Giovanni Battista de La Salle

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Il La Salle da norme per i pasti dei Fratelli della sua comunità.

Dopo aver deciso la forma dell'abito dei Fratelli, il La Salle sentì l'esigenza di fornire le norme essenziali per la vita di una comunità.

Cominciò dai pasti escludendo ogni raffinatezza.

Si dovevano servire solo carne di macelleria,1 mentre nei giorni di venerdì e sabato, come nei giorni di digiuno, solo legumi.

Egli provò inizialmente una forte ripugnanza ad abituarsi a questo genere di vita così diverso da quello raffinato di casa sua.

Si sentiva rivoltare lo stomaco quando veniva servita la minestra condita con grasso di maiale; ogni volta la rimetteva e di conseguenza, pur contro la sua volontà, gli venivano serviti altri cibi.

Ma questo avvenne per poco tempo, perché il La Salle si animò di una santa indignazione contro se stesso perché voleva uniformarsi alla comunità, a costo di qualsiasi sacrificio e vincendo ogni ripugnanza.

Ricominciò a mangiare come i Fratelli ma, provando la stessa ripugnanza, combatté con tanta generosità contro se stesso che riuscì ad adeguarsi e in seguito mangiò indifferentemente tutto ciò che gli veniva servito, per quanto grossolano o mal preparato.

Il mezzo più efficace che egli trovò per abituarsi a questo genere di vita, fu il lungo digiuno, per trovare buono ciò che gli veniva presentato.

Questo è il metodo più appropriato perché, come spiega il La Salle stesso nel suo libro: "Règles de la bienséance et de la civilité chrétienne",2 la fame fa trovare tutto buono.

Mortificazione che egli dimostra nel vincere la sua ripugnanza a osservarle.

Per vincere ogni giorno più la sua ripugnanza giunse a trangugiare ciò che lo stomaco stava per rimettere.

Tanti atti di mortificazione non furono inutili: sembrava che Dio avesse tolto dai cibi ciò che gli poteva dare ripugnanza o disgusto.

Oppure semplicemente si era abituato a mortificare il suo gusto di modo che quanto doveva essergli insopportabile sembrava aver cambiato la sua sgradevole natura.

Lo si può osservare nel fatto seguente.

Un giorno il Fratello cuoco, certo non troppo abile in questo mestiere così come nella conoscenza delle erbe, mise dell'assenzio nella verdura.

La maggior parte dei Fratelli non poterono mangiarne a causa dell'amarezza.

Il nostro uomo di Dio se ne meravigliò e alla fine del pasto chiese il motivo che aveva impedito ai Fratelli di cibarsi come al solito.

Essi gli domandarono se non aveva sentito l'amarezza della verdura.

Rispose di no, che proprio non vi aveva badato.

E in diverse altre occasioni egli manifestò di non sentire il gusto dei cibi, oppure non vi prestava attenzione perché tutto assorto ad ascoltare la lettura che si faceva a tavola.

Dopo aver fissato un regime per il vitto dei Fratelli, si impegnò con loro stessi a prendere i mezzi per assicurare stabilità a quanti erano o sarebbero entrati nell'istituto.

Riunione dei Fratelli per emettere i primi voti.

A questo scopo cominciò con loro un ritiro la festa di Pentecoste del 16873 usanza poi sempre osservata.

Fu in quel santo giorno che i nuovi successori degli apostoli, nel loro zelo e nella loro povertà, si disposero ad attirare la pienezza dello Spirito Santo, senza di cui non avrebbero potuto prendere alcun mezzo per superare gli ostacoli alla loro perseveranza.

Avevano bisogno delle grazie necessarie per sostenere con coraggio gli assalti che avrebbero sferrato il mondo e il demonio contro la nuova vita che stavano intraprendendo.

I Fratelli, così disposti a ricevere lo Spirito Santo il medesimo giorno in cui era sceso sugli apostoli, ne furono pienamente riempiti.

Lo prova il fatto che presero la risoluzione di consacrarsi intieramente a Dio con i voti di obbedienza e di castità.

Prima della cerimonia, però, insieme conferirono sull'opportunità di emettere il voto di castità, come qualcuno aveva proposto, e se per tutta la vita o solamente per un tempo determinato.

Il nostro uomo di Dio che, come è facile comprendere, aveva valide ragioni per distoglierli dal fare subito voto di obbedienza, e in particolare di castità, per tutta la vita, li invitò a non essere precipitosi.

Era necessario provare per qualche tempo se quella era la volontà di Dio.

I Fratelli, udite le ragioni del loro superiore, moderarono il fuoco del loro fervore iniziale e presero la risoluzione di emettere solo il voto di obbedienza per un anno.4

Ciò avvenne la domenica della Santissima Trinità che da quel giorno è sempre stata considerata dai Fratelli delle Scuole Cristiane come la loro principale festa.

Il ritiro durò dalla domenica di Pentecoste a quella della Santissima Trinità, giorno in cui i Fratelli continuarono a rinnovare annualmente i voti fino al 1694, quando il La Salle credette volontà di Dio che emettessero il voto perpetuo di obbedienza.5

Nella cappella dei Fratelli, cominciò egli stesso per primo, a voce alta, dopo aver celebrato la Santa Messa durante la quale tutti si comunicarono.

Dopo emisero il loro voto i Fratelli, l'uno dopo l'altro, con grande gioia e consolazione, sia da parte del santo formatore, sia da parte dei suoi ferventi discepoli, come dirò più avanti.

Rinuncia alla carica di superiore ed è costretto a riassumerla.

Qualche tempo dopo i primi voti dei Fratelli e prima di quelli perpetui, il nostro santo sacerdote, che cercava ogni occasione per umiliarsi ed esercitare l'obbedienza, riunì per una seconda volta i Fratelli più anziani dell'istituto sia di Reims che delle tre case da poco aperte.

Questo avvenne nel suddetto anno 1687.6

Tenne con loro un ritiro di otto giorni durante i quali in una conferenza presentò, con valide motivazioni, la necessità che il superiore dell'istituto fosse un Fratello.

Essi, non potendo opporsi alle sue giuste ragioni, accondiscesero con semplicità, senza replicare, a quanto egli desiderava.

Pensarono quindi a scegliere tra loro chi fosse in grado di ricoprire quella carica.

La maggior parte dei voti cadde su Fratel Henry l'Heureux, uomo saggio, pieno dello spirito di Dio, uno dei primi e dei più perfetti tra i Fratelli, di cui parlerò più avanti.7

Egli si sottomise a questa elezione con semplicità e umiltà, ciò che diede grande gioia al nostro umile servo di Dio che nutriva una stima tutta particolare per questo buon Fratello a causa della sua solida virtù.

Da quel momento tutti i testimoni furono pieni di ammirazione nel vedere il santo sacerdote sottomettersi a un semplice Fratello con umiltà e rispetto.

Il suo esempio rese ferventi i più rilassati e incoraggiò i più ferventi ad avanzare decisamente nel cammino della virtù.

La sua esattezza fu così precisa e la sua umiltà così profonda che il virtuoso Fratel Henry l'Heureux ne era confuso, ammirando la sua diligenza nell'essere il primo e il più fedele anche alle più piccole pratiche della casa per la sua affezione alla virtù dell'obbedienza.

Non faceva nulla senza aver ottenuto il permesso del Superiore al punto che non avrebbe voluto uscire a celebrare la messa senza un esplicito consenso.

Si offriva a pulire i locali della casa e questo non in teoria, come si usa oggi che, sovente, ci si offre per umili servizi sperando di esserne dispensati; e quando si presenta l'occasione ognuno cerca, se può, di evitarla.8

Così non avveniva al nostro servo di Dio: egli si offriva per servizi bassi e umilianti, e ne cercava le occasioni.

Lo dimostra il seguente fatto.

Un giorno, mentre i Fratelli erano in ricreazione dopo il pasto, sentì parlare al Fratello superiore dell'esigenza di pulire uno dei locali più vili della casa.

Subito si offrì e, credendo di aver ottenuto il permesso, si mise a cercare gli arnesi adatti.

Già li aveva tra mano, quando il Fratello superiore venne da lui e, con molto rispetto, gli disse che nessuno lo aveva autorizzato a fare un servizio tanto indegno di lui: e che avesse la bontà di rinunciare.

L'obbedienza del fedele servo di Dio lo privò del vantaggio che voleva ottenere dal suo umile gesto.

E con gran dispiacere lasciò ciò che aveva iniziato con gioia.

Questo esempio dimostra l'autenticità e la purezza della sua virtù che, come ho detto, non era teorica ma pratica.

In quegli anni non esisteva ancora per i Fratelli una regola scritta, ma questo, mi sembra, non era necessario, perché il La Salle rappresentava il regolamento per i continui esempi di virtù che dava.

Era, dico, la loro regola vivente.

Infatti la regola che poi ha scritto è la codificazione di quello che egli ha praticato in ogni particolare.

Se nella regola esige una perfetta sottomissione, è perché egli stesso in tutta la vita ha avuto una stima particolare per la virtù che Sant'Agostino diceva essere l'unica a conoscere: l'obbedienza.

Nulla ha risparmiato per imprimere nei Fratelli l'amore per questa virtù che egli ha sempre considerato il sostegno delle comunità.

E se ha dettato tanti regolamenti per il buon andamento della comunità, è perché ebbe in vita grande amore per la regolarità, cercando di inculcarlo ai Fratelli.

Ma ascoltiamo direttamente questo uomo di Dio e si vedrà dalle sue parole, più di quanto io possa dire, l'amore che aveva per l'obbedienza e la regolarità.

Ecco come egli parla dell'obbedienza a una religiosa che ha diretto spiritualmente per lettera.

Mi limito a qualche passo delle sue lettere, per non essere troppo lungo in questo capitolo.

"Lei - egli scrive - attirerà le grazie del Signore obbedendo e sottomettendosi in tutto per amore di Dio.

Dunque obbedirà con un totale annientamento interiore, secondo l'esempio di Gesù Cristo che è in colei che tiene il suo posto, al fine di fare la volontà di Dio.

Adori nostro Signore obbediente secondo la convinzione che la fa agire.

Sia fedele a domandare il permesso in ogni minima circostanza e non ascolti i ragionamenti che sono frutto della sua natura; questa chiede sempre di scuotere il giogo della sottomissione.

Pare senza fatica ciò che è secondo i nostri gusti e anche farlo volentieri non è obbedire.

L'obbedienza è fare ciò che ci è comandato senza discutere, anche se è contrario alla nostra natura e alle nostre inclinazioni.

Perché l'obbedienza sia pura, bisogna agire per fede e non esaminare gli scopi o le ragioni per cui ci viene chiesta la tal cosa, ma soffocando i ragionamenti o le difficoltà che possiamo incontrare, agire solo perché ci viene comandato.

Si comporti così per l'avvenire.

Tenga presente che dal momento in cui si frappone il ragionamento, non c'è più obbedienza.

Bella perfezione amare solo ciò che ci piace!

Sia più perfetta, mia cara sorella, e non ragioni in nulla, né a riguardo di nessuno.

Tutto è buono davanti a Dio se l'obbedienza ci guida".

Da tutto ciò che ho appena detto emerge quale spirito di sottomissione animava il La Salle.

E ora vediamo in breve il suo attaccamento alla regolarità attingendo da quanto egli stesso ha scritto alla stessa religiosa: "Le regole debbono servirle di norma alle sue azioni e non l'esempio di coloro che le trasgrediscono.

Se lei ha letto attentamente Monsieur de la Trappe,9 ha imparato che non è cosa singolare osservare le regole in una comunità, dove altre non le osservano.

Si dica di lei ciò che si voglia: se adempie i suoi doveri, non si preoccupi.

Si consideri una fervente novizia e agisca di conseguenza in ogni osservanza di regola.

D'ora innanzi consideri le sue regole come una spiegazione del Vangelo, e le osservi.

L'agire per Dio la farà entrare in queste prospettive e poi in questa pratica.

Ricordi che chi trascura le piccole cose, cadrà in gravi errori.

Osservi dunque le regole e i regolamenti giornalieri e li consideri come l'essenziale della sua vita: questo è meglio che fare miracoli".10

Secondo il Vangelo, l'uomo prudente estrae dai tesori del cuore cose antiche e nuove. ( Mt 13,52 )

Non possiamo, dunque, dire che il La Salle è quell'uomo prudente che estrae dall'abbondanza del cuore istruzioni così salutari per la santificazione di chi le vuole mettere in pratica?

Ciò che il La Salle diceva a quella buona religiosa, lo insegnava anche ai Fratelli: con la fedeltà alla regola avrebbero perseverato nella vocazione e prodotto frutti abbondanti nel loro ministero, perché Dio avrebbe concesso la sua benedizione.

Ma il La Salle non si accontentò di edificare i Fratelli con i suoi esempi di sottomissione e di regolarità.

Egli praticò continuamente l'umiltà: si abbassa fino a baciare loro i piedi, a chiedere loro perdono, a servirli in tutto e per tutto.

Si prostrava ai piedi del Fratello superiore per accusarsi dei suoi difetti e chiederne la penitenza.

Se si umiliava così davanti ai Fratelli, non si comportava diversamente davanti agli amici che venivano a fargli visita.

Senza timore diceva loro che non poteva parlare prima di averne ricevuto il permesso.

È ciò che accadde un giorno con alcuni canonici.

Essi capirono che non voleva conferire con loro senza il permesso, e ciò li stupì non poco.

Ma questi non furono i soli testimoni della sua umiltà.

Altri vennero a fargli visita e, trovatelo in casa, gli si avvicinarono per salutarlo, ma egli li pregò di concedergli di chiedere il permesso di poterli ricevere.

Alcune persone, con cui era molto in famigliarità, si lamentarono di quel modo di comportarsi, facendogli presente che non era degno di un dottore in teologia e ancora meno di un prete sottomettersi a un semplice Fratello.

A questi, il servo di Dio non rispose che con un modesto sorriso.

Tale modo di comportarsi del La Salle venne conosciuto in città, per cui molte persone si lamentarono presso i Superiori ecclesiastici, convinti che fosse un'ingiuria alla sua dignità.

Per questo fu obbligato, con suo grande dispiacere, a riprendere la carica di Superiore che aveva lasciato con tanta gioia.

Questo rallegrò i Fratelli e in particolare Fratel Henry l'Heureux che provava vergogna nel vedere una così santa persona umiliarsi in quella maniera.

Molti dunque non approveranno il comportamento del La Salle perché la sua umiltà condanna il loro orgoglio.

Ma mi riservo in seguito di far loro toccare con mano che hanno torto nel condannare il comportamento dell'uomo di Dio.

Per ora mi basta dire che egli volle imitare Gesù Cristo, sacerdote eterno secondo l'ordine di Melchisedek, che non ha disdegnato di prostrarsi davanti ai piedi dei suoi apostoli, che erano persone grossolane e uno di loro un demonio.

Dunque condannare il comportamento del La Salle davanti ai Fratelli è disapprovare ciò che ha compiuto Gesù davanti ai suoi apostoli.

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1 Vale a dire quella a buon mercato in uso dalla gente del ceto popolare che escludeva carni raffinate, soprattutto quelle dei volatili
2 Il titolo è: "Les Règles de la bienséance et de la civilité chrétienne".
3 La data esatta, anche se a lungo controversa, della prima emissione dei voti da parte dei Fratelli è il 9 giugno 1686, festa della Santissima Trinità. Il ritiro in preparazione ebbe inizio il giorno dell'Ascensione, 23 maggio, e doveva concludersi la festa di Pentecoste, 2 giugno, ma l'arrivo posticipato di alcuni Fratelli, a causa delle difficoltà di viaggio e gli argomenti in studio - regolamento, scuole e in particolare i voti - ritardarono la conclusione sino alla festa della Santissima Trinità
4 Più precisamente, per tre anni da rinnovare ogni anno
5 La festa della Santissima Trinità del 1694. Giovanni Battista e 12 Fratelli più anziani emettono i primi voti perpetui di obbedienza, di associazione e di stabilità. Si conserva il testo autografo del Fondatore
6 La data, ancora oggetto di ricerca, va posta tra il 1686 e 1687
7 Il Fratello Henri l'Heureux aveva appena 24 anni, ma godeva di un grande ascendente su tutti i Fratelli per le sue doti umane e spirituali. Morì precocemente nel gennaio del 1691 e fu una prova terribile per il La Salle in un anno tra i più difficili per lui e per il nuovo Istituto, che si concluse il 21 novembre con il "voto eroico" del Fondatore con i Fratelli Nicolas Vuyart e Gabriel Drolin
8 Annotazione di esperienza quotidiana che sottolinea l'ammirazione di Fr. Bernard per il Fondatore e i tempi eroici degli inizi dell'Istituto
9 È l'abate Armand-Jean Boutillier de Rancé. Dopo la conversione, fattosi monaco, riformò l'abbazia cistercense di Notre-Dame de la Trappe, in Normandia, da cui ebbero origine i Cistercensi di stretta osservanza chiamati "Trappisti"
10 Lettere n° 132 e 129. Cfr J.-B. de La Salle "Le Lettere" a cura di Serafino Barbaglia. Città Nuova, 1994. Pagg. 441 e 432