Ebraismo

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Il termine ebraismo indica sia la religione biblica del popolo d'Israele, sia le diverse manifestazioni religiose e storico-culturali ebraiche successive all'epoca biblica.

L'ebraismo biblico

La memoria delle vicende del popolo di Israele tramandata dapprima oralmente si è condensata nell'Antico Testamento.

Abramo ( v. ), padre dei credenti nel Dio unico, apparteneva a uno dei tanti clan seminomadi segnalati In Mesopotamia nel XIX o XVIII sec. a.C.; la sua migrazione nella terra di Canaan avvenne in risposta all'appello di Dio che gli prometteva una discendenza e una terra.

La presenza di ebrei in Egitto è attestata al tempo della dominazione degli Hyksos ( tra il 1720 e il 1552 a.C. ); verso il 1250 a.C., forse al tempo del faraone Ramses II, ebbe luogo l'esodo ( v. ), sotto la guida di Mosè ( v. ), al quale Dio aveva rivelato il suo nome.

Dopo un lungo cammino attraverso il deserto il popolo di Israele giunse al Sinai, dove Dio stipulò con lui l'Alleanza ( v. ): Dio vuole essere il Dio di Israele per fare di Israele il popolo di Dio.

Le clausole di questo patto sono costituite dal decalogo ( v. ), le dieci parole donate da Dio al suo popolo perché abbia vita.

L'ingresso nella terra di Ganaan avvenne con Giosuè ( ca 1200 a.C. ).

Dopo il tempo dei giudici, capi carismatici che guidavano le tribù ebraiche in momenti di difficoltà, venne istituita in Israele la monarchia.

Davide conquistò Gerusalemme e ne fece la capitale del regno ( ca 1010-970 a.C. ).

Il regno conobbe il massimo splendore con Salomone, che costruì il Tempio.

Alla morte di Salomone il regno si divise: al nord il Regno di Israele, con capitale Samaria, che scomparve definitivamente dopo la conquista assira del 722 a. C.; a sud il Regno di Giuda con capitale Gerusalemme.

Nel 587 a.C. l'esercito babilonese di Nabucodonosor distrusse Gerusalemme e il Tempio e pose fine al Regno di Giuda.

In ambedue i regni era risuonata la voce dei profeti ( v. ), che richiamavano il popolo alla fedeltà all'alleanza e gli ricordavano l'amore fedele di Dio.

Il sorgere del giudaismo

Nell'esilio a Babilonia gli ebrei, privati della loro terra e del Tempio, impossibilitati a offrire sacrifici, salvaguardarono la loro identità etnico-religiosa mediante lo studio della Parola di Dio, l'osservanza della circoncisione e del sabato, la celebrazione della Pasqua.

Iniziò una nuova fase dell'ebraismo, che ha preso il nome di giudaismo.

Nel 538 a.C. un editto del re persiano Dario consentì agli ebrei esuli a Babilonia di ritornare in patria.

Il popolo di Israele, che da questo momento fino al 1948 non ebbe più l'indipendenza politica, si dedicò alla ricostruzione della propria identità religiosa.

Sotto la guida di Esdra e di Neemia ( v. Esdra-Neemia, libro di ) Israele oriente la sua fede in un movimento di ritorno al Signore: venne ricostruito il Tempio e si diede redazione definitiva al Pentateuco ( v. ), la parte fondamentale della rivelazione biblica.

In epoca ellenistica ( dal 323 al 31 a.C. ) la terra d'Israele ebbe il nome di Palestina e fu sottoposta ai sovrani di Siria.

Nel sec. II a.C. Antioco IV Epifane con l'appoggio di numerosi membri della classe sacerdotale e di una parte del popolo introdusse in Palestina usanze e istituzioni tipiche della civiltà ellenistica, iniziò a perseguitare apertamente gli ebrei che difendevano l'integrità della loro fede, fece assassinare il sommo sacerdote Onia III e collocò nel Tempio una statua di Zeus Olimpio.

Contro questo stato di cose insorsero i Maccabei ( v. ).

Gli esseni ( v. ) si ritirarono nel deserto, sulle rive del Mar Morto, per attendere la venuta del Messia nel vero Tempio, cioè la comunità di quanti sono rimasti fedeli al Dio unico.

È questa l'epoca della fioritura dell'apocalittica ( v. ), dominata dall'annuncio dell'imminente fine dei tempi.

Dal 63 a.C. la Palestina passò sotto il dominio romano.

Erode il Grande ( 73-4 a.C. ), insediato dai romani, ampliò il Tempio e arricchì Gerusalemme di nuovi palazzi.

Durante il suo regno nacque Gesù.

La Palestina, alla morte di Agrippa I ( 41-44 d.C. ), passò sotto il diretto controllo di Roma.

Nel 66 esplose la prima rivolta giudaica contro i romani.

La distruzione del Tempio ( 70 ) e la conquista dell'ultimo baluardo in mano agli ebrei, la fortezza di Masada ( 73 ), sedarono momentaneamente la resistenza ebraica.

Nel corso dell'assedio di Gerusalemme un fariseo, rabbi Jochanan ben Zacchaj, ottenne dai romani il permesso di uscire e di organizzare a Javne un'accademia rabbinica e un sinedrio accademico il cui presidente divenne il rappresentante ufficiale dell'ebraismo.

Il giudaismo rabbinico

La nascita dell'accademia di Javnè segna un'ulteriore fase del giudaismo.

Verso la fine del sec. I venne fissato il canone ebraico della Bibbia e furono stabilite le regole della liturgia sinagogale.

Dopo la seconda guerra giudaica ( 132-135 ) fu vietato agli ebrei di risiedere a Gerusalemme, trasformata in colonia romana.

Da allora il centro della vita ebraica si spostò fuori dalla terra di Israele fino alla rinascita nel 1948 dello Stato d'Israele.

L'attaccamento alla Torà ( v. ), unica via per preservare la propria identità in un mondo pagano e ostile, condusse alla redazione per opera delle accademie rabbiniche della Miahnà, raccolta di norme giuridico-religiose tramandate oralmente, che costituivano un'interpretazione della Torà ed erano considerate dai farisei ( v. ), ma non dai sadducei ( v. ), parte integrante della rivelazione del Sinai.

I commenti e le interpretazioni della Mishnà diedero vita al Talmud palestinese nel IV sec. e al Talmud babilonese, completato nel V sec. e definitivamente redatto nel VI-VII ( v. Talmud ).

Quando, nel 380, il cristianesimo, ben presto staccatesi dal giudaismo con attacchi e rivalità reciproche, divenne la religione ufficiale dell'impero, gli ebrei vennero progressivamente emarginati e perseguitati e furono emanate una serie di leggi discriminanti nei loro confronti entrate a far parte del Corpus iuris di Giustiniano ( sec. VI ).

Molti Padri della Chiesa con la loro predicazione e i loro scritti favorirono la crescente ostilità dei cristiani nei confronti degli ebrei accusati di essere "assassini del Signore, nemici di Dio, avvocati del diavolo, demoni" ( Gregorio di Nissa ) o "serpenti, la cui immagine è Giuda e la cui preghiera è un raglio d'asino" ( Gerolamo ).

Ambrogio, vescovo di Milano, si oppose all'imperatore Teodosio che ordinava ai cristiani di ricostruire la sinagoga che avevano incendiato sotto la guida del loro vescovo a Callinico, in Mesopotamia.

Medioevo ed età moderna

L'influsso ebraico sull'Islam inizialmente fu importantissimo.

Le "genti del Libro", come il Corano chiama gli ebrei e i cristiani, potevano vivere all'interno dell'Islam nella fedeltà alla propria religione, a condizione di riconoscere l'autorità musulmana.

L'ebraismo sefardita ( da Sefarad: Spagna ) fu in stretto contatto con il mondo arabo-islamico e produsse eminenti figure di studiosi, filosofi, poeti e scienziati.

Dalla Spagna proviene anche il Sefer ha-Zohar ( Libro dello splendore ), massima opera della mistica ebraica ( la qabbalà: ricezione, tradizione ), attribuita oggi a Moshè de Leon ( m. 1305 ).

Le crociate furono occasione di violente persecuzioni nei confronti degli ebrei.

Anche la diffusione della peste nera verso la metà del XV sec. fu accompagnata da violenze contro gli ebrei, accusati di diffondere l'epidemia.

Nel 1492 l'espulsione degli ebrei dalla Spagna riconquistata dai re "cattolici" diede inizio alla diaspora sefardita.

Dal 1516 a Venezia il quartiere ebraico della città, sorto spontaneamente come luogo di protezione, fu trasformato in una residenza chiusa imposta a tutti gli ebrei ( ghetto ).

Il ghetto di Roma, istituito da papa Paolo IV nel 1555, fu quello che durò più a lungo nel tempo; fu abolito solo nel 1870, con l'annessione di Roma all'Italia.

Nel corso del XVI sec. il mistico Izchaq Luria diede vita a Safed, in Palestina, a un centro di studio che rinnovò la qabbalà, in cui si fondevano dottrine tradizionali del giudaismo con dottrine neoplatoniche e popolari.

Il '600 vide il sorgere del sabbatianesimo, movimento che riconosceva la venuta del Messia nel predicatore Shabbataj Zevì ( 1626-1676 ), che però fu arrestato dalle autorità ottomane e si convertì all'Islam pur di aver salva la vita.

Nel '700 l'illuminismo ebraico ( o haskalà ) tentò di avvicinare l'ebraismo al mondo moderno, mostrandone la conciliabilità con la ragione.

Il principale rappresentante dell'haskalà fu Moses Mendeissohn ( 1729-1786 ).

All'illuminismo ebraico si contrappose il chassidismo ( da chasid: pio ), corrente mistica a carattere popolare, iniziata da Israel ben Eliezer, detto il Baal Shem Tov ( signore del Nome buono ), intorno al 1740 e diffusasi rapidamente nell'Europa orientale.

Il processo di emancipazione degli ebrei dall'emarginazione a cui erano stati condannati nei secoli precedenti si diffuse in Europa nel corso del sec. XVIII e si accompagnò spesso a una forte spinta di secolarizzazione.

Il giudaismo riformato, sorto in Germania, tentò di ritradurre l'ebraismo nella moderna civiltà occidentale attraverso una forte riduzione e relativizzazione delle osservanze rituali, l'abbandono dell'ebraico nella liturgia, la presa di distanza da una identità nazionale ebraica.

In Russia le misure adottate dagli zar contro gli ebrei e i frequentissimi e sanguinosi pogrom ( in russo, distruzione ) aizzati contro di essi provocarono un'ingente emigrazione ebraica prevalentemente verso gli Stati Uniti, divenuti sede del più numeroso insediamento ebraico.

L'aspirazione ebraica a un ritorno nella Terra di Israele si concretizzò nel movimento sionista fondato da Theodor Herzl ( 1860-1904 ).

Dalla fine dell'800 iniziò l'emigrazione ebraica in Palestina, intensificatasi nel primo dopoguerra.

Nel 1925 fu fondata il Gerusalemme la prima università ebraica; il fatto consacrava ufficialmente la rinascita della lingua ebraica come lingua quotidiana e non solo liturgica.

L'antisemitismo razzista teorizzato nel sec. XIX culminò nel '900, durante la seconda guerra mondiale con la Shoà ( in ebraico: catastrofe ): gli ebrei vittime dello sterminio nazista furono circa 6 milioni.

La tragedia della Shoà ha segnato profondamente la memoria ebraica e la coscienza cristiana che l'ha permessa.

Il 14.V.1948 segna ufficialmente la nascita dello Stato ebraico; secondo la Legge del ritorno ( 1950 ) ogni ebreo del mondo ha il diritto di trasferirsi in Israele e diventarne cittadino.

Gli ebrei residenti in Israele assommano a poco più di un terzo della totalità della popolazione ebraica mondiale ( dati del 1991 ).

La fede ebraica

L'ebraismo definisce la propria esperienza di fede attraverso il termine emunà, il quale va compreso soprattutto nella sua accezione di "fiducia in Dio" in riferimento non tanto a ciò che egli è, ma soprattutto a ciò che egli opera nella storia e, in particolare, in quella del popolo di Israele.

Dalla stessa radice di emunà deriva il termine 'amen, col quale si esprime l'atteggiamento di chi ha fede nel Signore e per questo rimane "saldo" in lui e nei suoi insegnamenti.

La Bibbia ci testimonia che tale atteggiamento nasce e si sviluppa come fede storica nell'orizzonte della rivelazione di Dio verso l'umanità: è JHWH che per primo si rivolge ad Abramo, impegnandosi con un patto in nome del quale successivamente libera il popolo di Israele dalla schiavitù d'Egitto e lo conduce verso la Terra Promessa.

Israele risponde all'azione divina nei suoi confronti accogliendo gli insegnamenti rivelati sul Monte Sinai attraverso la Torà, ricevuta per mano di Mosè e poi trasmessa dalla Tradizione.

L'ebreo si riconosce quindi nella storia di fede del popolo di Israele che da Abramo conduce ai nostri giorni e si lascia plasmare dalla memoria di questa storia attraverso azioni che coinvolgono i diversi momenti della vita quotidiana esprimendo concretamente la sua appartenenza al popolo della promessa.

Tale fede non è frutto di una elaborazione filosofica, ma piuttosto di una disposizione all'ascolto della Parola rivelata: lo Shema', la professione di fede ebraica, sottolinea questa disposizione nelle parole iniziali: "Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno…" ( Dt 6,4 )

Lo Shema' impegna l'ebreo a osservare gli insegnamenti divini indicati dai precetti e a trasmetterli di generazione in generazione: "Porrete dunque nel cuore e nell'anima queste mie parole […]; le insegnerete ai vostri figli…" ( Dt 11,18-19 ), e gli ricorda che la sua adesione di fede deve coincidere con una scelta di vita orientata dalla Torà, in quanto segno di un impegno concreto di fronte alla fedeltà del Signore.

Fare la volontà di Dio

Tutto ciò è espresso in maniera significativa in un passo biblico caro alla Tradizione ebraica: dopo che Mosè ebbe letto il libro dell'alleanza alla presenza di tutto il popolo, questo rispose: "Tutto quello che il Signore ha detto noi lo faremo e lo ascolteremo ( Es 24,7 ).

L'antecendenza del verbo "fare" rispetto al verbo "ascoltare" viene spiegata nei commenti rabbinici sottolineando il fatto che a chiedere l'osservanza dei precetti è il Signore che ha liberato dalla schiavitù d'Egitto, pertanto i precetti vanno accolti come una via indicata da un Dio che desidera la salvezza dell'uomo e quindi, prima di tutto, nella logica di una prassi animata dalla fede.

La fede tuttavia non sminuisce la necessità di un approfondimento anche di tipo intellettuale, necessario per comprendere progressivamente i molteplici sensi della Parola rivelata e per adeguare i precetti alle sempre nuove situazioni storiche.

Studio e preghiera sono compresi e vissuti come atti religiosi fondamentali che ogni ebreo deve impegnarsi a compiere: in ogni epoca la Torà è stata letta, studiata, commentata, attualizzata attraverso il metodo della discussione, con cui i maestri di tutti i tempi hanno esposte le loro interpretazioni, non necessariamente concordi, secondo criteri stabiliti dalla Tradizione.

Quando un'interpretazione è accolta dalla maggioranza viene considerata rivelazione di Dio sul Monte Sinai portata alla luce dal dibattito tra quanti cercano Dio nella sua Parola.

Per questa ragione la tede ebraica non si presenta come una dottrina monolitica, ma come una continua ricerca e comprensione di ciò che Dio ha rivelato: non si mette mai in dubbio il tatto che egli abbia parlato, ma si discute sul significato di ciò che egli ha detto, e la Scrittura è considerata, più che una fonte di risposte, un ambito che suscita e orienta nuove domande, affinché gli uomini continuino a ricercare tutti i suoi significati possibili.

L'obiettivo di tale indagine non è una speculazione intellettuale fine a se stessa, bensì l'esigenza di comprendere sempre meglio come vivere e realizzare la vocazione particolare per cui il Signore ha separato Israele dagli altri popoli, che è quella di diventare "un regno di sacerdoti e una nazione santa" ( Es 19,6 ), nell'orizzonte di un servizio di testimonianza animato dal precetto dell'amore verso Dio e verso il prossimo che riassume in sé tutti gli altri ( Lv 19,1-18 ).

In questo modo l'ebraismo esprime la consapevolezza di essere chiamato, come il primo patriarca Abramo, a camminare "davanti" al Signore ( Gen 17,1 ), invito che viene interpretato nei commenti rabbinici in relazione alla realizzazione della salvezza nella storia: perché Dio possa agire nella storia è necessario che qualcuno gli indichi e gli prepari la strada, e per i figli di Israele questo significa continuare a essere quel popolo attraverso il quale la benedizione di JHWH in Abramo si offre a tutte le famiglie della terra.

Le benedizioni e la santificazione del tempo

L'orientamento della spiritualità ebraica e la radice di ogni sua forma liturgica sono ben espresse dalla dinamica che la benedizione divina suscita: dal momento che JHWH crea nel segno della benedizione ( Gen 1,1 ss. ), il mondo e la storia possono svelare la profondità del loro senso ultimo solo a chi e capace di vivere in rapporto alla creazione benedicendo Dio per ogni cosa e in ogni situazione, sia nel bene che nella sventura.

A questo proposito nella Tradizione ebraica esistono benedizioni per ogni circostanza, le quali ricordano all'uomo che tutto proviene dal Signore e solo in riferimento a lui e alla sua Torà acquista significato.

Secondo tale prospettiva, il mondo è compreso innanzitutto come il mondo di Dio, nel quale il credente è chiamato a santificare il tempo attraverso la celebrazione delle feste che ripercorrono i momenti più significativi della rivelazione di Dio a Israele.

Fra queste la celebrazione annuale della Pasqua costituisce un momento fondante e particolarmente importante per l'identità stessa del popolo ebraico: la sua struttura "memoriale" rende chi la celebra contemporaneo agli ebrei che con Mosè sono usciti dall'Egitto, per cui e considerata uno spazio privilegiato per la trasmissione della fede alle nuove generazioni.

In senso analogo vengono vissute le altre liturgie familiari che caratterizzano le diverse feste religiose: attraverso esse i bambini, coinvolti attivamente fin dalla più tenera età, assimilano la Tradizione di cui fanno parte, facendo memoria della storia di fede del loro popolo.

Ricordare infatti è per gli ebrei una dimensione fondamentale, un esplicito comando divino, in nome del quale i genitori hanno il dovere di raccontare e spiegare ai figli ciò che il Signore ha compiuto per Israele ( Es 12,14.24-27 ).

L'attesa messianica

Fra le speranze e le attese dell'ebraismo si colloca anche quella dei tempi messianici, che, pur non essendo la prospettiva principale, ne rappresenta comunque uno degli orientamenti significativi.

Questo evento non è atteso necessariamente legato a un Messia particolare, bensì come svolta storica nella quale i segni della salvezza saranno evidenti per tutti, cancellando definitivamente dal mondo ogni traccia di dolore.

La Tradizione ebraica ha sviluppato al riguardo correnti fra loro diversificate, così come più volte ha creduto di aver individuato figure messianiche che poi non si sono rivelate tali.

Fra l'altro ha sottolineato, soprattutto nelle sue correnti mistiche, anche la possibilità che i tempi messianici non siano solo il frutto di un intervento divino, ma insieme il risultato di un impegno dell'uomo a favore del bene comune dell'umanità.

La fiducia ebraica nella capacità di JHWH di intervenire con azioni di salvezza nei confronti del suo popolo si è misurata nel corso dei secoli con eventi particolarmente dolorosi come la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., la cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492 e, nel '900, con la catastrofe nazista che ha prodotto l'orrore di Auschwitz.

La Shoà ( v. ) rimane nella memoria degli ebrei come un'esperienza di silenzio da leggersi su due versanti: silenzio di Dio ma anche silenzio dell'uomo, che non può non interpellare sia gli ebrei che l'hanno subito, sia tutti coloro che, in qualche modo, lo hanno permesso.

Diverse sono le riflessioni maturate all'interno del pensiero ebraico contemporaneo, che nelle sue forme più audaci è arrivato a rimettere in discussione il modo di comprendere l'onnipotenza divina.

Tutto ciò comunque non impedisce alla Tradizione ebraica di continuare con coraggio a testimoniare fra i popoli l'unicità del Dio di Israele a cui rimane fedele.

Dall'antigiudaismo al dialogo cristiano-ebraico

La prima comunità di credenti che si costituisce alla luce della vicenda pasquale di Gesù di Nazaret, finché rimane a Gerusalemme, pur vivendo un rapporto conflittuale con il giudaismo, celebra l'eucaristia ma continua anche a frequentare il Tempio ( At 2,46 ) nell'orizzonte di una dialettica che mantiene aperto il confronto con le autorità ebraiche.

Riguardo a queste ultime, significativa è la posizione del fariseo Gamaliele che invita il sinedrio a liberare gli apostoli arrestati, sottolineando che, se la loro attività viene da Dio, attesterà da sé la propria verità di fronte alla quale non è bene che l'uomo si op
ponga ( At 5,34-40 ).

Ma col trasferimento della comunità ecclesiale delle origini da Gerusalemme a Roma tale confronto viene meno e il cristianesimo diventa progressivamente antigiudaico: nel giro di pochi anni i battezzati sono prevalentemente di origine pagana; l'interpretazione della Scrittura risente dell'inculturazione col pensiero greco e perde di vista l'orizzonte semitico in cui è sorta.

Il progressivo svilupparsi di eresie costringe la riflessione cristiana ad assumere un atteggiamento apologetico che cataloga eretici, pagani ed ebrei fra i nemici da combattere e, in questo contesto, il popolo ebraico diventa l'esempio negativo continuamente additato ai cristiani in nome dell'accusa di deicidio.

I rapporti fra le due parti, soprattutto dopo che il cristianesimo è riconosciuto religione di Stato, diventano sempre più difficili.

In questo contesto occorre riconoscere che anche ai Padri della Chiesa sfuggì completamente sia la realtà della ebraicità di Gesù, sia il mistero del permanere di Israele come popolo di Dio nella storia di salvezza.

Anzi, all'interno di una teologia sostituzionista che, a partire dall'affermazione fondamentale della Chiesa quale Verus Israel, dichiarava il "vecchio" ( ridotto a "ombra" e "figura" ) superato e abrogato dalla "realtà" costituita dal "nuovo" ( la Legge antica dalla nuova Legge evangelica, lo shabbat della domenica, l'"imperfetta" morale dell'Antico Testamento dalla perfezione della morale neotestamentaria ecc. ), spesso gli stessi Padri e scrittori cristiani hanno delegittimato l'esistenza del popolo ebraico e alimentato teologicamente l'antigiudaismo.

Nei loro scritti, in particolare nella diffusa trattatistica Adversus Judaeos, traspare spesso lo stereotipo della "carnalità" giudaica: Israele sarebbe il popolo carnale che non sa cogliere il senso spirituale delle Scritture e che non ha saputo riconoscere in Gesù il Cristo morto e risorto.

A esso sarebbe pertanto subentrata la Chiesa cristiana quale vero Israele spirituale.

L'antigiudaismo cristiano, in forme di intolleranza più o meno accentuata, accompagna la storia dell'Occidente europeo fino al '900, nel quale si deve misurare con la Shoà, lo sterminio degli ebrei per mano nazista.

Se da una parte non possiamo dimenticare il coraggio di quei cristiani che, come D. Bonhoeffer ( v. ), rischiando di persona si sono opposti al nazismo e hanno aiutato molti ebrei a salvarsi, dall'altra i 6 milioni di vittime nei campi di sterminio rimangono la cifra di un tragico fallimento epocale.

Di fronte a esso, nel 1947 a Seelisberg, cristiani di confessioni diverse stendono un elenco di dieci punti nei quali invitano le Chiese a riconsiderare tutti quegli elementi della loro predicazione e del loro insegnamento che possono, anche involontariamente, aver contribuito ad alimentare l'antisemitismo.

Fra questi è presente J. Maritain, e c'è anche J. Isaac, ebreo miracolosamente scampato al massacro, il cui incontro con Giovanni XXIII sarà uno degli elementi che orienterà il concilio Vaticano II a riconsiderare il rapporto fra Chiesa cattolica ed ebraismo.

Nel 1948, ad Amsterdam, si costituisce il Consiglio Ecumenico delle Chiese ( CEC ), che, già dal suo primo documento condanna
l'antisemitismo come peccato contro Dio e contro gli uomini.

Nel 1970 il CEC istituisce un comitato per il dialogo con gli ebrei e nel 1988 pubblica una raccolta commentata di tutti i documenti prodotti al riguardo: La teologia delle Chiese cristiane e il popolo ebraico.

In questa raccolta è evidente il passaggio da un atteggiamento di "missione" cristiana verso il popolo ebraico al riconoscimento della sua elezione divina mai revocata ( Rm 11,29 ) che esclude qualsiasi forma di proselitismo nei confronti degli ebrei.

Tale inversione di rotta produce un ripensamento teologico a livello sia cristologico sia ecclesiologico, che riconsidera i rapporti fra questi due partner nell'orizzonte di una comune testimonianza dell'unico progetto di alleanza fra Dio e gli uomini, nel quale ebrei e cristiani sono chiamati a ruoli diversi.

La Chiesa cattolica partecipa attivamente a tale svolta epocale attraverso il concilio Vaticano II indetto nel 1961 da Giovanni XXIII che, già nel 1959, aveva eliminato i termini "perfidi" e "perfidia" riferiti agli ebrei nella preghiera del Venerdì santo.

Il dibattito conciliare sfocia nel 1965 nella dichiarazione Nostra aetate, firmata da Paolo VI, dove al punto 4 si afferma che la Chiesa, "scrutando il proprio mistero", scopre un legame unico con il popolo di Abramo dal quale "ha ricevuto la rivelazione" e a
cui, come ricorda l'apostolo Paolo, appartengono "l'adozione filiale, la gloria, i patti di alleanza, la Legge, il culto e le promesse", da cui "è Cristo secondo la carne" e dal quale "sono nati gli apostoli".

In nome di tale grande patrimonio di fede il concilio promuove e raccomanda "la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo", e ribadisce che gli ebrei "non devono essere presentati ne come rigettati da Dio ne come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura".

Come si può notare il concilio non fa riferimenti alla tradizione patristica, ma preferisce citare direttamente i testi neotestamentari e, in particolare, la Lettera ai Romani di Paolo, dove si ribadisce che i cristiani sono "l'ulivo selvatico" innestato "sull'ulivo buono" di Israele la cui radice continua a portarli ( Rm 11,16-24 ).

Il magistero successivamente riprende e precisa il dettato conciliare.

Nel 1975 il Segretariato per l'Unione dei Cristiani rende noto il documento Orientamenti e suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione Nostra aetate, n. 4, nel quale ricorda che "L'informazione su queste questioni deve riguardare tutti i livelli di insegnamento e di educazione del cristianesimo", in quanto "Il problema dei rapporti tra ebrei e cristiani riguarda la Chiesa come tale, poiché è scrutando il suo mistero che essa fronteggia il mistero di Israele".

Nel 1985 lo stesso segretariato ritiene opportuno approfondire ulteriormente il discorso attraverso un nuovo documento: Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica.

Sussidi per una corretta presentazione.

Tale intervento, ampio e articolato, offre precisazioni e suggerimenti relativamente all'insegnamento religioso, al rapporto fra i due testamenti e al significato delle radici ebraiche del cristianesimo, sottolineando che "Gesù è ebreo e lo è per sempre" e che la sua rivelazione è comprensibile solo alla luce del mistero di Israele che l'ebraismo ancora oggi testimonia con la sua fedeltà a JHWH.

Sempre in questo documento infatti si sottolinea che la storia degli ebrei non si conclude con il 70 d.C., e che il permanere di questo popolo "è un fatto storico e segno da interpretare nel piano di Dio", pertanto "occorre in ogni modo abbandonare la concezione di popolo 'punito', conservato come 'argomento vivente' per l'apologetica cristiana".

In questo orizzonte si comprende l'importanza dell'abbraccio fra Giovanni Paolo II e il rabbino Elio Toaff nel 1986 presso la sinagoga di Roma, occasione nella quale il papa ha definito gli ebrei "fratelli maggiori" nella fede e ha affermato che la religione ebraica è "intrinseca" a quella cristiana.

Nel momento in cui - nella seconda metà del XX sec. - "ebraismo e cristianesimo si incontrano, forse per la prima volta nella storia" ( Schalom Ben Chorin ), la figura di Gesù viene scoperta dai cristiani nella sua costitutiva ebraicità ( ormai l'esegesi biblica intende la ricerca del "Gesù storico" come riscoperta del "Gesù ebreo" ) e suscita il positivo, seppure molto differenziato, interesse di diversi ebrei che cercano di recuperare al giudaismo la figura di Gesù: è il cosiddetto fenomeno del "ritorno a casa" ( Heimholung ) di Gesù.

Tra questi ebrei, dopo le grandi figure di L. Baeck e J. Klausner che si collocano nella prima parte del secolo, sono ricordati S. Zeitlin, S. Sandmel, D. Daube, G. Vermes, D. Flusser, P. Lapide, Sch. Ben Chorin e, più recentemente, H.G. Perlmuter.

Certo, resta vero che se la fede di Gesù unisce ebrei e cristiani, la fede in Gesù li divide!

Nonostante le effettive differenze, il dialogo e l'incontro fra ebrei e cristiani, sostenuti e favoriti dai molti organismi venutisi a costituire negli ultimi decenni ( si pensi al Service international de documentation judéo-chrétienne [SIDIG], all'International Council of Christians and Jevvs [ICCJ], all'International Jewish Committee for Interreligious Gonsultations [IJC1C], ai gruppi di Amicizia ebraico-cristiana ormai variamente presenti in numerose nazioni ecc.), portando a una migliore conoscenza gli uni degli altri, aiutano il superamento delle diffidenze reciproche e instaurano un nuovo clima di collaborazione e rispetto.

Da parte cristiana poi, l'incontro con l'ebraismo è assolutamente vitale, concerne la propria stessa identità e definizione e ha ripercussioni su tutti gli aspetti della sua vita: la dottrina, la liturgia, la vita spirituale, la missione, la catechesi ecc.

Uno dei principali sforzi delle Chiese impegnate in tale dialogo è quello di mettersi in ascolto dell'ebraismo, così come esso stesso si definisce, eliminando tutti gli stereotipi negativi presenti fra i cristiani, come l'idea che il Nuovo Testamento si contrapponga all'Antico e che la Chiesa abbia sostituito il popolo di Israele, errori di prospettiva che vanno superati in una visione che recuperi l'unità della rivelazione biblica e la positività della testimonianza ebraica accanto e di fronte a quella cristiana.

È vero comunque che non si riescono a colmare facilmente distanze prodotte in secoli di intolleranza: per questo, dal 1990, la Conferenza Episcopale Italiana ha stabilito che il 17 gennaio di ogni anno i cattolici celebrino una giornata volta a riscoprire l'importanza degli ebrei e dell'ebraismo per la Chiesa e per l'ecumenismo.

Tra i problemi che necessitano ancora di grande sforzo di approfondimento e di comprensione da parte cristiana vi è certamente quello del significato della Terra d'Israele per gli ebrei.

Tuttavia va segnalato, per quanto concerne la Chiesa cattolica, un fatto di grande rilevanza quale la firma dell'Accordo Fondamentale tra Santa Sede e Stato d'Israele" avvenuta il 30.XII.1993.

Così è chiamata la religione degli Ebrei, vista nel suo aspetto storico, di popolo, cultura e religiosità.

Tipica dell'Ebraismo è l'unità strettissima tra fede e vita, sia personale che sociale: così che « essere ebreo » non è certamente prima di tutto fare determinate pratiche religiose, ma piuttosto vivere in un certo modo cogliendosi parte di un certo popolo, benché disperso.

Magistero

Commissione Ebraismo - Approfondimenti

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