Specchio di perfezione

Parte quinta - Zelo di San Francesco per la perfezione dei frati

86. Come descrisse loro il frate perfetto

[1782] 106. Francesco, immedesimato in certo modo nei suoi fratelli per l'ardente amore e il fervido zelo che aveva per la loro perfezione, spesso pensava tra sé quelle qualità e virtù di cui doveva essere ornato un autentico frate minore.

E diceva che sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati:

la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l'amore della povertà;

la semplicità e la purità di Leone, che rifulse veramente di santissima purità,

la cortesia di Angelo, che fu il primo cavaliere entrato nell'Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà, l'aspetto attraente

e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto;

la mente elevata nella contemplazione che ebbe Egidio fino alla più alta perfezione;

la virtuosa incessante orazione di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessantemente lo spirito unito al Signore;

la pazienza di Ginepro, che giunse a uno stato di pazienza perfetto con la rinunzia alla propria volontà e con l'ardente desiderio d'imitare Cristo seguendo la via della croce;

la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini;

la carità di Ruggero, la cui vita e comportamento erano ardenti di amore,

la santa inquietudine di Lucido, che, sempre all'erta, quasi non voleva dimorare in un luogo più di un mese, ma quando vi si stava affezionando, subito se ne allontanava, dicendo: Non abbiamo dimora stabile quaggiù, ma in cielo.

87. Come descrisse gli occhi inpudichi, per incitare i frati alla castità

[1783] 107. Fra le virtù che Francesco amava e desiderava fossero nei frati dopo il fondamento della santa umiltà, prediligeva la bellezza e l'immacolatezza della castità.

Volendo insegnare ai fratelli a conservare pudichi gli occhi, soleva rappresentare gli occhi impudichi con la seguente parabola: « Un re pio e potente inviò successivamente due messaggeri alla regina.

Il primo tornò e riferì il suo messaggio, senza nulla dire della regina, poiché aveva saggiamente tenuto gli occhi al loro posto, senza fissarli sulla regina.

Tornò anche l'altro, e dopo brevi parole, tessé un lungo elogio delle bellezze della regina.

– Veramente, egli concluse, o sire, ho visto una donna bellissima; beato chi può goderne!

Gli rispose il re: – Servitore indegno, tu hai gettato i tuoi sguardi impudichi sulla mia sposa; è chiaro che ti stava a cuore di possedere quella che avevi davanti.

Poi chiamò il primo e gli disse: – Che te ne pare della regina?

– Quello rispose: – Ne ho avuto un'ottima impressione, poiché mi ha ascoltato volentieri e con pazienza -.

E il re: – Ti è parsa una bella donna?

– Ribatté il messaggero: – Sire, spetta a te osservare questo.

Io dovevo esporre il messaggio ricevuto.

Il re allora concluse: – Tu hai occhi casti, sarai casto anche nel mio appartamento e godrai delle mie delizie.

Ma quell'impudico esca dalla mia casa onde non contamini il mio talamo! –».

E il Santo aggiungeva: « Chi non dovrebbe temere di guardare la sposa di Cristo? ».

88. Delle tre raccomandazioni lasciate ai frati per conservare la loro perfezione

[1784] 108. Una volta, malato com'era di stomaco, fece tali sforzi di vomito che ebbe una emorragia, che durò tutta la notte fino al mattino.

I suoi compagni, vedendolo così sfinito e affranto che pareva morire, gli dissero con grande angoscia e lacrimando: « Padre, cosa faremo senza di te?

A chi lasci noi, tuoi orfani?

Sei sempre stato per noi padre e madre, avendoci generati e dati alla luce in Cristo; sei stato a noi guida e pastore, maestro e correttore, ammaestrandoci e rimproverandoci più con l'esempio che con la parola.

Dove andremo noi, pecore senza pastore? orfani senza padre? uomini semplici e ignoranti, senza guida?

Dove andremo a cercarti, o gloria della povertà, lode della semplicità, onore della nostra umiltà?

Chi mostrerà a noi, ancora ciechi, la via della verità?

Dove sarà la bocca che ci parlerà, la lingua che ci darà consiglio?

Dove sarà l'anima infuocata, che ci diriga nella via della croce e ci rafforzi nella perfezione evangelica?

Dove sarai, luce dei nostri occhi, che possiamo ricorrere a te? consolatore delle nostre anime, che possiamo trovarti?

Ecco, Padre, che tu stai morendo, e ci lasci abbandonati, nella tristezza più amara!

Ecco quel giorno, giorno di pianto e di cordoglio, giorno che si avvicina, di desolazione e di tristezza!

Ecco il giorno angoscioso che sempre, mentre siamo stati con te, paventavamo; al quale anzi non avevamo nemmeno il coraggio di pensare!

La tua vita è per noi luce ininterrotta, le tue parole fiaccole ardenti e incendianti a vivere la croce, la perfezione evangelica, l'amore e l'imitazione del dolce Crocifisso.

E ora, Padre, benedici noi e gli altri fratelli, figli tuoi, che hai generato in Cristo; e lasciaci qualche ricordo della tua volontà, che resti nella memoria dei tuoi fratelli, così che possano dire: "Queste parole il nostro Padre ha lasciato ai suoi fratelli e figli, morendo "».

Allora Francesco, volgendo gli occhi paterni sui figli, disse: « Chiamatemi Benedetto da Pirato ».

Era sacerdote questo frate, santo e molto discreto, che talvolta celebrava la Messa in presenza di Francesco, quando questi giaceva infermo; il Santo, infatti, per quanto fosse malato, voleva ascoltar Messa, se gli era possibile.

Giunto che fu, gli disse: « Scrivi: Io benedico tutti i miei frati che sono e che saranno nell'Ordine sino alla fine dei tempi.

E poiché per lo sfinimento e le sofferenze del male non posso parlare, manifesto brevemente in questi tre ricordi a tutti i frati, presenti e futuri, la mia volontà e intenzione.

Come prova che si ricordano di me, della mia benedizione e testamento, si amino sempre l'un l'altro, come li ho amati e li amo io.

Amino sempre e osservino la povertà, nostra signora.

Siano sempre lealmente soggetti ai prelati e al clero della santa madre Chiesa ».

Così infatti il nostro Padre, nei Capitoli dei frati soleva al momento della conclusione, benedire e assolvere tutti i frati presenti e futuri; anche fuori di Capitolo faceva ciò ripetute volte, sospinto dall'ardore del suo affetto.

Ammoniva i frati a temere e fuggire il malesempio, e malediceva tutti coloro che con cattivi esempi provocavano la gente a oltraggiare l'Ordine e la vita dei frati, perché di questo i buoni e santi frati si vergognano e profondamente si rammaricano.

89. Dell'amore che mostrò ai frati, vicino a morte, dando a ciascuno un pezzo di pane, come fece Cristo

[1785] 109. Una notte Francesco fu così tormentato dai dolori provocatigli dalle malattie, che non poté mai riposare né dormire.

Fattasi mattina e mitigatisi i dolori, fece chiamare tutti i frati, che dimoravano colà e, fattili sedere intorno, li veniva guardando come se vedesse in loro tutti i suoi frati.

E ponendo la sua destra sul capo di ciascuno, benedisse tutti i presenti e gli assenti e quelli che sarebbero entrati nell'Ordine sino al tramonto dei secoli.

E sembrò rammaricarsi di non poter vedere tutti i fratelli suoi e figli prima di morire.

[1786] 110. Volendo imitare nella morte il suo Signore e maestro, che aveva perfettamente imitato durante la vita, chiese gli fossero portati dei pani, li benedisse, li fece spezzare in piccole parti, poiché per la gran debolezza non riusciva a farlo lui.

Poi li prese e ne porse un frammento a ognuno dei frati, esortando che lo mangiassero interamente.

Così, come il Signore prima della sua morte volle, in segno di amore, mangiare il giovedì santo con gli apostoli, anche il suo perfetto imitatore Francesco volle offrire ai suoi fratelli lo stesso segno d'amore.

E poiché intese ripetere questo gesto a somiglianza di Cristo, è naturale che chiedesse poi se fosse giovedì.

Invece era un altro giorno, ma disse che lui pensava fosse giovedì.

Uno di quei frati conservò un frustolo di quel pane e dopo la morte di Francesco, molti malati che ne mangiarono, furono subito liberati dalle loro infermità.

90. Come temeva che i frati avessero a patire disagio per le sue malattie

[1787] 111. Non potendo per le sue sofferenze prendere riposo e vedendo per questo che i fratelli erano molto disturbati dalle loro occupazioni e affaticati per causa sua, poiché amava più i fratelli che il proprio corpo, cominciò a temere che, sopraffatti dalla fatica, non commettessero qualche sia pur minima offesa a Dio, a motivo dell'impazienza.

E una volta, vinto da un senso di pietà e compassione, disse ai compagni: « Fratelli e figli miei carissimi, non vi rincresca di affaticarvi per la mia malattia.

Dio, per amore di me suo servo, vi contraccambierà in questa vita e nell'altra, dandovi il frutto delle opere cui adesso non potete attendere, perché occupati per la mia infermità.

Ne avrete maggior guadagno che se aveste lavorato per voi stessi, poiché chi aiuta me, aiuta tutto l'Ordine e la vita dei frati.

Potete dire: - Noi abbiamo fatte delle spese per te, e il Signore sarà nostro debitore al posto tuo ».

Questo diceva il padre santo, nello zelo ardente che sentiva per la loro perfezione, volendo aiutare e rinfrancare i loro spiriti impauriti.

Temeva infatti che talvolta, tediati da quel lavoro, dicessero: « Non possiamo pregare, né ce la facciamo a sopportare questa fatica! »; e in tal modo, infastiditi e spazientiti, perdessero il grande frutto di un piccolo lavoro.

91. Come esortò le sorelle di Santa Chiara

[1788] 112. Dopo che Francesco ebbe composto le Lodi del Signore per le sue creature, compose anche alcune sante parole, con la loro melodia, per la consolazione e l'edificazione delle Povere Dame, sapendo quanto soffrivano per la sua infermità.

E non potendo visitarle di persona, mandò loro quelle parole a mezzo dei compagni.

In quel cantico egli volle manifestare loro la sua volontà, che cioè sempre vivessero e si comportassero umilmente e fossero concordi nell'amore fraterno.

Vedeva infatti che la santa vita di quelle era non solo un motivo di fervore per l'Ordine dei frati ma riusciva di edificazione per tutta la Chiesa.

Sapendo che, fin dal principio della loro conversione avevano condotto un'esistenza dura e povera, era sempre mosso da pietà e compassione verso di esse.

In quel cantico dunque le pregò che, come il Signore le aveva adunate insieme da molte parti per vivere nella santa carità, povertà e obbedienza, così dovessero sempre vivere e morire in queste virtù.

Le esortò specialmente che, con le elemosine che il Signore loro donava, provvedessero alle loro necessità materiali parcamente, con letizia e gratitudine, e soprattutto si mantenessero in buona salute nel lavoro che affrontavano per le loro sorelle inferme, e queste sopportassero con pazienza le loro infermità.

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