Il consenso degli Evangelisti

Indice

Libro I

22.30 - Il pensiero dei pagani sul nostro Dio

Ma vale la pena d'interrogare questi uomini che sono diventati stolti investigando chi sia il nostro Dio?

Alcuni dicono: È Saturno, credo perché gli si santifica il sabato, giorno che essi hanno attribuito a Saturno.

Il loro Varrone - la persona più dotta presso di loro - ha poi ritenuto che il Dio dei Giudei fosse da identificarsi con Giove, opinando non esserci alcuna differenza sotto qualunque nome lo si chiami, purché si intenda la stessa realtà.

Credo che egli fosse atterrito dalla sua altissima maestà.

Difatti i Romani non venerano alcun dio superiore a Giove, come attesta abbastanza chiaramente il loro Campidoglio, e ritengono questo dio come re di tutti gli dèi.

Notando dunque come i Giudei adorassero il Dio sommo, non poté pensare ad altri che a Giove.

Ma tanto coloro che ritengono il Dio dei Giudei essere Saturno quanto coloro che lo ritengono Giove, abbiano la compiacenza di dirci quando Saturno osò proibire che si venerasse un altro dio, compreso Giove che, pur essendo suo figlio, spodestò dal regno lui, suo padre.

Ora se Giove in quanto più potente e vittorioso piacque di più ai suoi devoti, cessino di adorare Saturno vinto e detronizzato!

Ma Giove non vietò che lo si adorasse e lasciò che rimanesse dio colui che egli aveva sconfitto.

23.31 - Storia di Saturno e Giove

Tutte queste - dicono - sono favole che il sapiente dovrà o interpretare o riderci sopra.

Quanto a noi, veneriamo Giove, del quale dice Marone: Di Giove sono piene tutte le cose.1

Egli è in realtà lo spirito che a tutto dà vita. ( Gv 6,64; 1 Cor 15,42; 2 Cor 3,6 )

Aveva ragione quindi anche Varrone quando riteneva che i Giudei adorassero Giove perché per bocca del profeta egli dice: Io riempio il cielo e la terra. ( Ger 23,24 )

Che dire poi di quell'essere che il citato poeta chiama etere? Come l'intendono?

Dice infatti così: Allora il padre onnipotente, l'etere, discese con piogge feconde nel grembo della lieta sposa.2

Ora quest'etere - a quanto essi dicono - non è uno spirito ma un corpo dimorante nelle alte sfere, là dove si stende il cielo al di sopra dell'aria.

O che si debba ammettere che il poeta parli ora secondo i platonici, per cui esso non è corpo ma spirito, ora secondo gli stoici, per i quali Dio è un corpo?

Cosa insomma venerano sul Campidoglio? Se uno spirito, se magari lo stesso cielo corporeo, che sta lì a fare quello scudo di Giove che chiamano Egida?

Tale infatti, a quanto si racconta, sarebbe stata l'origine di questo nome: Giove fu occultato da sua madre e in quel periodo fu nutrito da una capra.

O che i poeti mentiscono anche nel riferire avvenimenti come questo?

O sarà forse anche il Campidoglio dei Romani un'opera di poeti?

Che intende significare questa varietà, non poetica ma addirittura farsesca, per cui secondo i filosofi si vanno a cercare gli dèi nei libri, secondo i poeti li si va ad adorare nei templi?

23.32 Ma fu forse un poeta quell'Evemero che a proposito di Giove, del suo padre Saturno e di Plutone e Nettuno, suoi fratelli, asserisce in maniera quanto mai franca che furono uomini?

In tale ipotesi gli adoratori di questi dèi dovrebbero ringraziare i poeti che inventarono molti fatti non per disonorarli ma per abbellirne la figura.

A proposito poi di questo Evemero Cicerone ricorda che fu tradotto in latino da Ennio, che era un poeta.3

Ma forse che fu un poeta lo stesso Cicerone?

Costui nelle Tuscolane ammonisce il suo interlocutore quasi fosse un iniziato ai misteri, dicendogli: Se mi mettessi a scrutare le cose antiche e volessi ricavare qualcosa da ciò che hanno messo in risalto gli scrittori greci, si riscontrerà che quelle stesse divinità che i popoli considerano dèi degli antenati non sono altro che uomini vissuti in mezzo a noi e trasportati in cielo.

Indaga di quali dèi si mostrino ancora le tombe in Grecia.

Essendo un iniziato, ricorda cosa si insegna nei misteri; e così finalmente troverai quanto sia vasto questo fenomeno.4

Ecco Cicerone confessare con sufficiente chiarezza che gli dèi antecedentemente erano stati uomini; per benevolenza però avanza l'ipotesi che siano giunti in cielo, anche se altrove non dubita di dire pubblicamente che questo onore e questa fama furono ad essi attribuiti dal popolo.

Parlando infatti di Romolo dice: Siamo stati noi che, aumentandogli benevolmente la fama, abbiamo annoverato fra gli dèi immortali questo Romolo, fondatore della nostra città.5

Cosa c'è dunque di sorprendente se gli antichi fecero a Giove, a Saturno e agli altri dèi ciò che i Romani fecero a Romolo e finalmente, in tempi a noi più vicini, vollero fare a Cesare?

A costoro anche Virgilio aggiunse l'adulazione poetica dicendo: Ecco s'è fatto avanti l'astro di Cesare, figlio di Venere.6

Badino quindi a che la verità storica non mostri sulla terra le tombe di questi falsi dèi, mentre la vacuità poetica non dico colloca ma immagina in cielo le loro stelle.

In effetti, non è vero che quella stella sia di Giove e quell'altra di Saturno; furono piuttosto gli uomini, che vollero considerare come dèi quei morti e per questo, dopo la loro morte, imposero i loro nomi alle stelle, create fin dall'inizio del mondo.

Sotto questo profilo verrebbe da chiedersi quale demerito abbia avuto la castità o quale beneficio abbia recato la sfrenatezza nei piaceri, perché Venere avesse la sua stella in mezzo agli astri che girano con il sole e la luna, e Minerva non avesse altrettanto.

23.33 Ammettiamo per un istante che meno attendibile dei poeti sia stato lo stesso accademico Cicerone, il quale nei suoi scritti parla dei sepolcri degli dèi, non presumendo - è vero - esprimere la propria opinione ma riferendo quant'era tramandato in relazione al loro culto.

Forse che anche di Varrone si potrà dire che immagini le cose da poeta o ne parli dubitando come un accademico, quando dice che il culto degli dèi fu composto in conformità con la vita e la morte con cui ciascuno di loro visse o morì quando era in mezzo agli uomini?

O forse che fu poeta o accademico quel sacerdote egiziano di nome Leonte che ad Alessandro il Macedone attribuisce un'origine certo diversa da quella che, stando all'opinione dei greci, avrebbero avuto i loro dèi, ma pur tuttavia sentenzia che questi dèi sono stati degli uomini?

23.34 Ma che interessa a noi tutto questo? Dicano pure che adorando Giove non adorano un uomo morto e che non ad un uomo morto hanno dedicato il Campidoglio ma allo spirito che dà vita a tutte le cose e che riempie il mondo, e interpretino pure come vogliono il suo scudo, fatto di pelle caprina, in onore della sua nutrice.

Cosa dicono di Saturno? Quale Saturno venerano?

Non fu lui quel tale che per primo venne dall'Olimpo fuggendo le armi di Giove è diventato un esule per essergli stati tolti i regni?

Egli educò quella gente ignorante e dispersa sui monti alti dandole delle leggi, e gli stette a cuore che [ il territorio ] si chiamasse Lazio per il fatto che egli s'era nascosto in quelle piagge e vi si era posto al sicuro.7

Non è forse vero che il suo simulacro lo si costruisce col capo coperto per indicare, quanto è possibile, uno che si nasconde?

Non fu forse lui che insegnò ai popoli italici l'agricoltura come indica la falce che reca in mano? Rispondono: No.

Così infatti tu supponi che colui del quale si narrano tali cose sia stato un uomo o un re; quanto a noi, invece, chiamiamo Saturno l'universalità del tempo, come dimostra anche il suo nome greco.

Si chiama infatti Κρόνος, che coll'aggiunta dell'aspirazione è anche il nome del tempo.

In latino lo si chiama Saturno, come per dire uno che è sazio di anni.

Ma a questo punto non so più perché si debba ancora trattare con costoro che, nel tentativo di spiegare in meglio i nomi e i simulacri dei loro dèi, confessano che il loro dio principale, quello che è padre di tutti gli altri, è il tempo.

Cos'altro ci indicano con questo se non che tutti i loro dèi sono entità temporali, dal momento che, com'essi attestano, padre comune di tutti è il tempo?

23.35 Di questo si sono vergognati certi loro filosofi più recenti, i platonici, vissuti ai tempi del Cristianesimo.

Essi hanno tentato di spiegare diversamente il nome di Saturno, dicendo che fu chiamato χρόνον in quanto il termine deriva da sazietà d'intelligenza.

In greco infatti "sazietà" si dice  χόρος mentre l' "intelletto" o la "mente" si dice νοΰς.

Ciò sarebbe confermato dal nome latino, quasi composto da una prima parte latina e da una successiva greca, per cui si chiamerebbe Saturno come per indicare chi è "sazio di νοΰς".

Questi filosofi si accorsero subito che era un'assurdità ritenere figlio del tempo Giove, che credevano o volevano si credesse essere un dio eterno.

È questa un'interpretazione recente che, se l'avessero avuta i loro avi, sarebbe strano come possa essere sfuggita a Cicerone e a Varrone.

Secondo i platonici dunque s'insegna che Giove fu figlio di Saturno come spirito derivante da quella mente suprema, egli che, come loro vogliono, è quasi l'anima del mondo e riempie tutti i corpi celesti e terrestri.

Da ciò quel detto di Marone che ho ricordato poc'anzi: Di Giove sono piene tutte le cose.8

Se fosse in loro potere, forse che questi filosofi, come hanno cambiato l'interpretazione del nome, non cambierebbero anche la superstizione della gente ed eliminerebbero tutti i simulacri, e i Campidogli non li erigerebbero forse a Saturno piuttosto che a Giove?

Essi infatti sostengono che nessun'anima razionale può diventare sapiente se non per la partecipazione di quella suprema e immutabile sapienza; e questo non soltanto per l'anima dei singoli uomini ma anche per l'anima stessa del mondo, che chiamano Giove.

Quanto a noi, non solo concediamo ma anche con tutte le forze predichiamo che esiste una suprema sapienza, quella di Dio, con la partecipazione della quale diventa sapiente ogni anima veramente sapiente. ( Sap 6,13-25; 1 Cor 1,30; Ef 1,17 )

Se poi questo universo corporeo che chiamiamo mondo abbia, per così dire, una sua propria anima o quasi - anima, cioè una vita razionale da cui viene sostenuto come gli altri esseri viventi, è una questione grande e impenetrabile.

Una simile ipotesi non si deve sostenere se non dopo che si è assodato che è vera, né si deve ripudiare se non dopo che si è assodato che è falsa.

Cosa poi interessa all'uomo se la risposta gli dovesse rimanere oscura per sempre?

In effetti nessun'anima diventa sapiente o beata per l'influsso di qualsiasi altra anima, ma solamente se attingerà tali benefici presso l'unica suprema e immutabile sapienza, che è quella di Dio.

23.36 Tuttavia i Romani, che eressero il Campidoglio non a Saturno ma a Giove, oppure le altre nazioni che ritennero di dover adorare in primo luogo Giove collocandolo al di sopra di tutti gli dèi, non la pensarono come questi filosofi.

Costoro, in conformità con la nuova teoria che insegnano, se avessero avuto pubblici poteri, sia pure limitati a tali questioni, avrebbero di preferenza consacrato le loro più alte roccheforti a Saturno e, soprattutto, avrebbero spazzato via i matematici o genetliaci che collocavano Saturno, dai platonici chiamato saggio creatore, tra gli altri astri in qualità di dio malefico.

Questa credenza, contraria a quella dei filosofi, s'è invece talmente affermata nell'animo della gente che non lo vuole neppure nominare e invece di "Saturno" lo chiamano "il Vecchio".

Per questa superstizione basata sul timore i Cartaginesi hanno cambiato perfino il nome di un loro villaggio, chiamandolo più spesso il "Villaggio del Vecchio" che non il "Villaggio di Saturno".

24.37 - Il culto idolatrico e il culto di Dio

È dunque ormai chiaro che cosa venerano gli adoratori di simulacri ( debbono ammetterlo anche loro! ) e che cosa essi tentano di far comparire.

Ma anche a questi ultimi sostenitori di un Saturno così rappresentato, si potrebbe domandare quale sia la loro opinione riguardo al Dio degli Ebrei.

Anch'essi infatti, alla pari degli altri pagani, ammisero con gioia che si debbono venerare tutti gli dèi, pur vergognandosi nella loro superbia di umiliarsi a Cristo per ottenere la remissione dei peccati.

Qual è dunque il loro pensiero circa il Dio d'Israele?

Se non lo venerano, non venerano tutti gli dèi; se invece lo venerano non rispettano le sue prescrizioni in materia di culto, in quanto venerano anche altri dèi, cosa da lui proibita.

Lo proibì infatti per bocca di quei Profeti ad opera dei quali predisse che ai loro simulacri sarebbero accadute quelle sventure che ora si rovesciano su di loro per mano dei cristiani.

A tali Profeti è probabile che furono inviati degli angeli, i quali figuratamente, cioè mediante immagini adeguate tratte dalle cose sensibili, mostrarono alla loro mente che l'unico vero Dio è il Dio creatore dell'universo, a cui tutte le cose sono sottomesse, e indicarono ancora quale fosse il culto con cui voleva essere venerato.

È anche probabile, almeno per alcuni di loro, che lo Spirito Santo ne abbia elevato la mente a tanta altezza che nella stessa visione videro anche ciò che vedono gli angeli.

Sta di fatto che essi prestarono il culto a quel Dio che proibiva di adorare altri dèi e glielo prestarono con fede e religiosità nel regno e nel sacerdozio della loro patria e con riti che significavano la venuta di Cristo, re e sacerdote.

25.38 - Gli dèi falsi accettano la pluralità di culto, il Dio d'Israele no

I pagani, mentre adorano gli dèi delle genti, si rifiutano di adorare quel Dio che non può essere adorato insieme con gli altri.

Ebbene, ci dicano per qual motivo non si trovi nessuno, fra questi dèi, che proibisca di adorarne un altro, mentre assegnano a ciascuno di loro un suo proprio ufficio o mansione e affermano che ciascuno domina sulle cose di sua competenza.

È pertanto ammissibile che Giove non proibisca che si adori Saturno dal momento che egli non è quell'uomo che scacciò dal regno il padre, uomo come lui, ma o il corpo del cielo o lo spirito che riempie il cielo e la terra.

In tale ipotesi non può certo proibire che si adori la mente suprema dalla quale si dice essere emanato.

Così anche Saturno non può proibire che si adori Giove perché effettivamente non fu superato da lui, figlio ribelle - come invece sarebbe stato quel tal Giove, del quale Saturno volendo sfuggire le armi venne in Italia -, ma essendo la prima mente, tratta benevolmente l'anima da sé generata.

Ma almeno Vulcano dovrebbe proibire che si adori Marte adultero con sua moglie, Ercole che si adori Giunone sua persecutrice.

Che cos'è, poi, quel mutuo accordo - veramente sconcio! - per cui nemmeno Diana, vergine casta, proibisce di adorare non dico Venere ma nemmeno Priapo?

In effetti, se un uomo vuol fare e il contadino e il cacciatore, dovrà essere devoto di tutt'e due queste divinità, anche se si vergogna di costruire i loro templi vicini l'uno all'altro.

Ma interpretino pure Diana come la virtù che vogliono, interpretino Priapo come dio della fecondità; si vergognino tuttavia di dire che Giunone si serve d'un tale collaboratore per fecondare le donne.

Comunque, dicano pure quel che loro piace, spieghino ogni cosa secondo la loro sapienza!

Lascino però al Dio d'Israele la facoltà di sconvolgere tutte queste loro argomentazioni.

Questo Dio infatti ha proibito di adorare tutti gli altri dèi, mentre nessuno di questi dèi ha proibito che lui venisse adorato e inoltre, per quanto riguarda i simulacri e le cerimonie, ne ha comandato l'annientamento, e come aveva predetto così ha fatto.

Ciò facendo ha dato prova sufficiente che questi dèi sono falsi e fallaci, lui invece Dio vero e veritiero.

25.39 Volgiamoci ora ai pochi adoratori superstiti di tanta moltitudine di dèi falsi.

Essi - è sorprendente - non vogliono obbedire a quel Dio che, se loro si domanda chi sia, rispondono tirando fuori le più svariate opinioni, tuttavia non osano negare che egli sia Dio.

Se infatti lo negassero, sarebbe facilissimo convincerli attraverso le opere di lui, predette prima e poi realizzate.

Né mi riferisco a quelle sue opere che essi ritengono esser libero crederci o no: come, ad esempio, che egli creò in principio il cielo e la terra e tutte le cose che sono in essi, ( Gen 1,1 ) e nemmeno quelle altre, troppo antiche, quali il fatto che rapì Enoch, ( Gen 5,25; Sir 44,16; Eb 11,5 ) che annientò gli empi con il diluvio, che liberò dalle acque mediante l'arca il giusto Noè e la sua famiglia. ( Gen 7, 1-8,20; Sap 10,4; 1 Pt 3,20 )

Voglio iniziare il racconto delle gesta da lui compiute fra gli uomini con la storia di Abramo.

Fu infatti ad Abramo che gli angeli fecero, a mo' di oracolo, quell'esplicita promessa, che vediamo adempiersi ai nostri giorni.

A lui fu detto: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti; ( Gen 22,18 ) e difatti dalla sua discendenza derivò il popolo d'Israele e, in esso, anche la Vergine Maria che partorì il Cristo, nel quale neghino, se possono, che vengono benedette tutte le genti.

Questa stessa promessa fu fatta anche ad Isacco, figlio di Abramo. ( Gen 26,4; Gen 28,14 )

E fu fatta pure a Giacobbe, nipote di Abramo che fu chiamato pure Israele.

Da lui quel popolo nella sua globalità si propagò e prese nome, tanto che il Dio di quel popolo si chiamò Dio d'Israele: non nel senso che egli non sia Dio di tutte le genti, tanto quelle che non lo conoscono quanto quelle che lo conoscono, ma perché in detto popolo egli volle che apparisse più manifestamente la validità delle sue promesse.

Da principio infatti quel popolo si moltiplicò in Egitto, finché da quella schiavitù non venne liberato da Mosè con molti segni e portenti.

Debellate quindi moltissime popolazioni, conquistò anche la terra della promessa, in cui stabilì un regno con re propri nati dalla tribù di Giuda. ( Es 1,7 )

Questo Giuda fu uno dei dodici figli d'Israele, nipote di Abramo.

In riferimento a lui gli Israeliti furono chiamati Giudei: e questi Giudei con l'aiuto del loro Dio compirono molte imprese e, da lui flagellati per le loro colpe, subirono molte sciagure, fino alla venuta di quel discendente a cui [ il regno ] era stato promesso.

In lui sarebbero state benedette tutte le genti, ( Gal 3,19 ) le quali avrebbero anche abbattuto di loro spontanea volontà i simulacri eretti dai padri. ( Ez 6,4; Os 10,2 )

Indice

1 Virgilio, Eclog. 3, 60
2 Virgilio, Georg. 2, 325-326
3 Cicerone, De nat. deor., 1, 119
4 Cicerone, Tuscul. 1, 29
5 Cicerone, In Catil. 3, 1, 1
6 Virgilio, Eglog. 9, 47
7 Virgilio, Aen.8, 320-324
8 Virgilio, Eclog. 3, 60