L'anima e la sua origine

Indice

Libro II

Al presbitero Pietro, al Signore.

Fratello dilettissimo e conpresbitero Pietro, il Vescovo Agostino salute al Signore

1.1 - L'occasione di questo libro: l'accoglienza di Pietro ai libri di Vincenzo Vittore

Mi sono giunti due libri di Vincenzo Vittore, che egli ha scritti alla tua santità.

Me li ha mandati il nostro fratello Renato, il quale, sebbene laico, è però prudentemente e scrupolosamente preoccupato della fede sua e delle persone che ama.

Dalla loro lettura mi sono accorto che si tratta d'uno scrittore senza dubbio fluido nel discorrere, non solo fino a bastare, ma anche fino a straripare: con la riserva tuttavia che non è ancora ben preparato, come si richiede, nei problemi sui quali ha voluto parlare.

Se una tale preparazione gli sarà concessa per munificenza del Signore, egli potrà giovare a molti.

Non è davvero piccola la sua capacità d'esporre e d'abbellire le proprie sentenze, se prima di tutto si adopera d'aver giuste sentenze.

Sono infatti molto pericolosi gli errori esposti elegantemente, perché alle persone meno provviste sembra che portando una veste elegante portino anche la verità.

In qual modo però tu stesso abbia accolto quei medesimi libri io non lo so, ma tuttavia, se è vero quanto ho sentito, si dice che alla fine della loro lettura sei saltato così dalla gioia che, dopo aver baciato sulla testa tu vecchio quel giovane, tu presbitero quel laico, l'hai ringraziato d'averti insegnato quello che ignoravi.

E qui io non disapprovo certamente la tua umiltà, anzi al contrario ti lodo anche dell'onore che hai reso a chi si è fatto tuo maestro: e non è nemmeno un uomo, ma la Verità stessa che si è degnata di parlarti per mezzo di lui, purché ti sia possibile indicare quali verità tu abbia apprese per mezzo di lui.

Vorrei pertanto che nella tua risposta tu insegnassi a me quali siano le verità che costui ha insegnate a te.

Lungi infatti da me la vergogna d'imparare da un presbitero, se tu non hai avuto vergogna d'imparare da un laico, con umiltà da encomiare e da imitare, se è la verità che tu hai imparata.

2.2 - Nozioni secondarie sulla distinzione tra anima e spirito nelle quali si è esercitato Vincenzo Vittore

La ragione per cui, o fratello dilettissimo, io desidero conoscere che cosa tu abbia imparato da lui è questa: congratularmi per te se è verità già conosciuta da me, imparare da te se invece è verità non conosciuta da me.

Quello che tu ignoravi è forse che sono due realtà distinte l'anima e lo spirito, secondo le parole della Scrittura: Hai ritirato dal mio spirito la mia anima? ( Gb 7, 15 sec. LXX )

E che ambedue appartengono alla natura dell'uomo, cosicché l'uomo nella sua completezza sia spirito, anima e corpo, ma che talvolta la parola " anima " comprende queste due realtà insieme, come nel testo: E l'uomo diventò un'anima vivente? ( Gen 2,7 )

Qui è sottinteso appunto lo spirito.

Similmente che talvolta ambedue sono compresi nella parola spirito, come nel passo: E, chinato il capo, rese lo spirito? ( Gv 19,30 )

E qui si deve intendere anche l'anima. E che ambedue sono di una sola sostanza?

Io penso che queste verità ti fossero già note.

Se invece le ignoravi, sappi che non hai imparato delle verità che si ignorino con grande pericolo.

E se qui c'è da fare a tal proposito qualche distinzione più sottile, è meglio farla con lui stesso, del quale conosciamo già anche la terminologia: se, dicendo anima così da sottintendere anche spirito, l'una e l'altro siano l'anima e invece lo spirito sia una qualche parte dell'anima; se con questo nome d'anima si indichi, come sembra a costui, il tutto per mezzo d'una sua parte oppure se lo spirito sia ambedue le realtà, ma sia una parte dello spirito quella che si dice propriamente anima, o se quando si dice spirito così da sottintendere insieme l'anima, si adoperi anche in questo caso la parte per indicare il tutto: così infatti piace a costui.

La verità è che queste sottigliezze, come ho detto, e si discutono e si ignorano senza nessun pericolo o certamente senza un grande pericolo.

2.3 - I sensi del corpo e i sensi dell'anima

Ugualmente mi stupirei se ti avesse insegnato che altri sono i sensi del corpo e altri invece i sensi dell'anima: e tu, uomo di tale età e dignità, prima d'aver ascoltato costui, credevi che fossero una sola e medesima facoltà quella con la quale si distingue il bianco dal nero, come sanno fare con noi anche i passeri, e quella con la quale si giudica il bene e il male, come li vedeva Tobia, anche dopo aver perduto le luci della carne. ( Tb 4 )

Se è così, allora quando leggevi o sentivi: Illumina i miei occhi, perché non mi addormenti mai nella morte, ( Sal 13,4 ) non pensavi che agli occhi della carne.

O se questo è un testo oscuro, quando ripensavi alle parole dell'Apostolo: Gli occhi illuminati del vostro cuore, ( Ef 1,18 ) credevi certo che noi avessimo il cuore sotto la fronte e sopra la bocca.

Non sia mai che io pensi questo di te. Nemmeno questo dunque ti ha insegnato costui.

2.4 - Teme Agostino che Vincenzo Vittore abbia guadagnato Pietro al suo errore

O se per caso tu prima della dottrina di costui, che ti rallegri d'aver trovata adesso, pensavi che la natura dell'anima fosse una porzione di Dio, di questo, sì, ignoravi la falsità con terribile pericolo.

E se da costui hai imparato che l'anima non è una porzione di Dio, ringrazia quanto puoi Dio di non essere emigrato dal corpo prima d'averlo imparato.

Ne saresti infatti emigrato da grande eretico e da orrendo bestemmiatore.

In nessun modo tuttavia io potrei pensare di te nemmeno questo: che tu, cattolico come sei e presbitero non immeritevole, ritenessi che la natura dell'anima sia una porzione di Dio.

Perciò confesso alla tua dilezione il mio timore che forse costui ti abbia invece insegnato qualcosa che sia contrario alla fede che avevi.

3.5 - L'errore circa la creazione dell'anima

Come infatti non penso che nella Cattolica tu abbia mai ritenuto che l'anima sia una porzione di Dio, o che in nessun modo la natura dell'anima e di Dio sia la medesima natura, così temo che, se mai, tu abbia aderito all'errore di costui che dice: "Dio non creò l'anima dal nulla, ma essa proviene così da Dio da essere emanata da lui ".

Anche questa parola infatti egli ha messa tra le altre con le quali è uscito nella presente questione fuori di strada in un immane precipizio.

Ma se è questo che ti ha insegnato, non voglio che tu lo insegni a me, anzi voglio pure che tu disimpari quello che hai imparato da lui.

Non basta non credere e non dire che l'anima sia una parte di Dio.

Non diciamo nemmeno del Figlio e dello Spirito Santo che siano una parte di Dio e tuttavia diciamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola e medesima natura.

Non basta dunque che non diciamo che l'anima sia una parte di Dio, ma bisogna anche dire che essa e Dio non sono d'una sola e medesima natura.

Costui al riguardo dice sì, giustamente, che " le anime sono stirpe di Dio per munificenza divina e non per natura ", e quindi non le anime di tutti gli uomini, ma le anime dei fedeli: tuttavia è ricaduto di nuovo nell'errore che aveva evitato e ha detto che Dio e l'anima sono della stessa natura.

Non proprio in questi termini, ma con sentenza aperta e manifesta.

Poiché infatti dire che l'anima proviene così da Dio da non averla egli creata né da un'altra natura, né dal nulla, bensì da se stesso, che altro tenta di far accettare se non quello che nega con altre sue parole, cioè che l'anima è della medesima natura di Dio?

Ogni natura appunto o è Dio, che non ha nessuno come autore, o è da Dio perché ha Dio stesso come autore.

Ma la natura, che ha Dio come autore che la fa esistere, o è natura che non è stata fatta o è natura che è stata fatta.

Ora, la natura che non è stata fatta e tuttavia proviene da Dio: o è generata da Dio o procede da Dio.

La natura generata è l'unico Figlio, la natura procedente è lo Spirito Santo, e questa Trinità è d'una sola e medesima natura.

I Tre infatti sono una sola essenza, ed ognuno dei Tre è Dio, e tutti insieme sono un unico Dio, immutabile, eterno, senza nessun inizio di tempo o termine.

La natura invece che è stata fatta si chiama creatura, mentre si dice Creatore Dio, cioè la Trinità.

Si dice dunque che la creatura proviene così da Dio da non essere stata fatta di natura divina.

La ragione infatti per cui si dice che la creatura proviene da Dio è che ha Dio come autore che la fa esistere, non così da esser nata da Dio o da esser proceduta da Dio, ma così da esser stata creata, costituita, fatta da Dio: per alcune creature senza partire da nessun'altra natura, cioè partendo assolutamente dal nulla; per esempio il cielo e la terra o meglio tutta la materia dell'intera mole dell'universo creata insieme al mondo; per altre creature partendo da un'altra natura già creata precedentemente e già chiamata all'esistenza: per esempio l'uomo maschio dal fango, la donna dall'uomo maschio, l'uomo in genere dai suoi genitori.

Tuttavia ogni creatura proviene da Dio, ma creante o dal nulla o da qualcosa, non generante o producente dalla sua propria natura.

3.6 - Dio non ha fatto l'anima dalla sua propria essenza

Io parlo così con un cattolico, più per ricordare che per insegnare.

Non penso che siano verità nuove per te, o verità già udite, sì, ma tuttavia non credute, e piuttosto, com'è mia convinzione, tu leggi la mia lettera con tale attenzione da riconoscere in essa anche la tua fede, che è comune a noi nella Chiesa cattolica come dono del Signore.

Se dunque, come avevo cominciato a dire, parlo così con un cattolico, da dove pensi tu, ti prego di dirmi, che venga l'anima, non dico quella di ciascuno di noi, ma la prima data al primo uomo?

Se dal nulla, e tuttavia fatta ed ispirata da Dio, credi tu quello che credo io.

Se al contrario pensi che venga da una qualche altra creatura, la quale abbia servito quasi da materia all'arte di Dio per fare l'anima, come la polvere per fare Adamo, o la costola di lui per fare Eva, o le acque per fare i pesci e gli uccelli, o la terra per fare tutte le specie d'animali terrestri, ( Gen 2, 7.22 ) questo non è cattolico, non è vero.

Se poi pensi, e ciò non sia mai, che Dio non abbia fatto o non faccia le anime né dal nulla né da un'altra qualsiasi natura, ma da se stesso, cioè dalla sua propria natura, questo, sì, l'hai imparato da lui, ma non mi rallegro con te, né mi compiaccio: sei uscito ben lontano dall'orbita della fede cattolica con Vincenzo Vittore.

Più tollerabile sarebbe, per quanto sia falso, ma più tollerabile sarebbe, come dicevo, che tu credessi l'anima creata da Dio per derivazione da qualche altra creatura già fatta da Dio, piuttosto che dalla natura di Dio, per non riportare con orrenda bestemmia alla natura di Dio il fatto che essa è mutevole, il fatto che pecca, il fatto che diventa empia, il fatto pure che, se continuerà ad essere empia fino alla fine, sarà condannata senza fine.

Butta via, o fratello, butta via, ti prego, quest'opinione, che non è davvero la nostra fede, ma un errore d'esecranda empietà, perché non ti accada, uomo grave sedotto da un giovane e presbitero da un laico, ritenendo che questa sia la fede cattolica, d'esser radiato dal numero dei fedeli: e il Signore tenga lontana da te questa sventura!

Perché, con te non ci si deve comportare come con Vincenzo Vittore, né cotesto tuo errore tanto orrendo è degno in te della stessa indulgenza che in quel giovane, sebbene sia da lui che è passato in te.

Costui è una matricola entrata da poco a curarsi nell'ovile cattolico, tu appartieni all'albo dei pastori cattolici.

Non vogliamo che ad una pecorella ulcerosa, venuta dall'errore al gregge del Signore, si lasci, prima d'esser medicata, rovinare un pastore con pestifera infezione.

3.7 - Pietro ha il dovere di scrivere per chiarire la sua posizione

Se dici: - Non è stato lui a convincermi di ciò, né ho aderito in nessun modo a cotesto suo errore, sedotto dalla soavità di uno stile eloquente ed elegante quanto si voglia -, io ne rendo grandi grazie a Dio.

Ma chiedo che cosa, dopo averlo baciato in testa, come si va dicendo, te l'abbia fatto ringraziare d'aver imparato da lui quello che ignoravi fino al momento d'ascoltare la sua dissertazione, o, se è falso che tu abbia fatto e detto quanto ti si attribuisce, ti chiedo che ti degni di notificarci proprio questo, perché con la tua lettera si faccia tacere il vano rumore.

Se poi è vero che con quel gesto d'umiltà ti sei mostrato riconoscente a lui, sono pronto a godere, se egli non ti ha insegnato quell'errore che più sopra ti ho dimostrato quanto sia da detestare e da evitare.

4 - E non ti riprendo d'essere stato grato con tanta umiltà ad un maestro, se da lui, benché in qualche punto discorresse in modo diverso dalla fede, tu hai imparato qualcosa di vero e di utile, ma domando che cosa sia: forse che l'anima non è spirito, ma corpo?

Non reputo certamente che sia un gran danno di dottrina cristiana ignorare simili cose, e, se si discute con sottigliezza delle specie dei corpi, ciò che s'impara ha un costo di difficoltà che è superiore alla sua utilità.

Ma se il Signore vorrà che io, come desidero, scriva a quello stesso giovane, forse la tua dilezione imparerà in quel mio scritto come Vincenzo Vittore non ti abbia insegnato nemmeno questo: se tuttavia è questo che ti rallegri d'aver imparato da lui.

Ma chiedo che non ti rincresca di rispondere, perché non si tratti eventualmente di qualche altra verità, che risulti utile o che appartenga alla fede necessaria.

4.8 - Gl'insegnamenti della parabola dell'epulone e del povero

È forse questo finalmente quello che tu stesso ignoravi, quello che costui crede rettissimamente e molto salutarmente, cioè che le anime sono giudicate appena escono dai corpi, prima d'andare a quel giudizio dal quale devono essere giudicate, quando saranno già stati restituiti i corpi, per essere tormentate o glorificate nella stessa carne con la quale vissero qui?

Chi potrebbe essere stato tanto sordo per ostinazione mentale contro il Vangelo da non sentirsi dire queste verità o da non credere ad esse, pur sentendosele dire, in quel povero che fu portato dopo la morte nel seno di Abramo e in quel ricco di cui si descrive il supplizio nell'inferno? ( Lc 16,19-31 )

Ma ti ha forse insegnato costui in qual modo l'anima senza il suo corpo poteva desiderare una stilla d'acqua dal dito del povero, quando lo stesso Vincenzo Vittore ha confessato che l'anima non cerca gli alimenti materiali se non per rincalzare le rovine del suo corpo corruttibile?

Sono queste le sue parole: " Forse perché l'anima cerca le vivande o le bevande, noi crediamo che il pasto vada a finire ad essa? ".

E poco dopo: " Da qui si capisce e si dimostra che il sostentamento dei cibi non riguarda l'anima, ma il corpo.

A questo si provvede, oltre il cibo e per la medesima ragione, anche il vestito: la somministrazione degli alimenti appare necessaria al medesimo corpo cui competono pure i vestiti".

Illustra questa sua sentenza, già esposta con sufficiente chiarezza, anche con una similitudine, dicendo: " In che modo provvede un qualsiasi inquilino alla propria abitazione?

Se sente tremare il tetto o vacillare le pareti o cedere le fondamenta, non cerca forse puntelli, non ammassa cataste per poter sorreggere con ogni cura e premura quella casa che minaccia di rovinare su se stessa, perché il pericolo dell'abitazione non sia una minaccia pendente sull'abitatore?

Così devi dunque riconoscere" conclude costui " che anche l'anima desidera il cibo per la sua carne e che dalla carne le sorge senza dubbio lo stesso desiderio ".

Questi appunto i pensieri che quel giovane espone con parole luminosissime e abbondantissime, asserendo che gli alimenti non si cercano per l'anima, ma per il corpo, certo grazie alla premura dell'anima, ma perché abitatrice della casa e puntellatrice con provvida refezione delle imminenti rovine della sua carne moribonda.

E allora spieghi costui che cosa di rovinoso desiderava di puntellare l'anima di quel ricco, che non aveva più il suo corpo mortale, e ugualmente soffriva la sete, e desiderava una gocciola d'acqua dal dito di quel povero.

Ha dove esercitarsi cotesto maestro dei vecchi: cerchi e, se gli sarà possibile, troverà per quale sua necessità quell'anima mendicasse negli inferi l'umido alimento, pur in misura tanto esigua, sebbene fosse già fuori dalla sua rovinosa abitazione.

5.9 - La stranezza dell'insegnamento di Vincenzo Vittore

Il fatto che costui creda nell'incorporeità di Dio mi porta a congratularmi con lui che per questo almeno si distacchi dai deliramenti di Tertulliano.

Questi ha sostenuto appunto che, come l'anima, anche Dio è corporeo.5

Ma Vincenzo Vittore, pur dissentendo da Tertulliano su questo punto, tenta di persuadere i lettori di affermazioni ancora più strabilianti: cioè che l'incorporeo Dio non fa dal nulla l'alito corporeo, ma lo esala dalla sua stessa natura.

Oh dottrina degna che ogni età le tenda gli orecchi, degna d'avere per discepoli uomini gravi di anni e perfino presbiteri!

Legga, legga in assemblea quanto ha scritto, inviti alla sua proclamazione persone conosciute e persone sconosciute, dotte e non dotte.

O vecchi, accorrete a gara con i giovani, imparate ciò che ignoravate, udite quello che mai udiste.

Ecco, lo insegna costui: non da qualcosa che esista in qualche modo, né da ciò che non esiste in nessun modo Dio crea l'alito; ma da ciò che Dio è in se stesso, sebbene egli sia incorporeo, ispira un corpo.

Dio stesso dunque muta in corpo la propria natura, prima che essa si muti nel corpo del peccato.

Oppure, costui dice che Dio non muta alcunché della sua natura, quando crea l'alito?

Allora, non lo crea da ciò che Dio è in se stesso, perché tra lui e la sua natura non c'è differenza.

Chi, anche se fosse malatissimo di mente, lo vorrebbe pensare?

Se dice che Dio crea l'alito traendolo così dalla propria natura da rimanere integro in se stesso, ciò non fa questione: il problema è invece se ciò che non proviene da un'altra creatura, né dal nulla, ma da Dio, non sia proprio lo stesso che è Dio, cioè della sua medesima natura ed essenza.

Dio infatti rimane integro anche dopo aver generato il Figlio, ma poiché l'ha generato da se stesso, non ha generato altro che ciò che egli è in se stesso.

A parte infatti che il Verbo ha assunto l'uomo e si è fatto carne, ( Gv 1,14 ) il Verbo Figlio di Dio è, sì, un altro distinto dal Padre, ma non altro: ossia è un'altra persona, ma non una natura diversa.

E quale è la ragione di ciò se non perché non è stato creato per derivazione da un'altra creatura o dal nulla, ma è nato da Dio stesso, non perché fosse migliore di quello che era, ma semplicemente perché fosse e perché fosse ciò che è il Padre dal quale è nato, ossia d'una sola e medesima natura, uguale, coeterno, pari a lui in tutto, ugualmente immutabile ugualmente invisibile, ugualmente incorporeo, ugualmente Dio, assolutamente tutto ciò che è il Padre, tranne che egli è il Figlio e non il Padre?

Se invece [ dice che ] Dio, pur rimanendo integro in se stesso, crea, non dal nulla né da un'altra creatura ma da se stesso, qualcosa diverso da sé e a sé inferiore, e un corpo emani così dall'incorporeo Dio, questo è un errore che mai un cuore cattolico dovrebbe bere: non è infatti una polla della fonte divina, ma una balla del cuore umano.

6.10 - Altro è imparare, altro è credere di avere imparato

Quanto maldestramente poi costui si affanni a sottrarre l'anima che reputa corporea alle sofferenze del corpo, discutendo sull'infanzia dell'anima, sui paralitici e sugli impedimenti dei sensi dell'anima, sull'amputazione delle membra del corpo che non taglia l'anima, non lo devo trattare con te, ma piuttosto con lui: è lui appunto che deve sudare per rendere conto delle sue affermazioni, perché non sembri che della superficialità d'un giovane vogliamo affaticare la gravità d'un vecchio.

Che poi costui non faccia provenire dal seme dell'anima le somiglianze dei costumi che si riscontrano nei figli è un modo di sentire senza dubbio coerente per tutti coloro che negano la propaggine delle anime, ma nemmeno coloro che la sostengono fanno leva su questo particolare per la loro asserzione.

Vedono infatti anche dei figli differenti dai genitori nei costumi e giudicano che ciò dipenda dal fatto che anche una medesima persona ha spesso altri costumi diversi dai suoi costumi, non certo per aver ricevuto un'altra anima, ma per aver mutato la sua vita in meglio o in peggio.

Così ammettono la possibilità che un'anima non abbia i medesimi costumi dell'anima da cui è propagata, dal momento che lei stessa, pur essendo la medesima, può avere costumi diversi in tempi diversi.

Perciò se è questo che credi d'aver imparato da lui, cioè che l'anima non viene per trasmissione, volesse il cielo che tu in questo avessi imparato la verità: io con immenso piacere mi affiderei a te come mio maestro.

Ma altro è imparare e altro è credere d'aver imparato.

Se dunque credi d'aver imparato quello che non sai ancora, vuol dire che non hai imparato seriamente, ma hai creduto temerariamente ciò che hai ascoltato graditamente e con la loro soavità le parole t'hanno iniettato nell'animo la loro falsità.

Non ti dico questo perché io mi senta già certo della falsità dell'opinione che le anime vengano ispirate nuove piuttosto che tratte dalla radice dei genitori: ciò è precisamente quello che stimo si debba chiedere ancora a coloro che sono in grado d'insegnarlo; ma te lo dico perché costui ha trattato di questo problema non solo in modo da non risolvere una questione che è ancora in discussione, ma anche in modo da sfornare tali opinioni che sulla loro falsità non c'è ombra di dubbio.

Volendo infatti provare opinioni dubbie ha osato fare affermazioni che senza nessun dubbio sono da riprovare.

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5 Aug., Ep. ad Optatum 4, 14