Il castigo e il perdono dei peccati e il battesimo dei bambini |
Sebbene ci troviamo in mezzo al bollire di grandi preoccupazioni e fastidi a causa dei peccatori che abbandonano la legge di Dio e a causa anche degli stessi nostri peccati, tuttavia, carissimo Marcellino, non ho voluto e, per dire la verità, non ho potuto stare ancora più a lungo in debito con la tua premura che ti rende a me particolarmente soave e dolce.
Infatti mi ha spinto sia la stessa carità, per la quale nell'Uno che non muta noi siamo già una cosa sola, benché da mutare in meglio, sia il timore d'offendere in te Dio che ti ha dato tale desiderio, servendo il quale io servirò lui che te l'ha dato.
Questi sentimenti mi hanno spinto, indotto, tratto a risolvere, secondo le mie modestissime capacità, le questioni da te notificatemi per lettera, con un assillo che ha vinto nel mio animo sugli altri per tutto il tempo necessario a portare a termine qualcosa di valido che dimostrasse come ho servito con obbedienza, anche se non con sufficienza, la buona volontà di te e di quanti hanno a cuore questi problemi.
Coloro che dicono che "Adamo fu creato in tale stato che sarebbe morto anche senza il merito del peccato, non in pena di una colpa, ma per necessità di natura", devono riferire non alla morte del corpo, ma alla morte dell'anima, che muore nello stesso atto di peccare, le parole della Legge: Quando ne mangerete, certamente morirete. ( Gen 2,17 )
Di tale morte il Signore denominò morti gli infedeli, dicendo di essi: Lascia i morti seppellire i loro morti. ( Mt 8,22 )
Ma allora che cosa risponderanno a leggere che Dio nel rimproverare e condannare il primo uomo proprio dopo il peccato gli disse: Tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto? ( Gen 3,19 )
Infatti non quanto all'anima, ma, com'è evidente, quanto al corpo era stato tratto dalla terra e con la morte dello stesso corpo sarebbe tornato alla terra.
Tuttavia, sebbene fosse terra secondo il corpo e portasse il corpo animale con il quale era stato creato, Adamo, se non avesse peccato, sarebbe stato trasformato in corpo spirituale e sarebbe passato senza la prova della morte a quella incorruttibilità che è promessa a quanti sono credenti e santi.
E il desiderio di questa immortalità non solo sentiamo da noi stessi d'averlo dentro di noi, ma lo conosciamo pure attraverso la testimonianza dell'Apostolo che dice: Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: a condizione però di essere trovati vestiti, non nudi.
In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. ( 2 Cor 5,2-4 )
Pertanto Adamo, se non avesse peccato, non avrebbe dovuto essere spogliato del suo corpo, ma sopravvestito d'immortalità e incorruttibilità, perché ciò che era mortale fosse assorbito dalla vita, cioè Adamo passasse da un corpo animale ad un corpo spirituale.
Non ci sarebbe stato in realtà da temere che, vivendo a lungo quaggiù in un corpo animale, fosse gravato dalla vecchiaia e giungesse un poco alla volta alla morte per senilità.
Se Dio infatti concesse alle vesti e alle calzature degli israeliti di non logorarsi in tanti anni, ( Dt 29,5 ) che ci sarebbe di strano che la sua potenza concedesse all'uomo in premio della sua sottomissione che, pur avendo un corpo animale, cioè mortale, avesse in esso una tale costituzione che gli consentisse d'essere annoso senza decadenza, destinato a passare, quando Dio lo volesse, dalla mortalità all'immortalità saltando la morte?
Come infatti la sola mancanza di necessità che questa nostra carne di adesso sia vulnerata non la fa invulnerabile, cosi la sola mancanza per la carne di allora della necessità di morire non la faceva immortale.
Tale condizione credo sia stata concessa in un corpo ancora animale e mortale a coloro che sono stati portati via dalla terra senza morire.
Enoch ed Elia infatti in cosi lungo tempo non hanno subito il decadimento della vecchiaia.
Né tuttavia credo che essi siano già stati cambiati nella condizione del corpo spirituale, quale è promessa in quella risurrezione che era avvenuta per prima nel Signore.
Al massimo forse essi non hanno bisogno nemmeno di questi cibi che si consumano per ristoro, ma da quando furono trasferiti vivono cosi da avere la medesima vigoria di quei quaranta giorni nei quali Elia senza mangiare visse di un orcio d'acqua e di una focaccia di pane. ( 1 Re 19,1-8; 1 Sam 19,6-8 )
Oppure, se hanno bisogno anche di questi sostentamenti, si cibano forse in paradiso in modo simile ad Adamo prima che meritasse d'uscirne per il peccato.
A mio avviso infatti gli davano nutrimento contro il deperimento i frutti degli alberi e vigoria contro la vecchiaia l'albero della vita.
Oltre alle parole con le quali Dio inflisse la punizione: Tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto, ( Gen 3,19 ) parole che non saprei come si possano intendere se non della morte del corpo, ci sono anche altre testimonianze per dimostrare evidentissimamente che il genere umano meritò per il peccato non solo la morte dello spirito, ma anche quella del corpo.
L'Apostolo dice ai Romani: Se il Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo spirito è vita per la giustizia.
E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. ( Rm 8,10-11 )
Credo che non occorra spiegare, ma soltanto leggere una dichiarazione cosi limpida e aperta.
Dice che il corpo è morto, non per la fragilità terrena perché fu fatto con la polvere del suolo, ma per il peccato.
Che vogliamo di più? E accuratissimamente non dice che il corpo è "mortale", ma che è morto.
Prima infatti d'essere trasferito a quell'incorruttibilità che è promessa per il tempo della risurrezione dei santi, il corpo di Adamo poteva essere mortale, sebbene non fosse morituro, come questo nostro corpo può ammalarsi, anche se di fatto non si ammalerà.
Chi ha un corpo che non possa ammalarsi, benché per un qualche incidente venga a morire prima d'ammalarsi?
Cosi anche il corpo di Adamo era già mortale e la sua mortalità sarebbe stata assorbita dalla trasformazione nell'incorruttibilità eterna, se in Adamo fosse perseverata la giustizia, cioè l'obbedienza: ma quello stesso corpo mortale non divenne un corpo morto se non per il peccato.
Poiché invece la trasformazione che ci sarà nella futura risurrezione escluderà in modo assoluto non solo la morte che fu inflitta per il peccato, ma anche la mortalità che il corpo animale aveva prima del peccato, Paolo non dice: "Dio che risuscitò dai morti Gesù Cristo darà la vita anche ai vostri corpi morti", mentre sopra aveva detto che il corpo è morto, ma dice darà la vita anche ai vostri corpi mortali, perché cesseranno sia di essere morti, sia di essere mortali, quando il corpo animale risorgerà come corpo spirituale e questo corpo mortale si vestirà d'immortalità ( 1 Cor 15, 44.53 ) e ciò che è mortale sarà assorbito dalla vita. ( 2 Cor 5,4 )
Sarebbe strano se cercassimo qualcosa di più limpido di questa verità manifesta.
A meno che non si voglia accogliere in contrasto con tanta chiarezza l'interpretazione che intende qui la morte del corpo nel senso in cui è detto: Mortificate le vostre membra che sono sulla terra. ( Col 3,5 )
Ma secondo questo testo il corpo viene mortificato per la giustizia, non per il peccato: mortifichiamo infatti le nostre membra corporali per operare la giustizia.
Se invece credono di poter intendere il complemento per il peccato non del peccato già commesso, bensi del peccato da evitare, come se dicesse che "Il corpo è morto per non commettere il peccato", allora che significa il complemento per la giustizia dopo le parole lo spirito è vita?
Bastava che dicesse lo spirito è vita e si sarebbe sottinteso anche qui: "Per non commettere il peccato".
Cosi una sola motivazione, quella d'evitare il peccato, varrebbe per ambedue i fatti: per la morte del corpo e per la vita dello spirito.
Ugualmente, se voleva dire per la giustizia intendendo solo per fare la giustizia, poteva riferirsi ad ambedue le cose: alla morte del corpo e alla vita dello spirito.
Invece ha detto che il corpo è morto per il peccato e che lo spirito è vita per la giustizia, attribuendo cause diverse ad effetti diversi: alla morte del corpo il merito del peccato, alla vita dello spirito il merito della giustizia.
Perciò se, com'è indubitabile, lo spirito è vita per la giustizia, cioè per il merito della giustizia, allora l'affermazione che il corpo è morto per il peccato come possiamo o dobbiamo intenderla se non del merito del peccato, per non pervertire e storcere arbitrariamente il senso manifestissimo della Scrittura?
Anche le parole susseguenti portano altra luce.
È vero infatti che esponendo la grazia del tempo presente dice che il corpo è morto per il peccato, in quanto in esso non ancora rinnovato dalla risurrezione persiste il merito del peccato, cioè la necessità della morte, e dice al contrario che lo spirito è vita per la giustizia, in quanto, benché siamo ancora soffocati dal corpo di questa morte, ( Rm 7,24 ) tuttavia, avendo già ricevuto il rinnovamento nel nostro intimo, torniamo a respirare nella speranza della giustizia della fede.
Nondimeno, perché l'umana ignoranza non disperasse della risurrezione del corpo, dice che anche lo stesso corpo che per il merito del peccato aveva chiamato morto nel secolo presente dovrà essere rimesso in vita nel secolo futuro per il merito della giustizia e non solamente in modo che da morto diventi vivo, ma anche che da mortale diventi immortale.
Benché io tema a forza di spiegare una verità evidente di renderla oscura, avverti nondimeno la luce della sentenza dell'Apostolo.
Dice: Se il Cristo è in voi, il corpo è morto per il peccato, ma lo spirito è vita per la giustizia. ( Rm 8,10 )
L'ha detto, perché gli uomini non reputassero di non aver ricevuto dalla grazia del Cristo beneficio alcuno o minimo per il fatto che subiranno necessariamente la morte del corpo.
Devono considerare che il corpo porta, si, ancora il merito del peccato soggiacendo alla condizione della morte, ma ha già cominciato a vivere per la giustizia della fede lo spirito che, pur esso, era stato estinto nell'uomo da una specie di morte d'infedeltà.
Dice: "Non vi dovete dunque credere poco beneficati, se per la presenza del Cristo in voi il vostro spirito vive già per la giustizia in un corpo morto per il peccato, né dovete disperare per questo della vita del corpo stesso.
Se infatti lo Spirito di colui che risuscitò il Cristo dai morti abita in voi, colui che risuscitò il Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi". ( Rm 8,11 )
Perché su tanta luce si sparge ancora il fumo della discordia?
L'Apostolo grida: "Il corpo è morto in voi per il peccato, ma anche i vostri corpi mortali verranno risuscitati per la giustizia, per la quale già fin da ora lo spirito è vita.
E tutto si compirà per mezzo della grazia del Cristo, ossia per mezzo del suo Spirito che abita in voi".
E si borbotta ancora! Dice pure in quale modo avverrà che la vita uccidendo la morte la converta in vita.
Scrive: Cosi dunque, fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete. ( Rm 8,12-13 )
Che significa se non questo: "Se vivrete secondo la morte, tutto morirà; se invece vivendo secondo la vita ucciderete la morte, tutto vivrà"?
Cosi pure le parole: A causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti, ( 1 Cor 15,21 ) come si possono intendere se non della morte del corpo, atteso che nel dire questo parlava della risurrezione del corpo e intendeva provarla con la volontà più viva e tenace?
Ciò che dice ai Corinzi: A causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti, e come tutti muoiono in Adamo, cosi tutti riceveranno la vita nel Cristo, ( 1 Cor 15,21-22 ) cos'è se non ciò che dice pure ai Romani: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte? ( Rm 5,12 )
Costoro vogliono che s'intenda in questa morte non quella del corpo, ma quella dell'anima; come se altro significassero le parole scritte ai Corinzi: A causa di un uomo venne la morte, dove non è consentito ad essi intendere la morte dell'anima, perché si trattava della risurrezione del corpo, che è contraria alla morte del corpo.
Ivi perciò ha ricordato solo la morte causata dall'uomo e non anche il peccato, perché non si trattava della giustizia che è contraria al peccato, ma della risurrezione del corpo che è contraria alla morte del corpo.
Quanto al testo dove l'Apostolo dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, ( Rm 5,12 ) mi hai informato nella tua lettera che costoro tentano di storcerlo ad una nuova interpretazione, ma non mi hai detto quale sia.
Per quanto ho appreso da altre fonti, questa è la loro sentenza: "primo, che la morte ivi ricordata non è quella del corpo, perché negano che Adamo l'abbia meritata peccando, bensi quella dell'anima che muore nello stesso atto di peccare; secondo, che lo stesso peccato non è passato dal primo uomo negli altri uomini per propagazione, ma per imitazione".
La ragione infatti per la quale non vogliono credere che anche nei bambini si scioglie con il battesimo il peccato originale è che sostengono che nei nascenti non esiste assolutamente nessun peccato.
Però, se l'Apostolo non avesse voluto alludere al peccato che è entrato in questo mondo con la propagazione, ma con l'imitazione, non ne avrebbe fatto principe Adamo, bensi il diavolo, di cui sta scritto: Il diavolo è peccatore fin dal principio. ( 1 Gv 3,8 )
Di lui si legge pure nel libro della Sapienza: Per invidia del diavolo entrò la morte nel mondo. ( Sap 2,24 )
Poiché infatti questa morte venne dal diavolo negli uomini, non in quanto siano stati generati da lui, ma in quanto hanno imitato lui, aggiunge subito: Lo imitano coloro che sono dalla sua parte.
L'Apostolo perciò, volendo riferirsi a quel peccato e a quella morte che da uno passarono in tutti mediante la propagazione, ne ha posto qual principe quegli da cui ha preso l'avvio la propagazione del genere umano.
Certamente imitano Adamo quanti trasgrediscono per disobbedienza un comandamento di Dio.
Ma altro è il rapporto dell'esempio per quelli che peccano volontariamente, altro è il rapporto dell'origine per quelli che nascono con il peccato.
Anche i santi del Cristo imitano il Cristo nel seguire la giustizia.
Tanto che il medesimo Apostolo dice: Fatevi miei imitatori come io lo sono del Cristo. ( 1 Cor 11,1 )
Ma oltre a questa imitazione c'è la sua grazia che opera anche intrinsecamente la nostra illuminazione e giustificazione con quell'opera di cui il medesimo predicatore della grazia dice: Né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. ( 1 Cor 3,7 )
Infatti con questa grazia inserisce nel proprio corpo all'atto del battesimo anche i bambini che certamente non sono capaci d'imitare alcuno.
Come dunque colui nel quale tutti vengono vivificati, oltre ad offrirsi modello di giustizia per coloro che lo vogliono imitare, dona pure ai fedeli l'occultissima grazia del suo Spirito e la infonde invisibilmente anche nei bambini, cosi colui nel quale tutti muoiono, oltre ad essere esempio d'imitazione per coloro che trasgrediscono volontariamente un precetto del Signore, ha pure corrotto in sé per la marcia segreta della sua concupiscenza carnale tutti coloro che verranno dalla sua stirpe.
Proprio per questo e non per altro l'Apostolo dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e cosi ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui. ( Rm 5,12 )
Se fossi io a dirlo, costoro si opporrebbero e strillerebbero che non è retto il mio dire, che non è retto il mio sentire.
Ma da chiunque altro fosse detto ciò che dice l'Apostolo, non potrebbe avere per loro un significato diverso da quello che non vogliono intendere nell'Apostolo.
Però poiché sono parole dell'Apostolo, alla cui autorità e dottrina essi soccombono, rinfacciano a noi ottusità di mente e tentano di storcere a non so qual altro senso quelle parole che sono state dette con tanta nitidità.
L'Apostolo dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte.
Questo è proprio della propagazione e non dell'imitazione; perché, se dell'imitazione, direbbe: "A causa del diavolo".
Ora, nessuno mette in dubbio che parli del primo uomo chiamato Adamo.
E cosi, dice, ha raggiunto tutti gli uomini.
Le parole che seguono: Tutti hanno peccato in lui con quanta circospezione, proprietà, univocità sono state dette!
Se infatti intendi che tutti hanno peccato nel peccato che a causa di uno solo è entrato nel mondo, è certamente chiaro che altra cosa sono i peccati propri di ciascuno nei quali peccano soltanto coloro che li commettono, altra cosa è questo peccato unico in cui hanno peccato tutti quando tutti erano quell'unico uomo.
Se poi nel complemento in lui non s'intende il peccato, ma quell'unico uomo nel quale hanno peccato tutti, che cosa c'è di più evidente anche di questa evidenza?
Proprio cosi. Leggiamo che quanti credono nel Cristo, vengono giustificati in lui mediante una segreta comunicazione e infusione di grazia spirituale, per cui chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito, ( 1 Cor 6,17 ) a parte l'imitazione del Signore che i suoi santi praticano ugualmente.
Mi si legga qualcosa di simile sul conto di quelli che si sono fatti imitatori dei suoi santi: se di qualcuno di essi si dica che è stato giustificato in Paolo o in Pietro o in chiunque di quanti eccellono nel popolo di Dio per grandezza d'autorità.
Solo in Abramo si dice che siamo benedetti, come gli fu promesso: Saranno benedette in te tutte le genti, ( Gen 12,3 ) in ragione del Cristo che è suo seme secondo la carne.
E lo si dice più chiaramente con quest'altre parole: Saranno benedette nel tuo seme tutte le genti. ( Gen 22,18 )
Non so invece se possa trovarsi detto da parole divine che qualcuno ha peccato o pecca nel diavolo, sebbene lo imitino tutti i malvagi e gli empi.
Nondimeno, pur avendo l'Apostolo detto del primo uomo: Tutti hanno peccato in lui, si continua a discutere della propaggine del peccato e si oppone non so qual nebbiosa imitazione.
Nota bene anche le parole che seguono.
Dopo aver detto: Tutti hanno peccato in lui, aggiunge: Fino alla legge infatti c'era peccato nel mondo. ( Rm 5,13 )
Cioè, nemmeno la legge poté togliere il peccato, essendo sopraggiunta essa a far sovrabbondare il peccato, ( Rm 5,20 ) sia la legge naturale nella quale chi ha già l'uso di ragione comincia ad aggiungere al peccato originale anche i peccati propri, sia la stessa legge scritta data al popolo per mezzo di Mosè.
Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustizia scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,21-22 )
Ma il peccato non poteva essere imputato quando mancava la legge. ( Rm 5,13 )
Che significa non poteva essere imputato se non: "Si ignorava, non si reputava peccato dagli uomini"?
Non era infatti lo stesso Signore Dio a considerarlo come inesistente, essendo scritto: Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge. ( Rm 2,12 )
Dice: Ma la morte regnò da Adamo fino a Mosè, ( Rm 5,14 ) cioè dal primo uomo fino anche alla stessa legge promulgata divinamente, perché nemmeno essa poté sopprimere il regno della morte.
Per regno della morte intende tale dominio tra gli uomini del reato del peccato da impedire a loro di giungere alla vita eterna che è la vera vita e trarli viceversa anche alla morte seconda che è la pena eterna.
Questo regno della morte lo distrugge in ciascun uomo soltanto la grazia del Salvatore.
Essa operò anche in tutti gli antichi santi, che, sebbene non fosse venuto ancora il Cristo nella carne, appartenevano tuttavia alla sua grazia adiuvante, non alla lettera della legge, che poteva solo comandare e non aiutare.
Nel Vecchio Testamento infatti, secondo una giustissima amministrazione dei tempi, si celava quello che ora si rivela nel Nuovo.
Dunque regnò la morte da Adamo fino a Mosè su tutti coloro che dalla grazia del Cristo non furono aiutati cosi che in loro fosse distrutto il regno della morte.
Dunque su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, su coloro cioè che non peccarono di propria volontà come Adamo, ma contrassero da lui il peccato originale.
Egli è la forma del futuro ( Rm 5,14 ): perché in Adamo fu stabilito il tipo di condanna per i suoi posteri che si propagassero da lui, di modo che da uno nascessero tutti per la condanna, dalla quale non libera se non la grazia del Salvatore.
So bene che molti codici latini hanno quest'altra lezione: Regnò la morte da Adamo fino a Mosè su coloro che peccarono a somiglianza della prevaricazione di Adamo.
Anche questa lezione da coloro che leggono in tal modo viene riferita al medesimo senso: intendono che quanti peccarono in Adamo peccarono a somiglianza della sua prevaricazione in quanto meritarono d'esser creati simili a lui, come uomini da uomo, cosi peccatori da peccatore, morituri da morituro, condannati da condannato.
Invece i codici greci, dai quali deriva la versione latina, hanno tutti o quasi il primo testo da me riferito.
Scrive: Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono in tanti, sui tanti si sono riversati molto più abbondantemente la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo. ( Rm 5,15 )
Non dice: "Su tanti di più", cioè su molti più uomini, perché quelli che vengono giustificati non sono più numerosi di quelli che vengono condannati; ma dice: Si sono riversati molto più abbondantemente.
Adamo cioè ci ha generati rei per un solo suo peccato, il Cristo viceversa con la sua grazia ha sciolto e condonato anche i peccati che gli uomini hanno aggiunto di propria volontà al peccato originale in cui sono nati.
Lo dice più esplicitamente nel seguito.
Ma osserva più attentamente che tanti, dice, sono morti per il peccato di un solo.
Perché mai per il peccato di quel solo uomo e non al contrario per i loro peccati propri, se in questo passo dobbiamo intendere l'imitazione e non la propagazione?
Nota poi quello che segue: E non è accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo: il giudizio parti da uno solo per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione. ( Rm 5,16 )
Ora, dicano dove in queste parole abbia luogo quell'imitazione.
Scrive: Da uno solo per la condanna. Da che uno solo se non da un solo peccato?
E infatti lo spiega soggiungendo: Il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione.
Perché dunque il giudizio di condanna per un solo peccato e la grazia invece della giustificazione da molti peccati?
Posto che non esista il peccato originale, perché non è detto che non solo la grazia conduce gli uomini alla giustificazione da molti peccati, ma che anche il giudizio li conduce alla condanna per molti peccati?
Invece si dice che la grazia condona molti peccati, ma non che anche il giudizio condanna molti peccati.
Nell'interpretazione infine che vengono condotti alla condanna per un solo peccato in quanto tutti i peccati che si condannano sono stati commessi per imitazione di quell'unico, la stessa ragione vale perché anche la loro giustificazione s'intenda connessa con un solo peccato in quanto tutti i peccati che vengono rimessi ai giustificati sono stati commessi per imitazione di quell'unico.
Ma si può dire che l'Apostolo non arrivava a capire tutto questo, quando diceva: Il giudizio parti da uno solo per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione?
Siamo viceversa noi che dobbiamo capire l'Apostolo e vedere che in tanto il giudizio di condanna è stato messo in dipendenza da un solo peccato in quanto alla condanna basterebbe il solo peccato originale, anche se negli uomini non ce ne fossero altri.
Sebbene infatti sia più grave la condanna di coloro che alla colpa originale aggiungono anche le proprie e sia tanto più grave per ciascuno quanto più gravemente ha peccato, tuttavia anche quel solo peccato che si è contratto originalmente non esclude soltanto dal regno di Dio, dove anche costoro confessano che non possono entrare i bambini morti senza aver ricevuto la grazia del Cristo, ma priva pure della salvezza e della vita eterna, che non può essere al di fuori del regno di Dio, dove introduce solamente la comunione con il Cristo.
Pertanto da Adamo nel quale tutti peccammo non abbiamo tratto tutti i nostri peccati, ma solo quello originale; viceversa dal Cristo nel quale veniamo tutti giustificati non riceviamo solo la remissione del peccato originale, bensi anche di tutti gli altri che abbiamo aggiunti a quello.
Perciò non è accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo.
Il giudizio infatti può condurre alla condanna anche per un solo peccato se non viene rimesso, cioè per il peccato originale; la grazia al contrario conduce alla giustificazione rimettendo molti peccati, cioè non solo quello originale, ma anche tutti gli altri.
Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. ( Rm 5,17 )
Perché mai per la caduta di uno solo ha regnato la morte a causa di quel solo uomo se non perché gli uomini erano detenuti dal vincolo della morte in quell'unico uomo nel quale peccarono tutti, anche senza aggiungere peccati propri?
Altrimenti la morte non avrebbe regnato a causa di uno solo per la sola sua colpa, ma per molte colpe di molti a causa di ciascun peccatore.
Se infatti la ragione per cui tutti gli altri uomini sono morti per il peccato di un altro uomo fosse che l'hanno imitato seguendo nel peccare il suo esempio di battistrada, tanto più allora mori Adamo per il peccato d'un altro, cioè del diavolo, che l'ha preceduto cosi nel peccare da persuaderlo anche direttamente a peccare.
Mentre viceversa Adamo non suggeri nulla ai suoi imitatori, e molti che vengono detti suoi imitatori o non hanno sentito dire o non credono affatto che egli sia esistito e abbia commesso tale peccato.
Quanto più giustamente dunque, come ho già detto, l'Apostolo avrebbe posto il diavolo qual principe da cui solo far discendere in tutti il peccato e la morte, se in questo passo non avesse voluto riferirsi alla propagazione, ma all'imitazione!
Sarebbe infatti molto più ragionevole chiamare Adamo imitatore del diavolo, da cui è stato persuaso al peccato, se fosse vero che uno può imitare anche chi non l'ha istigato a nulla o addirittura chi non è affatto conosciuto da lui.
Che significano le parole: Quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia?
Significano che la grazia della remissione non viene data solo al peccato nel quale hanno peccato tutti, ma anche ai peccati che si sono aggiunti e significano che a questi peccatori viene data una giustizia cosi grande che, mentre Adamo consenti al diavolo che lo persuase a peccare, questi non cedono nemmeno a chi li costringe.
E che senso hanno le parole: Molto di più regneranno nella vita, dal momento che il regno della morte trae alle pene eterne molte più persone?
C'è solo da intendere le stesse persone nell'uno e nell'altro regno: quelle che da Adamo passano al Cristo, cioè dalla morte alla vita, regneranno senza fine nella vita eterna, più di quanto su di esse la morte abbia regnato temporaneamente e a termine.
Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, cosi anche per la giustificazione di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. ( Rm 5,18 )
Questa colpa di uno solo, se si intende l'imitazione, non sarà se non quella del diavolo.
Ma poiché è evidente che si parla di Adamo e non del diavolo, resta da intendere non l'imitazione, bensi la propagazione del peccato.
14 - Lo esplicita di più infatti anche la parola che adopera nei riguardi del Cristo dicendo: Per la giustificazione di uno solo, meglio che se dicesse: "Per la giustizia di uno solo".
Parla appunto di quell'opera di giustificazione con la quale il Cristo giustifica il peccatore e che non propone alla nostra imitazione, essendo l'opera di giustificazione possibile al Cristo soltanto.
L'Apostolo infatti ha potuto dire: Fatevi miei imitatori come io lo sono del Cristo, ( 1 Cor 11,1 ) ma non direbbe mai: "Siate giustificati da me come io sono stato giustificato dal Cristo".
Ci possono essere, ci sono e ci furono molti uomini giusti degni d'essere imitati, ma nessuno all'infuori del Cristo è giusto e giustificante.
Perciò è scritto: A chi crede in colui che giustifica l'empio la sua fede gli viene accreditata come giustizia. ( Rm 4,5 )
Chiunque pertanto oserà dire: Io ti giustifico, bisognerà che dica altresi: Credi in me.
E nessuno dei santi è stato mai in diritto di dirlo, meno che il Santo dei santi il quale ha detto: Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me, ( Gv 14,1 ) perché, essendo lui stesso che giustifica l'empio, a chi crede in lui che giustifica l'empio la fede sia accreditata come giustizia.
Se infatti l'imitazione da sola fa peccatori per Adamo, perché anche l'imitazione da sola non fa giusti per il Cristo?
L'Apostolo scrive: Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, cosi anche per la giustificazione di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. ( Rm 5,18 )
Conseguentemente per quei due, "uno" ed "uno", non avrebbero dovuto essere scelti Adamo e il Cristo, ma Adamo e Abele.
Poiché, sebbene molti peccatori abbiano preceduto noi nel tempo di questa vita e li abbiano imitati quelli che peccarono posteriormente, tuttavia costoro vogliono che si consideri soltanto Adamo come l'uomo in cui tutti hanno peccato per imitazione, proprio perché fu il primo degli uomini a peccare.
E per questo avrebbe dovuto essere considerato Abele come l'uomo in cui tutti gli uomini vengono giustificati per imitazione, perché fu il primo degli uomini a vivere giusto.
Oppure, se il Cristo è stato proposto all'imitazione come capo dei giusti per una qualche svolta di tempo che concerne l'inizio del Nuovo Testamento, allora il suo traditore Giuda avrebbe dovuto essere proposto come capo dei peccatori.
Al contrario, se in tanto il Cristo è quell'Uno in cui tutti vengono giustificati in quanto a fare giusti non è solo la sua imitazione, ma la grazia che rigenera per mezzo dello Spirito, anche Adamo in tanto è quell'unico in cui tutti peccarono in quanto a fare peccatori non è solo la sua imitazione, ma anche una pena insita nella generazione carnale.
Per questo è stato scritto pure: Tutti e tutti.
Non che tutti quelli che vengono generati per mezzo di Adamo, proprio tutti siano rigenerati per mezzo del Cristo.
Ma l'affermazione è esatta nel senso che come non c'è per nessuno la generazione carnale se non per mezzo di Adamo, cosi non c'è per nessuno la generazione spirituale se non per mezzo del Cristo.
Se infatti alcuni potessero essere generati nella carne senza Adamo e alcuni essere rigenerati nello spirito senza il Cristo, non sarebbe esatto parlare di tutti né in un caso, né nell'altro.
Gli stessi tutti poi li dice molti, perché in certi casi i tutti possono essere pochi.
Molti invece conta la generazione carnale, molti anche quella spirituale, benché non tanti quanti la prima.
Si corrispondono tra loro nel senso che come la generazione carnale comprende tutti gli uomini, cosi la generazione spirituale comprende tutti gli uomini giusti: nessuno infatti è uomo senza la prima, nessuno è uomo giusto senza la seconda, e in ambedue le generazioni sono molti.
Come infatti per la disobbedienza di uno solo molti sono stati costituiti peccatori, cosi anche per l'obbedienza di uno solo molti saranno costituiti giusti. ( Rm 5,19 )
La legge poi sopraggiunse, perché abbondasse il peccato. ( Rm 5,20 )
Questo peccato gli uomini hanno aggiunto di propria volontà al peccato originale senza trarlo da Adamo.
Anch'esso però si scioglie e si sana per mezzo del Cristo: infatti laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia, perché, come il peccato aveva regnato con la morte, compreso il peccato che gli uomini non contrassero da Adamo, ma aggiunsero per loro volontà, cosi regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna. ( Rm 5,21 )
Non tuttavia che esista giustizia al di fuori del Cristo, come esistono peccati al di fuori di Adamo.
Perciò, dopo aver detto: Come il peccato aveva regnato con la morte, non aggiunse: "A causa di uno solo", o "a causa di Adamo", perché sopra aveva parlato anche del peccato che abbondò al sopraggiungere della legge, e che non è di origine, ma piuttosto di propria volontà.
Invece dopo aver detto: Cosi regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, aggiunge: Per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, perché con la generazione da parte della carne si contrae solamente il peccato originale, con la rigenerazione da parte dello Spirito si ha invece la remissione non solo del peccato originale, ma anche dei peccati volontari.
Indice |