, nell'udirlo, di veder rivivere i nostri santi Padri.

In questo genere di vita egli trascorse otto anni.

Ma, avendo poi il Concilio di Trento ingiunto di aggregarsi a qualche Ordine religioso, aveva deciso di andare a Roma per ottenere un'eccezione in favore dei suoi compagni.

Tali erano i suoi propositi, quando avvenne il nostro incontro.

9. Avendomi egli descritto il suo modo di vivere, gli mostrai la nostra Regola primitiva e gli feci osservare che, senza tanta fatica, avrebbe potuto con essa adempiere tutte le sue pratiche, perché erano ugualmente a base della nostra vita, specialmente quella di mantenersi con il lavoro delle proprie mani, che era ciò a cui più teneva.

Mi diceva che è la cupidigia a far perdere il mondo e a far disprezzare i religiosi.

Siccome ero dello stesso parere, su questo punto fummo subito d'accordo e anche su tutto il resto.

Dopo che gli ebbi spiegato quale servizio avrebbe potuto rendere a Dio col vestire il nostro abito, mi disse che ci avrebbe pensato quella notte.

Accorgendomi che era quasi deciso, capii che quanto mi era stato detto nell'orazione, « che sarei andata per qualcosa di più importante della fondazione di un monastero di religiose », si riferiva proprio a questo.

Ne provai una gran gioia, sembrandomi che, se egli fosse entrato nell'Ordine, si sarebbe reso un gran servizio al Signore.

Sua Maestà, che lo voleva tra noi, quella notte gli toccò talmente il cuore, che l'indomani mi fece chiamare, ormai fermamente deciso e, inoltre, stupito del cambiamento improvviso operatosi in lui, tanto più – anche ora a volte me lo ripete – a causa di una donna, come se ciò fosse dipeso da me, e non dal Signore che ha il potere di mutare i cuori.

10. Quanto sono grandi le sue determinazioni!

Questo padre aveva passato tanti anni senza riuscire a decidersi per uno stato fisso ( perché quello in cui si trovava non era tale: non vi si pronunciavano, infatti, voti, né si avevano altri obblighi se non di vivere lì in solitudine ).

Ed ecco che d'un colpo Dio gli toccò il cuore e gli fece comprendere quanto lo avrebbe servito in questo stato, e come egli ne avesse bisogno per proseguire nell'opera intrapresa, cui, infatti, è stato di grande aiuto.

Finora tale opera gli è costata ben dure sofferenze e più gliene costerà prima che si sia del tutto affermata ( a quanto è dato d'intendere dai contrasti che deve sostenere questo ritorno alla Regola primitiva ), poiché a causa della sua abilità, del suo ingegno e della sua santa vita ha influenza presso molte persone che ci favoriscono e ci proteggono.

11. Mi disse, inoltre, che Ruy Gómez gli aveva dato a Pastrana, che era proprio il luogo dove io andavo, un buon romitaggio e un terreno per stabilirvi una comunità di eremiti, e che egli voleva destinarlo a un convento di quest'Ordine e prendervi l'abito.

Io gliene fui assai grata e resi lode a nostro Signore, perché dei due monasteri per i quali il nostro reverendissimo padre generale mi aveva inviato la sua autorizzazione, non ne era stato fatto che uno.

Da lì inviai allora un messaggero ai due padri di cui ho parlato, l'attuale provinciale e quello che lo era stato prima, pregandoli caldamente di darmi il loro consenso, senza il quale non si poteva far nulla.

Scrissi anche al vescovo di Avila, che era don Alvaro de Mendoza, il quale ci aiutava molto, affinché riuscisse a convincerli.

12. Piacque a Dio che dessero il proprio consenso, ritenendo, certamente, che una fondazione in un luogo così appartato non potesse essere loro di alcun danno.

Il padre mi promise di recarsi a Pastrana non appena fosse giunta l'autorizzazione.

Così me ne partii piena di gioia.

Trovai lì la principessa e il principe Ruy Gómez, che mi fecero una grande accoglienza.

Ci diedero un appartamento isolato dove restammo più a lungo di quanto pensassi, perché la casa che ci avevano destinato era troppo piccola e la principessa aveva ordinato di demolirne e ricostruirne una gran parte, conservando, sì, le mura, ma rifacendo molte cose.

13. Rimasi lì circa tre mesi, durante i quali ebbi a soffrire molto, per il fatto che la principessa mi chiedeva certe concessioni non rispondenti allo spirito del nostro Ordine.

Ero decisa pertanto a venirmene via senza realizzare la fondazione piuttosto che cedere.

Il principe Ruy Gómez, avveduto com'era, convinto delle mie ragioni, indusse la moglie a rinunziare alle sue esigenze.

Da parte mia permisi alcune cose, perché tenevo di più alla fondazione del convento dei frati che a quello delle monache, rendendomi conto della sua importanza, in seguito rivelatasi chiaramente.

14. Intanto, arrivarono Mariano e i suoi compagni, gli eremiti di cui ho parlato.

Ottenuta l'autorizzazione, quei signori acconsentirono che si facesse del luogo da essi destinato ad eremiti un convento di carmelitani scalzi.

Mandai a chiamare, perché desse inizio a questa fondazione, il padre fra Antonio de Jesús, il primo dei nostri religiosi, che si trovava allora a Mancera.

Io confezionai per i nuovi venuti abiti e cappe, e feci quanto mi era possibile perché la vestizione avvenisse al più presto.

15. In questa circostanza avevo mandato a chiedere altre religiose al monastero di Medina del Campo, perché io ne avevo con me soltanto due.

C'era lì un padre, già avanti negli anni – pur non essendo infatti molto vecchio, non era certo giovane – assai buon predicatore, il quale si chiamava fra Baltasar de Jesús.

Appena seppe che si faceva quella fondazione, si unì alle monache con il proposito di diventare scalzo, ciò che fece subito dopo.

Quando me lo disse, ne resi lode a Dio.

Egli diede l'abito al padre Mariano e al suo compagno, accolti entrambi come conversi, perché nemmeno il padre Mariano volle essere ordinato sacerdote, protestando di entrare fra noi per essere l'ultimo di tutti, né riuscii a rimuoverlo da questo proposito.

In seguito, per ingiunzione del nostro reverendissimo padre generale, gli furono conferiti gli ordini sacri.

Fondati, dunque, entrambi i monasteri e venutoli padre Antonio de Jesús, cominciarono a entrare in quello dei frati vari novizi, di alcuni dei quali si riferirà più avanti il merito.

Servivano nostro Signore con tale fervore, come – se così vorrà – potrà scriverne chi sappia dirlo meglio di me, certamente poco adatta a questo compito.

16. Per quanto riguarda le religiose, il loro monastero, lì, fu assai favorito dal principe e dalla principessa che aveva una cura estrema di farle star bene e di trattarle con affetto, finché, morto il principe Ruy Gómez o per suggestione del demonio, o forse perché il Signore così permise, - e lui solo ne sa il motivo – sconvolta dal dolore di quella morte, la principessa entrò come suora nel monastero.

A causa della sua grande sofferenza, non potevano riuscirle molto gradite le regole della clausura a cui non era abituata.

D'altra parte, la priora, in base alle disposizioni del santo Concilio, non poteva darle la libertà che ella desiderava.

17. La principessa finì con l'avere per lei e per tutte le consorelle una tale avversione che, anche dopo aver lasciato l'abito, quando stava ormai di nuovo nel suo palazzo, non cessava di dar loro fastidio.

Le povere monache erano in preda a un tale turbamento che io mi adoperai con tutti i mezzi possibili, supplicandone i Superiori, perché si sopprimesse il monastero.

Se ne stava fondando uno a Segovia, come più avanti si dirà, dove esse si trasferirono, lasciando tutto quello che la principessa aveva loro dato e conducendo con sé alcune consorelle che ella aveva imposto di accettare senza dote.

Presero, andando via, soltanto i letti e certe piccole cose che esse stesse avevano portato lì, lasciando molto afflitti gli abitanti del luogo.

Io provavo la più gran gioia del mondo nel vederle in pace, tanto più che sapevo bene come esse non erano in alcun modo responsabili dello sdegno della principessa; anzi, nel tempo in cui vestì l'abito, la servivano come avevano fatto prima.

Solo quanto ho detto e lo stesso dolore che la opprimeva ne furono la causa, oltre una serva che aveva portato con sé, sulla quale, a quel che sembra, ricade tutta la colpa.

Infine, ne fu causa anche il Signore, che lo permise.

Doveva certo vedere che lì quel monastero non era utile: i suoi giudizi sono assai profondi e spesso del tutto contrari ai nostri criteri.

Del resto, io non avrei mai osato far questo di mia iniziativa: l'ho fatto in base al parere di uomini santi e dotti.

Indice