Trattato dei miracoli

Capitolo IV

Il potere che ebbe sulle creature sensibili

[843] 20. Le stesse creature si sentivano spinte a rispondere con amore a san Francesco e a ricambiare con gratitudine quanto era loro dato.

Una volta, facendo viaggio attraverso la valle Spoletana, nelle vicinanze di Bevagna, arrivò ad un luogo ove si era radunata una grandissima quantità di uccelli di varie specie.

Avendoli scorti il santo di Dio per il particolare amore del Creatore, con cui amava tutte le creature, accorse sollecitamente a quel luogo, salutandoli col modo consueto, come se fossero dotati di ragione.

Poiché gli uccelli non volavano via, egli si avvicinò e andando e venendo in mezzo a loro, toccava col lembo della sua tonaca il loro capo e il loro corpo.

Pieno di gioia e di ammirazione, li invitò ad ascoltare volentieri la parola di Dio, e così disse: « Fratelli miei uccelli!

Dovete lodare molto il vostro Creatore e sempre amarlo perché vi ha rivestito di piume e vi ha donato le penne per volare.

Infatti tra tutte le creature vi ha fatti liberi, donandovi la trasparenza dell'aria.

Voi non seminate né mietete, eppure Egli vi mantiene senza alcuno vostro sforzo! ».

A tali parole, gli uccelli, facendo festa, cominciarono ad allungare il collo, spalancare le ali, aprire il becco, fissandolo attentamente.

Né si allontanarono da là, finché, fatto un segno di croce, non diede loro il permesso e la benedizione.

Tornato dai frati, cominciò ad accusarsi di negligenza, perché prima non aveva mai predicato agli uccelli.

Perciò da quel giorno esortava gli uccelli, gli animali ed anche le creature insensibili, alla lode e all'amore verso il Creatore.

[844] 21. S'avvicinò una volta ad un paese di nome Alviano, per predicarvi.

Radunato il popolo e chiesto il silenzio, quasi non poteva essere udito per il garrire delle molte rondini che nidificavano in quel luogo.

Mentre tutti lo ascoltavano, si rivolse ad esse dicendo: « Sorelle mie rondini, ormai è ora che parli anch'io, giacché voi fino ad ora avete detto abbastanza!

Ascoltate la parola di Dio standovene zitte, finché il discorso del Signore sarà terminato ».

E quelle, come fossero dotate di ragione, subito tacquero, né si mossero dal loro luogo, finché tutta la predica fu finita.

Tutti coloro che assistettero, pieni di stupore, dettero gloria a Dio.

[845] 22. Nella città di Parma, uno studente era talmente infastidito dall'insistente garrire di una rondine, da non poter in alcun modo meditare.

Costui piuttosto eccitato, cominciò a dire: « Questa rondine è stata una di quelle, che, come si legge, una volta non permetteva a san Francesco di predicare, finché egli non le impose il silenzio ».

E rivolto alla rondine esclamò: « In nome di san Francesco ti ordino che tu permetta di essere da me presa ».

Essa tosto volò tra le sue mani.

Stupefatto lo studente le restituì la libertà, e in seguito non sentì più il suo garrire.

[846] 23. Mentre un giorno il beato Francesco attraversava, su di una piccola barca, il lago di Rieti diretto verso l'eremo di Greccio, un pescatore gli offrì un uccello fluviale, con cui rallegrarsi davanti al Signore.

Il beato padre lo prese con gioia e lo invitò con dolcezza a volare via liberamente.

Esso non voleva andarsene e si rannicchiava come in un nido nelle sue mani, il Santo allora, alzati gli occhi al cielo, rimase a lungo in preghiera.

Dopo una lunga pausa, come ritornato in sé da un'estasi, comandò dolcemente all'uccello di ritornare senza timore alla libertà di prima.

Ricevuto dunque il permesso con la sua benedizione, lietamente, con un battito d'ali l'uccello volò via liberamente.

[847] 24. Un'altra volta, sullo stesso lago, viaggiando su di una barchetta, giunse al porto, dove gli fu offerto un grosso pesce ancor vivo.

Chiamandolo egli con il nome di fratello, secondo la sua usanza, lo rimise in acqua vicino alla barca.

Ma il pesce giocherellava in acqua presso il Santo, che con gioia lodava Cristo Signore.

Il pesce non si allontanò da quel posto, fino a ché non gli fu ordinato dal Santo.

[848] 25. Mentre il beato Francesco era in un eremo. come al solito lontano dagli uomini e dal loro parlare, un falco che aveva il nido in quel luogo si legò a lui con grande patto d'amicizia.

Infatti di notte, quando il Santo era solito alzarsi per i divini uffici, il falco lo anticipava sempre col suo canto e schiamazzo.

La cosa era molto gradita al Santo, poiché con tanta sollecitudine lo scuoteva da ogni indugio.

Quando però il Santo più del solito era disturbato da qualche malessere, il falco si tratteneva e non cominciava così presto le sue veglie.

Come istruito da Dio, verso l'alba suonava la campana della sua voce con tocco leggero.

Nessuna meraviglia dunque, se anche tutte le altre creature venerano un così grande amante del Creatore.

[849] 26. Un nobile del contado di Siena, mandò al beato Francesco infermo un fagiano, Egli lo ricevette con gratitudine, non per il desiderio di mangiarlo, ma secondo l'abitudine per la quale si rallegrava di tali cose per amore del Creatore, disse al fagiano: « Sia lodato il nostro Creatore, fratello fagiano! ».

E ai frati: « Proviamo ora se frate fagiano voglia stare con noi, oppure andarsene ai luoghi abituali e a lui più confacenti ».

Allora un frate per ordine del Santo portando l'uccello, lo pose lontano in un vigneto.

Esso subito, con volo rapido, ritornò alla cella del Padre, che ordinò ancora di portarlo più lontano.

L'uccello con estrema velocità tornò alla porta della cella e, come facendo violenza, entrò di sotto le tonache dei frati che erano all'ingresso.

Allora il Santo ordinò di nutrirlo con cura, accarezzandolo e parlandogli dolcemente.

Un medico, assai devoto al Santo di Dio, vista la cosa, chiese l'uccello ai frati, non per mangiarlo, ma per allevarlo in ossequio al Santo.

Lo portò con sé a casa, ma il fagiano, quasi offeso per essere stato allontanato dal Santo, finché rimase lontano dalla sua presenza non volle mangiare nulla.

Stupefatto il medico, riportò con premura il fagiano al Santo, e narrò dettagliatamente tutto ciò che era accaduto.

Il fagiano, posto in terra, appena scorse il Padre suo, lasciò ogni tristezza, e cominciò lietamente a mangiare.

[850] 27. Accanto alla cella del Santo di Dio, presso la Porziuncola, una cicala, che stava di solito su un fico, cantava frequentemente con la consueta dolcezza.

Il beato padre una volta, stendendo la mano, la chiamò con dolcezza verso di sé: « Sorella mia cicala, vieni da me! ».

Ed essa, come dotata di ragione, subito si pose sulla sua mano.

Ed egli rivolto ad essa: « Canta, sorella mia cicala, e loda con la tua letizia il Signore Creatore ».

Essa obbedendo senza indugio cominciò a cantare, senza tregua finché l'uomo di Dio, unendo la sua lode ai canti di lei, le permise di tornarsene nel suo solito posto, nel quale essa rimase ininterrottamente come fosse legata per otto giorni.

E il Santo ogni volta che usciva dalla cella, le ordinava, accarezzandola con le mani, di cantare ed essa era sempre sollecita ad obbedire alle sue richieste.

E il Santo disse ai compagni: « Diamo ormai libertà a nostra sorella cicala, che fino ad ora ci ha rallegrati abbastanza, in modo che la nostra carne non si glorii vanamente per tal fatto ».

E subito essa, da lui licenziata si allontanò senza farsi vedere più.

I frati furono molto stupiti di ciò.

[851] 28. Essendo in un luogo povero, il Santo beveva in un vaso di coccio.

In esso, dopo la sua morte, delle api, con arte meravigliosa, fabbricarono le cellule dei favi, quasi a indicare mirabilmente, la divina contemplazione che là aveva gustato.

[852] 29. Presso Greccio fu offerto a san Francesco un leprotto vivo e ancora in forza.

Posto di nuovo in libertà poteva fuggire dove voleva; quando il Santo lo richiamò a sé, quello agilmente gli saltò sul petto.

Il Santo, ricevendolo benevolmente, e ammonendolo dolcemente di non farsi più prendere, lo benedisse e gli ordinò di tornare nella selva.

[853] 30. Qualcosa di simile accadde di un coniglio che è un animale molto selvatico, quando il Santo dimorava nell'isola del lago di Perugia.

[854] 31. Una volta facendo viaggio da Siena alla vallata di Spoleto, il Santo giunse in un campo dove pascolava un gregge abbastanza grande; egli lo salutò benevolmente, come era solito, e le pecore accorsero tutte da lui, e levando le teste e belando rispondevano al suo saluto.

Il suo vicario notò attentamente ciò che le pecore avevano fatto e seguendo con i compagni a passo più lento, disse agli altri: « Avete visto cosa le pecore hanno fatto al Padre?

Veramente, soggiunse, è grande costui che gli animali venerano come un padre e che, pur privi di ragione, riconoscono come amico del loro Creatore ».

[855] 32. Le allodole, amiche della luce del giorno e paurose delle ombre del crepuscolo, quella sera in cui san Francesco passò dal mondo a Cristo, pur essendo già iniziato il crepuscolo, si posarono sul tetto della casa e a lungo garrirono roteando attorno.

Non sappiamo se abbiano voluto a modo loro dimostrare la gioia o la mestizia, cantando.

Esse cantavano un gioioso pianto e una gioia dolorosa, quasi piangessero il lutto dei figli o volessero indicare l'entrata del Padre nell'eterna gloria.

Le guardie della città che attentamente custodivano quel luogo, stupite invitarono gli altri all'ammirazione.

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