Specchio di perfezione

Parte ottava - Di alcune tentazioni che il Signore permise egli subisse

99. Come il demonio entrò nel guanciale che il Santo teneva sotto la testa

[1797] 121. Trovandosi Francesco a pregare nell'eremitorio di Greccio, nell'ultima celletta dopo la cella maggiore, una notte, nel primo sonno, chiamò il suo compagno che riposava là presso.

Il compagno si levò e si accostò all'entrata della cella dov'era Francesco.

Il Santo gli disse: « Fratello, questa notte non ho potuto dormire, né stare in piedi a pregare, poiché mi tremano molto la testa e le ginocchia; mi sembra di aver mangiato pane di loglio ».

Al compagno che gli rivolgeva parole di conforto, Francesco rispose: « Sono sicuro che il diavolo stia in questo guanciale che ho sotto il capo ».

Egli non aveva mai voluto giacere su materassi di piume né avere un cuscino di piume, dopo che ebbe lasciato il mondo; però, contro il suo volere, i frati lo avevano allora costretto a tenere quel guanciale molle, a motivo del suo male di occhi.

Il Santo gettò il cuscino al compagno, che lo prese con la mano destra e se lo pose sull'omero sinistro; ma appena oltrepassata la soglia della celletta, immediatamente perdette la parola, né poteva sbarazzarsi del cuscino e nemmeno muovere le braccia, e se ne stava immobile, non riuscendo ad allontanarsi da quel luogo, come fosse privo di sentimento.

Per qualche tempo rimase in quello stato finché, per grazia di Dio, Francesco lo chiamò; e tosto il compagno tornò in sé, lasciando cadere il cuscino dietro le spalle.

Rientrando da Francesco, gli raccontò quello che gli era accaduto.

Il Santo gli disse: « Di sera, mentre recitavo la Compieta, sentii venire il diavolo nella cella.

Vedo che questo diavolo è molto astuto, poiché, non potendo nuocere alla mia anima, ha voluto impedire ciò che era necessario al corpo, così che io non possa dormire né stare in piedi a pregare: tutto allo scopo di turbare la devozione e la letizia del mio cuore, affinché io mormori contro la mia malattia ».

100. Della gravissima tentazione che soffrì per oltre due anni

[1798] 122. Mentre dimorava nel luogo di Santa Maria, gli fu mandata una gravissima tentazione dello spirito, a profitto della sua anima.

E di ciò era tanto afflitto nella mente e nel corpo, che molte volte si sottraeva alla compagnia dei fratelli, poiché non era in grado di mostrarsi loro lieto come soleva.

Si mortificava, astenendosi dal cibo, dalla bevanda e dal parlare; pregava ardentemente e versava lacrime abbondanti, affinché il Signore si degnasse di mandargli un rimedio efficace in così grave tribolazione.

Essendo vissuto in tale angoscia per oltre due anni, un giorno, mentre pregava nella chiesa di Santa Maria, accadde che gli venne detta in spirito quella parola del Vangelo: Se tu avessi fede quanto un granello di senapa e ordinassi a quel monte di trasportarsi in un altro luogo, avverrebbe così.

Subito Francesco rispose: « Signore, qual è questo monte? ».

Gli fu detto: « Quel monte è la tua tentazione ».

E Francesco: « Allora, Signore, sia fatto a me come hai detto! ».

E immediatamente ne fu liberato, così che parve non aver mai patito tentazione alcuna.

Similmente sul sacro monte della Verna, allorché ricevette nel suo corpo le stimmate del Signore, ebbe a soffrire tentazioni e tribolazioni dai demoni, in modo che non poteva mostrare la sua abituale letizia.

E confidava al suo compagno: « Se sapessero i frati quante e che gravi tribolazioni e afflizioni mi danno i demoni, non ci sarebbe alcuno di loro che non si muoverebbe a compassione e pietà di me ».

101. Della tentazione inflittagli per mezzo dei topi e della quale il Signore lo consolò, dandogli la certezza del suo regno

[1799] 123. Due anni prima della sua morte, mentre si trovava presso San Damiano in una celletta fatta di stuoie, era talmente tormentato dal male d'occhi, che per oltre cinquanta giorni non poté vedere la luce del giorno e neppure quella del fuoco.

E avvenne, per consenso divino, che, ad accrescere la sua sofferenza e il suo merito, venissero dei topi cosi numerosi in quella cella, notte e giorno corrazzandogli sopra e d'intorno, da non lasciarlo pregare né riposare.

Quando mangiava, salivano addirittura sulla sua mensa e lo molestavano sozzamente.

Tanto lui che i suoi compagni capirono che si trattava di una evidente tentazione diabolica.

Vedendosi Francesco tormentato da tante afflizioni, una notte, mosso a pietà di se stesso, diceva: « Signore, vieni in mio aiuto, guarda alle mie infermità, affinché io sappia sopportare pazientemente! ».

E subito gli fu detto in spirito: « Dimmi, fratello: se qualcuno, per queste tue tribolazioni e infermità, ti desse un tesoro così grande e prezioso, che tutta la terra fosse un nulla al suo confronto, non ne saresti felice? ».

Francesco rispose: « Signore, un simile tesoro sarebbe davvero grande e prezioso, meraviglioso e desiderabile ».

E sentì nuovamente quella voce: « Dunque, fratello, sii lieto e felice nelle tue malattie e tribolazioni, e d'ora in poi vivi nella sicurezza, come tu fossi già in possesso del mio regno ».

La mattina, levatosi, interrogò i compagni: « Se l'imperatore donasse a un suo servo un regno intero, non dovrebbe quel servo esserne molto felice?

Se gli cedesse addirittura tutto l'impero, non dovrebbe sentirsi ancor più felice? ».

Soggiunse: « Ebbene, io devo godere molto per le mie infermità e tribolazioni, trarne conforto nel Signore e rendere sempre grazie a Dio Padre e al suo unico Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, e allo Spirito Santo, per la grazia così grande a me concessa: che cioè si sia degnato di dare la certezza del suo regno a me, indegno servo suo, ancora vivente e rivestito di carne.

Voglio perciò, a lode di Lui, a nostra consolazione e edificazione del prossimo, comporre un nuovo Cantico delle creature del Signore, di cui ci serviamo ogni giorno e senza delle quali non possiamo vivere, e nelle quali il genere umano molto offende il suo Creatore.

Noi siamo continuamente ingrati di così grandi favori e benefici, non lodando come dovremmo il Signore, creatore e datore di tutti i beni ».

Sedette e si mise a riflettere per qualche tempo, e poi disse: « Altissimo, onnipotente, bono Signore » ecc. e compose anche la melodia di questo cantico, e insegnò poi ai compagni a recitarlo e a cantarlo.

Era il suo spirito allora così ridondante di consolazione e di dolcezza, che voleva mandare a chiamare frate Pacifico, il quale al secolo era detto « re dei versi » e fu maestro di canto assai attraente.

Voleva affiancargli alcuni frati che assieme a lui andassero per il mondo predicando e cantando le Lodi del Signore.

Diceva essere questa la sua volontà: che il frate del gruppo che meglio sapeva predicare, facesse prima un discorso al popolo, e dopo la predica tutti cantassero insieme le lodi del Signore, come giullari di Dio.

Finito il cantico delle lodi, voleva che il predicatore dicesse al popolo: « Noi siamo giullari di Dio, e perciò desideriamo essere remunerati da voi in questa maniera: che viviate nella vera penitenza ».

Francesco soggiunse: « Che cosa sono infatti i servi di Dio, se non i suoi giullari, che devono sollevare il cuore degli uomini e condurlo alla gioia spirituale? ».

Diceva questo con particolare riguardo ai frati minori, i quali sono dati al popolo di Dio per la sua salvezza.

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