Opera incompiuta contro Giuliano

Indice

Libro V

40 - La violenza dell'antico nulla fu la causa della cattiva volontà dell'uomo

Giuliano. Mentre dunque questa così grande verità era aperta, che cosa ti persuase a credere che la violenza dell'antico nulla sia stata la causa della volontà cattiva?

Certamente il desiderio di farci capire che tu ritieni ree tutte le creature fatte dal nulla e assoggetti al diavolo l'universo mondo.

Poiché quindi mi si è fatto chiaro che tra voi regna un'antica concordia di dogmi, ormai da qui in poi risponderò insieme a te e a Manicheo.

Voi chiedete con risolutezza a me che nego l'esistenza della naturalezza del male di rispondere, se posso, donde sia potuta sorgere la stessa volontà cattiva nel primo uomo.

Ma io replico che voi non capite quello che dite.

La volontà infatti non è altro che un movimento dell'animo senza coazione di nessuno.

Agostino. Un movimento dell'animo che cos'è, se non un movimento della natura?

L'animo infatti senza dubbio è natura e quindi la volontà è un movimento della natura, poiché è un movimento dell'animo.

Ma tu, quando precedentemente ponevi la natura come un genere e subordinavi a quel genere le sue specie, hai parlato con risolutezza in questo modo: La natura umana nella sua universalità è una sorta di genere rispetto alle istituzioni collocate al di sotto di essa e ha quasi le sue specie nel sito, nelle membra, negli ordinamenti, nei movimenti e in altre realtà simili.24

Dunque con cotesta tua trattazione hai asserito che i movimenti della natura sono le specie della natura.

Onde ti viene dietro ciò che non vuoi: è natura ogni movimento della natura, se la natura è genere e il movimento della natura è una sua specie.

Allo stesso modo che ogni cavallo è un animale, essendo l'animale il genere e il cavallo una specie di questo genere.

Perciò la volontà, poiché è un movimento dell'animo e poiché si dimostra per questo che è un movimento della natura, secondo questa tua stessa logica, la volontà, dico, è natura, perché hai subordinato questa specie alla natura come al suo genere.

Per quale ragione dunque disapprovi che si dica peccato naturale il peccato che fece la volontà cattiva, se ti si convince a dire che la stessa volontà cattiva è natura?

Ma non sia natura la volontà: tuttavia certamente non può essere se non nella natura.

Quanto infatti appartiene all'uomo è movimento dell'animo, e l'animo è natura.

Lascia ormai, ti prego, che si dica peccato naturale nel senso che, quando l'uomo pecca, è certamente la natura a peccare, essendo appunto l'uomo una natura.

Allo stesso modo si può dire giustamente anche peccato spirituale, poiché è lo spirito che pecca.

Non ha infatti errato l'Apostolo nel dire spiriti del male: ( Ef 6,12 ) i quali spiriti sono senza dubbio naturali, perché lo spirito è sicuramente una natura, si tratti dello Spirito creatore o dello spirito creato.

Né tuttavia il peccato che fu commesso per la volontà o dell'angelo o dell'uomo, poiché peccò la natura, e l'angelo infatti e l'uomo sono nature, lo diciamo peccato naturale, nel senso che sia stato fatto per necessità mentre fu fatto per libera volontà.

Chi infatti peccò appunto perché volle, poté anche non voler peccare: e così fu creato l'uomo da poter volere e non volere, e da avere in sua facoltà l'uno e l'altro a suo piacere.

Ma altro è il peccato originale: sebbene i nascenti lo contraggano senza la propria volontà, tuttavia per la volontà del primo uomo è stata viziata la stessa origine.

Come pure altro è il medesimo peccato nell'uomo grande di età, che per esso dice: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio; ( Rm 7,15 ) e tuttavia nemmeno questa necessità è insanabile per colui al quale si dice: Tirami fuori dalle mie necessità. ( Sal 25,17 )

41 - Necessità e libertà del peccato

Giuliano. Voi dunque cercate la necessità del peccato: la necessità di una realtà che non può esistere se patisce necessità.

Se a questo movimento libero dell'animo, esente dalla inquieta coazione della origine, si dà una causa più antica dello stesso movimento, esso non si esprime più in nessun modo, ma si sopprime.

Infatti il nome stesso di volontà non ha altra forza che d'indicare che il suo movimento non lo deve alla materia.

Quando dunque chiedi donde sia sorta la volontà, chiedi che cosa sia più antico della volontà stessa: chiedi non il suo cominciare, ma il suo terminare.

Infatti è assolutamente inintelligibile l'esistenza della volontà, se essa si attribuisce o alle tenebre o al nulla; né può più dirsi volontà, la quale non può sussistere se non in un movimento dell'animo senza coazione di nessuno.

Se dunque fa coazione qualcuno, senza dubbio c'è il movimento, ma non c'è la volontà, la cui forza è completata dalla seconda parte della definizione, cioè dalle parole: " Senza coazione di nessuno ".

Se dunque la volontà non è nient'altro che un movimento dell'animo " senza coazione di nessuno ", è proprio mal posta la questione dell'origine di una realtà la cui esistenza viene meno, se è prevenuta.

Soppesa dunque che cosa sia quello che domandi: Donde la stessa volontà cattiva, come un albero cattivo, sia potuta sorgere nel primo uomo?25 tu che confessi che la volontà provenne dall'origine.

La volontà è infatti un movimento dell'animo senza coazione di nessuno.

Tutte le forze naturali costringono alla esistenza i loro effetti; ora la volontà, se è costretta da cause precedenti, cessa subito di essere volontà, e perde il proprio modo di essere, se ha ricevuto una origine.

Agostino. Se per questo la volontà non ha origine perché non ha costrizione, nemmeno lo stesso uomo ha origine per essere uomo, perché non è stato costretto ad esistere.

In che modo infatti poteva esser costretto chi non era?

E l'uomo è certamente una natura e tu hai detto: Tutte le forze naturali costringono alla esistenza i loro effetti.

Ti prego, poni attenzione a quello che dici; non muovere la lingua ad occhi chiusi, come chi parla nel sonno.

Nessuna realtà che non esiste può essere costretta.

Vedi anche quanto sia insano negare che abbiano origine le realtà che sono sorte, quando la stessa parola "origine " è venuta dal verbo orior.

Infatti ciò che è e non ha origine, fu da sempre; se invece non fu da sempre ed è, è sorto; e se è sorto ha origine.

Dunque anche la volontà di peccare, la quale non fu da sempre ed è, certamente è sorta: se infatti esistesse e non fosse sorta, sarebbe stata da sempre; ma non fu da sempre: dunque è sorta.

Ora tu grida contro una verità apertissima: ciò infatti si addice alla tua vana loquacità.

E di': È sorta, sì, ma non ha origine! Oppure, ancora più pazzamente: E non fu da sempre ed è, e tuttavia non è sorta.

Ebbene, se non lo dici per non essere giudicato insulsissimo e completamente fatuo, domandati donde sia sorta la volontà cattiva dell'uomo, che non puoi negare che sia sorta, perché non puoi negare che non fu da sempre e che cominciò ad essere.

Domandati, ripeto, donde sia sorta e troverai l'uomo stesso: da lui appunto è sorta la cattiva volontà, che non ci fu in lui antecedentemente.

Domandati anche quale fosse l'uomo prima che da lui sorgesse la volontà cattiva e troverai un uomo buono: da quella sua volontà appunto fu fatto cattivo, mentre prima che essa sorgesse da lui, egli era tale e quale lo aveva fatto il Dio buono, ossia un uomo buono.

Questo è quindi ciò che afferma il mio dottore e il tuo distruttore Ambrogio: Dai beni pertanto sono sorti i mali.26

Il che negando tu e dicendo: L'ordine delle cose non permette che dal bene venga il male e dal giusto qualcosa di ingiusto, aiuti tanto i manichei ad introdurre la natura del male, dalla quale fanno sorgere i mali, che essi si congratulano di averti come patrono del loro errore.

A meno che anche tu sia vinto insieme con loro.

Tu sei infatti uno che con mirabile eloquenza o piuttosto con mirabile demenza difendi i bambini così da separarli dal Salvatore e combatti i manichei così da innalzarli contro il Salvatore.

42 - La volontà o è libera o non è volontà

Giuliano. Poiché dunque è stata ben definita la volontà: " Un movimento dell'animo senza coazione di nessuno ", per quale ragione cerchi ancora più a monte le cause che la definizione della volontà ha escluse?

Pesate quindi che cosa sia la volontà e smetterete d'indagare donde sia la volontà.

È infatti la volontà un movimento dell'animo senza coazione di nessuno: se voi tentate di risalire più a monte anche solo di una mezza unghia, fate subito crollare le verità accertate.

Che cosa dice dunque Manicheo? Ma cotesto movimento, dice, per questo è sorto perché l'uomo fu tratto dalla natura delle tenebre.

Che cosa tu? Perché l'uomo, rispondi, fu tratto dal nulla.

L'uno dunque dice: Per questo c'è la volontà cattiva, perché l'uomo fu fatto dal nulla; l'altro dice: Per questo c'è la volontà cattiva nell'uomo, perché l'uomo fu tratto dalle tenebre.

Ambedue dunque negate quel supplemento essenziale della definizione della volontà: " Senza coazione di nessuno ".

Se infatti tanta fu la forza del nulla quanta di qualcuno, una forza che costrinse ad esistere la volontà cattiva, tale forza escluse dalla volontà il suo modo di essere espresso dalle parole: " Senza coazione di nessuno ".

Ma non meno scacciò l'infamia del male: non è peccato infatti ciò che non viene da un movimento libero dell'animo.

E così avvenne che con il danno della verità sparì l'odiosità di tutto il male e svanì la natura del male quando svanì il crimine della volontà; ma il crimine della volontà svanì quando fu mutilata la definizione della volontà.

Quindi si è fatto chiaro che tale è la condizione e del peccare e del volere: se il volere si attribuisce a cause precedenti, il volere perde e il suo diritto e il suo crimine.

Dove sarà dunque la natura del male, se risulta che il male non c'è?

Agostino. Non si può dire quanto mi sbalordisca la tua sfrontatezza: in che modo dica " natura del male ", tu che non dici " male naturale "; o in che modo non dica " male naturale ", tu che dici " natura del male ".

Che cosa poi di più vano delle definizioni date da te, che pensi non si debba cercare donde venga la volontà, perché essa è un movimento dell'animo senza coazione di nessuno?

Se infatti si dice donde venga la volontà, tu pensi che non sarà più vero ciò che è stato detto: Senza coazione di nessuno, perché ciò da cui viene la costringe ad essere, e quindi la volontà non viene da nessuna causa, perché non sia costretta ad essere.

O singolare stoltezza! Dunque non viene da nessun'altra causa l'uomo stesso, che non è stato costretto ad essere, perché egli non era costringibile prima di esistere.

È vero tutto l'opposto: e la volontà viene da un'altra causa, e la volontà non è costretta ad essere; e se non è da ricercarsi l'origine della volontà, non è da ricercarsi non perché la volontà non venga da un'altra causa, ma perché è manifesto donde venga.

Viene infatti la volontà da colui del quale è la volontà: ossia dall'angelo la volontà dell'angelo, dall'uomo la volontà dell'uomo, da Dio la volontà di Dio.

E se Dio suscita nell'uomo la volontà buona, lo fa certamente così che la volontà buona sorga dall'uomo di cui è la volontà; come Dio fa sì che l'uomo sorga dall'uomo: non perché infatti Dio crea l'uomo per questo l'uomo non nasce dall'uomo.

Ma ciascuno è autore della sua volontà cattiva, perché vuole il male.

Quando però si chiede per quale ragione l'uomo possa avere la volontà cattiva, sebbene non sia necessitato ad averla, non si chiede l'origine della volontà, ma l'origine della stessa possibilità, e si trova che questa è la causa: per quanto sia un grande bene la creatura ragionevole, tuttavia non è ciò che è Dio, del quale soltanto è invariabile e immutabile la natura.

E quando si cerca la causa di questo fatto, ecco ciò che si trova: Dio non ha fatto le creature traendole da se stesso, ossia dalla propria natura e sostanza, ma traendole dal nulla, ossia da nessun'altra realtà.

Non perché il nulla ha una qualche forza: se infatti l'avesse, non sarebbe il nulla ma qualcosa; ma perché essere fatta dal nulla equivale per ogni natura a non essere la natura di Dio, la sola che è immutabile.

Né le creature che sono state fatte attraverso altre creature fanno eccezione da questa origine, poiché le creature che sono state fatte così per essere l'origine di altre, furono tratte da realtà non esistenti, ossia assolutamente dal nulla.

Tutte le altre creature possono poi essere mutate dalle loro diverse e proprie qualità; dalla volontà invece, che fa uso della ragione, può esser mutata soltanto la creatura ragionevole.

Chiunque diligentemente e intelligentemente presta attenzione a queste verità, conoscerà che di pertinente alla nostra causa tu non hai detto nulla del molto che hai detto sul nulla.

43 - Non esiste un peccato involontario

Giuliano. Che cos'è infatti il male, ossia il peccato?

La volontà di seguire ciò che la giustizia proibisce e da cui sia libero astenersi.

Che cos'è la volontà stessa? Un movimento dell'animo senza coazione di nessuno.

Se dunque il peccato è nato dalla volontà e la volontà da un movimento dell'animo senza coazione di nessuno, né la condizione del nulla, né la condizione delle tenebre fece sorgere questo movimento, il quale per questo non è costretto da nessuno perché possa esistere senza coazione di nessuno.

Perciò non c'è nessun peccato naturale, non c'è nessun peccato originale, perché questi due aggettivi, naturale e originale, hanno un solo e medesimo senso, ossia indicano un peccato che è involontario.

Ma " prescrizione " della verità è che il peccato non possa essere se non volontario, e quindi chi dice che il male è ciò che risulta ingenito, non convince che in natura ci sia il peccato, ma si dimostra " criminoso " per depravazione di giudizio.

Ecco che è stato risposto ad una questione alla quale credevi che non fosse possibile rispondere.

Era davvero evanescente la questione che tu giudicavi invitta.

Agostino. Gongoli a vuoto e dici: " Ecco che è stato risposto ", dove che tu non abbia potuto rispondere lo trova subito chiunque, acuto, legge questi tuoi ragionamenti o chiunque, non molto tardo, legge anche i miei.

Infatti per quanto grande sia l'ambiguità con la quale tenti non di spiegare le questioni implicate, ma di implicare le verità aperte, coloro che sono sani non possono negare che da ciascuno sorga la sua volontà e che la volontà dell'uomo non possa sorgere se non dall'uomo.

E quindi, poiché i mali cominciarono ad esistere per la cattiva volontà degli uomini e poiché sappiamo che la natura buona degli uomini fu prima della volontà cattiva, dai beni sono sorti i mali.

Questo dice Ambrogio, con questo si elimina Manicheo, questo nega Giuliano a favore di Manicheo contro Ambrogio, dicendo: Se la natura è opera di Dio, non si lascia all'opera del diavolo di passare attraverso l'opera di Dio, con il risultato che Manicheo dica che non sono opera di Dio gli uomini, attraverso i quali l'Apostolo afferma che passò il peccato e la morte, ( Rm 5,12 ) il che è opera del diavolo, poiché secondo Giuliano non si lascia all'opera del diavolo di passare attraverso l'opera di Dio; e dice l'Apostolo che l'opera del diavolo passò attraverso gli uomini: gli uomini non sono dunque opera di Dio.

Di Manicheo è questa conclusione, proveniente a lui, o Giuliano, dal tuo aiuto.

Ma l'Apostolo, combattendo in difesa della verità, dice e che gli uomini sono opera di Dio, per abbattere Manicheo, e che attraverso l'opera di Dio, cioè attraverso gli uomini, passò l'opera del diavolo, per abbattere anche te stesso con Manicheo.

44 - La volontà cattiva l'attribuite alle tenebre eterne

Giuliano. Faccio notare tuttavia che pure tu hai l'abitudine di dire nei tuoi scritti che le tenebre non sono una creatura, ma per l'assenza della luce rimane l'oscurità, di modo che l'ottenebramento non è altro che l'esclusione dello splendore.

Dunque lo splendore che viene escluso lo chiami creatura, ciò che rimane lo chiami tenebre: il che è stato certamente divulgato dai filosofi, né ora indago se sia un'opinione vera o falsa, ma sottolineo questo: le tenebre tu dici che non sono nient'altro che il nulla; e dici poi che nell'uomo, cioè nell'opera di Dio, il male esisté perché l'uomo fu fatto dal nulla: causa dunque del male confermi che fu quel nulla, e quel nulla lo dichiari anche tenebre.

Dici pertanto che la necessità del male discende dalla condizione delle tenebre. Quindi nemmeno in questo tu dissenti dal tuo precettore, perché la volontà cattiva l'attribuite ugualmente alle tenebre eterne.

Agostino. Ho già risposto poco fa apertamente e brevemente, come ho potuto, a te che sul nulla non dici nulla, e adesso hai voluto invano fuggire tra le tenebre.

Non riuscirai a nasconderti: la luce appunto della verità ti perseguita dicendo che le creature, le quali non sono come Dio che le fece, furono fatte dal nulla in tal modo da non stimare o intendere che lo stesso nulla sia qualcosa, né che abbia la forza di fare qualcosa, perché, se l'avesse, non sarebbe il nulla.

E perciò il nulla non è né un corpo, né uno spirito, né un accidente di queste sostanze, né alcuna materia informe, né uno spazio vuoto, né le tenebre stesse, ma assolutamente nulla: perché dove sono le tenebre c'è qualche corpo privo di luce, o l'aria o l'acqua o qualche altra cosa, non potendo se non un corpo essere illuminato dalla luce materiale perché splenda o esserne privato per ottenebrarsi.

E per questo di coteste tenebre corporali non è il creatore se non colui che creò i corpi; onde nel cantico dei tre giovani lo benedicono la luce e le tenebre. ( Dn 3,72 )

Fece dunque Dio tutte le cose dal nulla, ossia tutte le cose che fece esistere, se guardiamo alla loro prima origine, le fece da cose che non esistevano, da cose che non sono, dicono i Greci.

E perché ciò non si creda dell'Unigenito, che è Dio da Dio, Luce da Luce, e quindi non dal nulla, la Cattolica si oppone veementemente agli ariani.

Quando pertanto diciamo che non per questo poté sorgere la volontà cattiva dal bene, perché il bene è stato fatto da Dio buono, ma perché lo fece dal nulla e non da se stesso, non diamo al nulla una qualche natura, ma distinguiamo la natura del Creatore dalla natura delle creature che sono state fatte da Dio.

La ragione appunto per cui queste creature sono mutevoli, sia in forza della volontà, come fu mutevole la creatura razionale, sia in forza delle qualità proprie, come tutte le altre creature, è che sono state fatte dal nulla e non dalla natura di Dio, sebbene a farle non sia stato se non Dio.

Questo vuol dire che non sono ciò che è la natura di Dio, la quale non è stata fatta ed è per questo la sola natura immutabile.

Se vuoi dunque o evitare o vincere i manichei, sappi questo, apprendi questo, intendendolo se puoi o credendolo se non puoi intenderlo: poiché dai beni sono sorti i mali e la malizia non è se non la mancanza del bene.

45 - Necessario e possibile

Giuliano. Ma come la verità vi ha entrambi smascherati e rovesciati, così la considerazione del nostro ufficio esige da noi che spieghiamo che cosa abbia portato oscurità alla presente questione, ormai disarmata.

Di tutte le creature che vengono fatte si dice che a farle esistere o è la necessità o la possibilità.

Ma necessario dico qui non ciò che siamo soliti denominare utile, bensì ciò che è stato coatto da cause maggiori.

Necessario dunque chiamiamo non ciò che è nel diritto della volontà, ma ciò che subisce la violenza di esistere.

Possibile poi diciamo ciò che non sperimenta la necessità né di esistere né all'opposto di non esistere, ma a certe condizioni e può essere e può non essere.

Tenga dunque in mente il nostro lettore che cosa definiamo qui necessario e che cosa possibile.

E per cominciare da grandi esempi, che Dio facesse il mondo venne a Dio dal possibile e non dal necessario, ossia alla onnipotenza di Dio fu possibile creare le creature che creò, tuttavia non fu necessario: evidentemente Dio non fu costretto da nessuno a fare, ma perché volle fece ciò che certamente non avrebbe fatto se non avesse voluto.

Ma ciò che all'Autore venne dal possibile, nell'opera venne dal necessario, ossia non fu possibile essere e non essere al mondo a cui dall'Onnipotente si comandava di essere, ma era costretto ad esistere il mondo, al quale l'Onnipotente assegnava una essenza.

Agostino. In che modo si costringeva ad esistere il mondo che non era prima di esistere?

In che modo si costringe uno chiunque, se non esiste?

Non sarebbe forse stato meglio che tu avessi detto: Il mondo fu fatto dalla volontà di Dio e non dalla volontà del mondo?

Ma va' avanti e vediamo che cosa tu tenti di dimostrare con questa distinzione tra il possibile e il necessario, che avremmo potuto capire meglio, se tu l'avessi voluta accennare appena senza spiegarla.

Chi non vede infatti che quanto ha la necessità di esistere ne ha pure la possibilità, e viceversa quanto ha la possibilità di esistere non ne ha pure la necessità?

Se dunque ti è piaciuto appellare possibile ciò che si può fare senza che si faccia necessariamente e appellare necessario ciò che non solo si può fare ma si deve anche fare necessariamente, parla come vuoi.

Dove le realtà sono trasparenti non si deve fare controversia di parole.

Basta sapere che ogni necessario è possibile e che non ogni possibile è necessario.

46 - Creature necessarie e creature possibili

Giuliano. Passò dunque nella necessità di quanto fu creato ciò che era venuto dalla possibilità del creante.

Egli fece pure diverse nature e diverse specie nelle nature, custodendo l'ordine che fluiva dall'esordio delle creature, perché alcune fossero necessarie e altre fossero possibili.

Dunque tutto ciò che le creature hanno naturaliter, lo hanno sortito da parte del necessario.

Agostino. Se tutto ciò che le creature hanno naturaliter, lo hanno sortito da parte del necessario, gli uomini dunque non hanno naturaliter il fatto del coito, ma soltanto la possibilità del coito, né naturale è quell'uso della femmina che ricordò l'Apostolo, ( Rm 1,27 ) ma naturale è la possibilità di quell'uso: se infatti l'uomo non vuole non c'è l'uso stesso, sebbene ci possa essere se vuole.

Naturale dunque è la possibilità dell'uso, non è naturale l'uso stesso: non è infatti necessario un uso che è nullo se non vogliamo; e avrebbe errato l'Apostolo a dire naturale l'uso della femmina.

Dov'è anche la tua precedente affermazione che la natura è il genere e il matrimonio è una specie della natura, visto che i matrimoni non si annodano per necessità ma per volontà?

O forse nel dirlo non ti era venuta ancora in mente la distinzione di questi due aspetti, ossia del necessario e del possibile?

E che dopo il congiungimento dei sessi nasca un uomo non è naturale, perché non è necessario?

Non è infatti necessario che al coito tra maschio e femmina segua il concepimento e il parto; ma tu hai definito possibile e non necessario ciò che può accadere senza che accada necessariamente.

Né mangiamo naturaliter? Perché anche il mangiare non avviene se non vogliamo, e quindi è possibile e non necessario.

Ma negare che queste azioni siano naturali non è altro che voler togliere alla natura una gran parte delle sue attribuzioni.

Pertanto è falsa la tua affermazione: Tutto ciò che le creature hanno " naturaliter " lo hanno sortito dalla parte del necessario, atteso che e le attività da me ricordate e altre che sarebbe troppo lungo ricordare, le creature le hanno naturaliter, né tuttavia le hanno sortite da parte del necessario.

47 - Intreccio tra necessità e possibilità

Giuliano. Ma nel loro modo di sentire quando progrediscono, le creature non prendono sempre dal necessario, bensì molto lo prendono dal possibile.

Ciò si potrebbe vedere in tutti i corpi, ma ne nascerebbe una trattazione troppo lunga: alcuni pochi esempi tuttavia diamoli.

La natura dei corpi è di evolversi per addizione e di dissolversi per divisione: sono dunque capaci di essere feriti i corpi che vanno soggetti alla morte.

Che possano dunque essere feriti lo hanno dalla necessità, ma che siano feriti lo hanno invece dalla possibilità.

Così la natura della possibilità è dal necessario, mentre l'effettuazione della possibilità non è necessaria.

Per esempio, il cavallo, il bove e simili animali hanno una natura vulnerabile e quindi da parte del necessario sono capaci di subire un danno, ma che vengano feriti non è sempre necessario.

Se infatti per la diligenza dei loro custodi sono preservati dalle disgrazie, possono non essere feriti, e se non sono custoditi possono anche essere feriti.

Moltissimo dunque ci corre tra le eventualità che vengono dal possibile e gli eventi che vengono dal necessario: la quale distinzione se non si rispetta, si cade in errori senza numero.

E perché ciò diventi chiaro con un parAgostino.one: alcuni oppositori della medicina sono caduti in errore argomentando che tale arte non ha nessuna utilità, e discorrono in questo modo: La medicina soccorre coloro che moriranno o coloro che sopravviveranno?

Se soccorre coloro che moriranno, essa non ottiene nulla; se soccorre coloro che sopravviveranno, essa si prodiga invano.

Coloro infatti che moriranno, anche con l'affannarsi della medicina moriranno; coloro che sopravviveranno, avrebbero potuto salvarsi anche senza il beneficio della medicina.

Quanto graziosa proprio e quanto gentile conclusione!

Ma viene dissolta dai difensori della medicina nel modo seguente: Quest'arte, dicono, non giova né a coloro che vivranno, né a coloro che moriranno, se si guarda soltanto a ciò che accade necessariamente; ma se si guarda a ciò che è possibile, la medicina giova a coloro che sono esposti ad ambedue le eventualità.

Non aiuta dunque la medicina chi è senza dubbio morituro, perché non lo può fare immortale, ma non soccorre nemmeno chi con certezza sarà incolume; soccorre invece chi può correre pericolo se non si cura e può essere liberato se si cura.

Come dunque l'arte erudita non può soccorrere né chi vivrà né chi morirà per condizione di necessità, così essa può giovare e a chi morirà e a chi vivrà, ma sotto l'aspetto della possibilità.

I primi dunque sparlando delle cure mediche hanno chiuso nel territorio della necessità una proposizione che partiva dal territorio del possibile: il quale genere di ragionare ha innumerevoli applicazioni.

Per esempio la legge divina proibisce di commettere l'omicidio e proibisce pure che si dia occasione alla negligenza per la quale s'incorre in pericoli, come nel caso di un toro di facile incornata ( Es 21,28-32 ) e nel caso dei parapetti delle case. ( Dt 22,8 )

Ma si può domandare: Cotesta diligenza soccorre chi vivrà o chi morirà?

Se soccorre chi morirà, non ottiene nulla; se soccorre chi vivrà, provvede in soprappiù, dato che ambedue queste eventualità contrarie seguiranno necessariamente e attraverso le precauzioni e senza le precauzioni.

Ma questo è falso: giustissimamente infatti si provvede ai mortali perché con le risorse della diligenza evitino ciò che avrebbero potuto patire senza la diligenza.

Altro dunque viene dalla possibilità, altro dalla necessità.

Mostriamo subito come ci giovino queste premesse.

Dio fece l'uomo dotandolo di libero arbitrio e di una buona natura, la quale fosse però capace delle virtù da procurarsi assoggettando a sé da sé il proprio animo.

Il quale libero arbitrio non poteva sussistere diversamente che avendo anche la possibilità di peccare.

L'uomo dunque ha la libertà dalla parte del necessario, ha la volontà dalla parte del possibile.

Non può l'uomo non essere libero, ma non può essere costretto a volere né l'uno né l'altro, e l'effetto della sua libertà necessaria è un effetto possibile.

Nel possibile si può dunque peccare, nel necessario non si può, perché nel necessario non si giudica l'attore, ma lo stesso Autore, e questa possibilità dell'uomo è integralmente dono di Dio; dall'uso che l'uomo fa della sua possibilità invece si soppesa l'attore stesso.

Agostino. Che dici tu del diavolo del quale è scritto: Il diavolo è peccatore fin dall'inizio? ( 1 Gv 3,8 )

Ha egli la possibilità di peccare o la necessità?

Se la necessità, veditela tu in che modo secondo i tuoi ragionamenti egli sia scusato dal crimine; se poi la possibilità, può dunque egli anche non peccare, può avere la volontà buona, può fare penitenza e impetrare la misericordia di Dio, perché questi non disprezza un cuore affranto e umiliato. ( Sal 51,18 )

Il che è sembrato vero ad alcuni, dietro l'insegnamento, si dice, di Origene; ma, come stimo che tu sappia, la fede cattolica e sana non accolse questa dottrina: onde alcuni o provano o vogliono che anche lo stesso Origene sia stato alieno da questo errore.

Resta quindi che prima del supplizio del fuoco eterno anche questa necessità di peccare sia per il diavolo una grande pena del suo grande peccato, e resta che egli per questo non sia scusato dal crimine perché per il suo massimo crimine c'è anche questa punizione: che egli trovi diletto soltanto nella malizia e non possa trovare diletto nella giustizia.

Ma a questa necessità di peccare, ormai penale, il diavolo non sarebbe certamente arrivato, se prima non avesse peccato con la sua libera volontà senza nessuna necessità.

Pertanto quella definizione del peccato che lo ripone nel fare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi, spetta al peccato che è soltanto peccato e non al peccato che è anche pena del peccato.

48 - Dio aiuta l'uomo nel fare il bene

Giuliano. E il male e il bene l'uomo dunque li fa per volontà propria, ma il suo bene l'uomo lo deve  anche a Dio, il quale non reca certamente al bene dell'uomo un pregiudizio, ma somministra tuttavia un aiuto.

Agostino. Tanto il bene quanto il male l'uomo li fa certamente con la propria volontà, come dici tu, e in lui la possibilità del bene e la possibilità del male stanno in perfetto equilibrio, e a fare il bene Dio somministra un aiuto: per quale ragione dunque la natura dei mortali è più proclive a peccare, se il peccato originale non ebbe nessun effetto?

Benché anche lo stesso aiuto, che siete costretti a confessare somministrato da Dio, non sfugga quale diciate che sia.

Voi dite appunto che è la legge e non lo Spirito, mentre l'apostolo Paolo insegna che noi siamo aiutati con la somministrazione dello Spirito Santo. ( Fil 1,19 )

Il che ho reputato mio dovere ricordarlo, perché coloro che ascoltano o leggono la tua sentenza sulla somministrazione dell'aiuto divino, non dimentichino eventualmente la vostra eresia.

49 - È naturale tanto il possibile quanto il necessario

Giuliano. Tanto vale dunque cotesta distinzione che se, ignorandola, concludiamo nella necessità ciò che comincia dalla possibilità, tutti i crimini ritornano a Dio.

Il che vedendo, Manicheo escogitò le tenebre come autrici del peccato: non riuscì infatti a distinguere tra il possibile e il necessario.

Dunque tutto ciò che l'uomo ha naturaliter, lo ha sortito dalla parte del necessario, poiché non poté essere diversamente da come fu fatto.

Agostino. Già poco fa ho mostrato quanto sia vana cotesta sentenza: sarebbe stoltissimo infatti che gli uomini abbiano naturaliter la possibilità di mangiare, ma non mangino naturaliter i cibi congrui alla loro natura, o abbiano gli uomini naturaliter la possibilità di concumbere, ma non concumbano naturaliter con le membra genitali di ambedue i sessi.

Chi lo dirà, se considera un poco appena quello che dice?

L'uno e l'altro è infatti naturale: e che queste azioni possano essere fatte e che siano fatte; ma che possano essere fatte è vero anche quando non vogliamo, che siano fatte non avviene se non quando vogliamo.

50 - Si può fare anche il male che non si vorrebbe fare

Giuliano. Ma il male che fa, lo fa perché lo può fare.

Agostino. Poni attenzione a colui che dice: Io compio il male che non voglio, ( Rm 7,19 ) e rispondi se non abbia la necessità di fare il male chi non fa il bene che vuole, ma compie il male che non vuole.

Se non ardisci opporti all'Apostolo, ecco un uomo che facendo il male per necessità, spezza e sperde le tue definizioni: compie appunto il male per necessità chi non lo vuole e lo compie.

Se poi ciò che compie senza volerlo è soltanto il concupire con la carne senza nessun consenso della mente e senza nessuna operazione delle membra, è cattiva, sebbene non le si presti il consenso per il male, anche la concupiscenza della carne, che ti diletti tuttavia di lodare.

Se invece colui che grida: Io compio il male che non voglio, ( Rm 7,19 ) è costretto così tanto che mette anche le sue membra a servizio del peccato, non solo i mali si concupiscono necessariamente, ma si commettono pure.

Dove sono le tue definizioni che distingui con tanta loquacità?

Proprio come fumo svanirono e si dileguarono.

Tu raccomandi di discernere con grande cura il necessario e il possibile, dicendo necessario ciò che avviene necessariamente e dicendo possibile invece ciò che può avvenire, ma non necessariamente avviene.

Perciò la necessità l'attribuisci al necessario, mentre il possibile non lo costringi in nessuna necessità.

Le azioni cattive non le dài al necessario, ma al possibile, e dici parlando dell'uomo: Ma il male che fa, lo fa perché lo può fare, perché di nessuno si dica che agisce male per necessità e non per volontà.

Ma si fa in mezzo uno che ti contraddice validissimamente e dice: Cos'è quello che dici?

Ecco, io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio. ( Rm 7,19 )

È noto che il primo uomo compì il male per volontà e non per necessità, ma colui che dice: Io compio il male che non voglio, mostra di compiere il male per necessità e non per volontà, e piangendo le sue miserie ride delle tue definizioni.

51 - La possibilità è di fare il bene o di fare il male, la necessità non è né del bene né del male

Giuliano. Se dunque non ci fosse stata la possibilità necessaria, non ci sarebbe stata l'effettuazione possibile.

Che dunque possa fare il male e il bene è necessario, che invece faccia il male non lo deve al necessario, ma al suo possibile.

Dove poi c'è la possibilità di ambedue le parti, la necessità è neutra per ambedue le parti.

Così avviene che nient'altro sia il peccato se non la volontà di compiere ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi.

Se poi nient'altro è la volontà che un movimento dell'animo senza coazione di nessuno, come dunque Dio ebbe dal possibile di fare il mondo, ma il mondo stesso subì dal necessario il fatto di esistere, così qualcosa di simile s'intende anche nella immagine di Dio.

Appunto perché abbia la volontà che ha scelto di avere non è costretta, ma le viene dal possibile; il male invece che fa ha la necessità del reato.

Così il crimine incorre nell'orrore per necessità, sebbene sia sorto non dalla necessità di colui che lo fa, ma dalla sua possibilità.

L'opera dunque della possibilità è la testimonianza di un essere animato libero.

Agostino. Ormai sei assolutamente negletto da chi abbia letto le risposte che ti abbiamo dato sopra.

Poiché, colui che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, indica abbastanza apertamente di esser pressato dalla necessità a compiere il male e dimostra che è falsa la tua affermazione: Che faccia il male non lo deve al necessario, ma al suo possibile e tutte le altre tue vane ciance.

Così avviene che quella definizione, che dice peccato la volontà di fare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi, abbraccia, come ho già avvertito precedentemente, quel peccato che è soltanto peccato, non il peccato che è pure pena del peccato.

Per tale pena infatti costui compiva il male che non voleva compiere e dal quale se gli fosse stato libero astenersi non avrebbe indubbiamente detto: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio.

Come dunque noi riconosciamo l'uomo beato nel corpo di quella vita dove ebbe la libertà di fare ciò che voleva, sia il bene, sia il male, così anche tu riconosci l'uomo misero nel corpo di questa morte, dove, perduta la libertà, gli senti dire: Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto, e: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, e: Sono uno sventurato!

Chi mi libererà dal corpo di questa morte? ( Rm 7,15.19.24 )

52 - Non si può offendere il necessario senza offendere Dio

Giuliano. Il biasimo dell'animale libero non rimbalza sugli elementi necessari, perché tutto ciò che tocca il necessario, urta l'Autore stesso.

Agostino. Forse che questo male dell'uomo, dov'egli dice: Io compio il male che non voglio, urta lo stesso Autore dell'uomo?

E tuttavia ben apparisce che abbia toccato il necessario colui che compie il male in quelle condizioni: compie appunto per necessità ciò che non compie per volontà.

53 - Non si possono mescolare possibilità e necessità

Giuliano. Come dunque ciò che avviene dal necessario non si può ascrivere al mio possibile, così ciò che viene dal possibile non si può ascrivere al necessario.

Cioè, come la natura del mio corpo e del mio animo non si può attribuire alla mia volontà, quasi che io abbia voluto essere quello che apparisco, non avendo potuto volerlo prima di essere, altrettanto il male della volontà non si può riportare alla natura così da mescolare con la necessità le opere della possibilità.

Agostino. Dalla necessità si discerne certo abbastanza evidentemente e apertamente ciò che può accadere senza essere necessario che accada: tu lo chiami possibile, quasi che sia impossibile ciò che non solo può accadere, ma è anche necessario che accada.

Poiché però ti è piaciuto dare tali nomi a cotesti due concetti, cerchiamo d'intenderli come possiamo e di avere pazienza.

Ma cos'è che dici: Il male della volontà non si può riportare alla natura?

Non è forse vero che, quando l'angelo o l'uomo vuole qualcosa, è una natura che vuole qualcosa?

E l'angelo e l'uomo non sono nature? Chi lo dirà?

Se dunque sono nature l'angelo e l'uomo, certamente la natura vuole tutto ciò che vuole l'angelo, la natura vuole tutto ciò che vuole l'uomo.

In che modo dunque il male della volontà non si può riportare alla natura, non potendo volere qualcosa se non una natura?

O non s'imputi all'uomo il peccato della sua volontà, perché l'uomo è una natura, e il male della volontà, come dici tu, non si può riportare alla natura.

O forse a tanto si spinge la tua vanità da dire che si deve imputare alla natura ciò che non si può riportare alla natura?

Infatti chi dirà che non s'imputa alla natura ciò che s'imputa all'uomo, se non chi è così stolto da negare che l'uomo sia una natura?

Non ti avvedi quanto parli a lungo senza sapere quello che dici?

Se tu dunque dicessi: La volontà non si può riportare alla necessità, nemmeno questo sarebbe vero universalmente.

A volte infatti vogliamo ciò che è necessario, come è necessario che diventino beati coloro che perseverantemente vivono bene.

A volte è anche necessario volere qualcosa: per esempio è necessario volere la beatitudine; onde esiste pure una beata necessità, la necessità che Dio viva sempre, immutabilmente e beatissimamente.

Ma poiché ci sono anche certe necessità così aliene dalle volontà che e la necessità sia dove non è la volontà, e la volontà dove non è la necessità, almeno in parte è vero ciò che si dice: La volontà non si può riportare alla necessità.

Chi invece dice: La cattiva volontà non si può riportare alla natura, il medesimo ci mostri, se può, una volontà, cattiva o buona, dove non ci sia la natura, o ci mostri che possa esistere una volontà se non esiste la natura che voglia qualcosa.

Sta' dunque attento quanto tu sia fuori dalla verità.

Tu dici: La volontà cattiva non si può riportare alla natura.

La verità dice al contrario: Dove c'è una qualche volontà, essa non si può separare dalla natura.

54 - Gli sciami dei traduciani

Giuliano. Manicheo dunque, poiché non ha osservato attentamente questa sottilità di distinzioni, produsse a noi gli sciami dei traduciani.

Argomenta infatti in questo modo: Donde il male?

Evidentemente dalla volontà. Donde la volontà cattiva? Risponde: Dall'uomo. Donde l'uomo? Da Dio.

E conclude: Se il male dall'uomo, se l'uomo da Dio, il male quindi da Dio.

E dopo questo, quasi per sentimento religioso, per non fare " criminoso " Dio, ci dà la natura delle tenebre alla quale ascrivere il male.

Da qui anche Agostino: Donde il male? Dalla volontà. Donde, dice, la stessa volontà? Dall'uomo, che è opera di Dio.

E raccoglie: Se il male dalla volontà, se la volontà dall'uomo, se l'uomo opera di Dio, il male quindi da Dio.

Il che quasi tentando di sbrigare, per non sembrare di dire Dio " criminoso ", ciò che afferma la sua " traduce ", al posto di Dio ha offerto a noi un nulla ugualmente violento, cioè le tenebre, alle quali ascrivere questo male: Il male infatti, dice, non per questo è nato nell'uomo perché egli era opera di Dio, ma perché era dal nulla.27

Quasi che la verità non possa rispondere: E con quale sfacciataggine il tuo Dio prima mentisce che nell'uomo ci sia la volontà e poi lo condanna, pur sapendo che cotesto male, ossia il peccato, è venuto dalla necessità delle tenebre, cioè dalla necessità dell'antico nulla?

Abbiamo declinato con i casi la parola nihil, perché apparisse la forza del traduciano che colloca nel nulla la sua speranza.

Vedi tuttavia l'impotenza del dio che il traduciano introduce.

Quel dio non valse a superare il nulla stesso e dopo aver fatto l'uomo dal nulla non lo poté liberare dal condizionamento del male, che veniva dal nulla, ma, fatto più amaro dalla difficoltà della situazione, incrimina l'uomo invece di incriminare le proprie colpe e condanna i delitti del nulla con la rovina della propria immagine.

Più benignamente agisce con Dio il vecchio Manete, così da dirlo non totalmente devastato dalla gente delle tenebre, mentre il traduciano descrive la impotenza di Dio tanto grande da commentare che egli è stato superato dal nulla.

Agostino. Nessuno è superato dal nulla, ma tu sei superato non dicendo nulla; né io ho riposto la mia speranza nel nulla, ma tu hai ridotto fino al nulla la tua loquacità.

Certo, se tu intendessi rettamente ciò che dici perversamente, in questo modo Dio viene superato dal nulla nel senso che nessuna realtà supera Dio: che cos'è infatti il nulla, se non nessuna realtà?

In cotesto senso anche Dio non può superare nulla, perché non c'è nessuna realtà che non sia superata da Dio, il quale supera tutte le realtà, essendo egli al di sopra di tutte.

Ma, come dici tu: Manicheo non ha osservato attentamente le sottilità delle tue distinzioni, e quindi dice: Se il male dall'uomo, se l'uomo da Dio, il male quindi da Dio, perché noi, atterriti da tale conclusione, neghiamo o che l'uomo venga per mezzo di Dio o che il male venga dall'uomo, o diciamo con Manicheo che sono false ambedue le affermazioni, e così Manicheo introduca a noi una non so quale sostanza delle tenebre che abbia fatto l'uomo e sia il principio del male, donde far discendere ogni male.

Tu dunque, o sottilissimo suddivisore, con quale sapienza reputi che si debba resistere a questa scaltrezza?

Dirò, tu rispondi, che il male venne dall'uomo da parte del possibile, non da parte del necessario.

Quasi che egli non possa risponderti: Se il male dal possibile, se la possibilità dalla natura, se la natura per mezzo di Dio, il male quindi per mezzo di Dio.

Questa conclusione se tu non la temi, nemmeno io l'altra, perché ambedue confessiamo che il primo uomo non peccò da parte del necessario, ma da parte del possibile.

Noi infatti dicendo che l'uomo poté peccare perché la sua natura non fu fatta con la natura di Dio, benché non potesse essere assolutamente se non per creazione da parte di Dio, non diciamo ciò per dire, come tu ci calunni, che con questo fu inserita dentro l'uomo la necessità di peccare.

In modo assoluto poteva peccare e non peccare; ma se non fosse stato fatto dal nulla, ossia se la sua natura fosse venuta dalla natura di Dio, non poteva peccare in nessun modo.

Chi infatti è tanto demente da avere il coraggio di dire che possa in qualche modo peccare la natura immutabile e inconvertibile che è Dio, del quale l'Apostolo dice: Non può rinnegare se stesso? ( 2 Tm 2,13 )

Ambedue dunque ci opponiamo a Manicheo, dicendo che dal Dio buono e giusto l'uomo non fu fatto tale che a lui fosse necessario peccare, e dicendo quindi che peccò perché volle peccare colui che poteva anche non volerlo.

Ma riguardo al fatto che nella progenie dell'uomo noi avvertiamo mali tanto grandi e tanto manifesti, mali non volontari degli uomini, bensì con i quali gli uomini sono nati, poiché voi negate che questi mali vengano dalla origine viziata a causa del peccato, certamente ad introdurre la natura del male, dalla cui mescolanza fosse corrotta la natura di Dio, la vostra eresia ha stabilito Manicheo come dentro una fortezza, dalla quale la verità scaccia insieme e lui e voi.

55 - Comportamenti naturali e comportamenti possibili

Giuliano. Patiscono questa ignominia tutti coloro che dichiarano guerra alla verità.

Noi dunque raccogliamo ora quello che abbiamo ottenuto.

Si cerca donde sia sorta nell'uomo quella prima volontà cattiva.

Rispondiamo: Da un movimento dell'animo senza coazione di nessuno.

Si obietta: Apparve nell'opera di Dio? Assentiamo che è vero.

Si chiede perché non dissentiamo da ciò, noi che neghiamo il peccato naturale.

Rispondiamo: Perché nell'opera di Dio il peccato viene fuori dal possibile, non dal necessario.

I comportamenti naturali sono dunque necessari, i comportamenti possibili sono volontari.

Agostino. Ci sono anche i comportamenti volontari necessari, come vogliamo essere beati ed è necessario che lo vogliamo; ci sono anche i comportamenti possibili naturali: così è possibile infatti che concepisca una femmina che si unisce ad un maschio per mezzo delle membra genitali di lui e di lei, se non è sterile né lei né lui; ma non è necessario: può appunto accadere, ma non accade necessariamente, e tuttavia è naturale.

Taci, ti scongiuro. Sono vane le tue definizioni; né sono sottili, ma puerili le tue distinzioni.

56 - Né la natura né la libertà dell'uomo è causa del peccato

Giuliano. E perciò, come il peccato lo ascriviamo ad un movimento libero, così la natura a Dio creatore.

È quindi la natura umana una buona opera di Dio; la libertà dell'arbitrio, ossia la possibilità o di delinquere o di fare rettamente, è altrettanto un'opera buona di Dio.

L'una e l'altra viene all'uomo dal necessario e nessuna di queste due realtà è causa del male.

Ma a questo punto si fermano le realtà necessarie.

In esse certamente sorge poi la volontà, ma non da esse.

Sono infatti capaci di volontà, non piene di volontà; né fanno, ma ospitano la diversità dei meriti.

Agostino. Sei esattissimo nel confessare che la natura e il libero arbitrio sono opere buone di Dio.

Che cosa invece si può dire di più insano della tua affermazione: " La volontà sorge certamente in esse, ma non da esse "?

È proprio vero, o Giuliano, che la volontà dell'uomo non sorge dall'uomo, se l'uomo è un'opera buona di Dio?

Ha potuto infine nascere davvero nel tuo cuore il dubbio che la volontà dell'uomo sorga, sì, nell'uomo, ma non dal libero arbitrio dell'uomo?

Di' dunque donde, se non dalla natura, ossia dall'uomo stesso; se non dal suo libero arbitrio, di', prego, donde sorga la volontà dell'uomo.

Hai detto dove sorge, di' anche donde sorge.

Buone opere di Dio sono la natura e il libero arbitrio.

In esse, dici, sorge la volontà, ma non da esse.

Donde dunque? Dillo, ascoltiamolo, impariamolo.

Oppure mostra qualcosa che sia sorto là donde non era.

Il mondo è sorto certamente dal nulla, ma perché l'ha fatto Dio: se infatti non avesse avuto Dio come artefice, non sarebbe potuto in nessun modo sorgere da cose nulle.

Se dunque anche la volontà nell'uomo o nel suo libero arbitrio è sorta dal nulla, chi l'ha fatta?

O se non è stata fatta, è almeno sorta: chi l'ha generata?

O è forse la sola di tutte le realtà che hanno cominciato ad essere che non sia stata fatta da nessuno e non sia nata da nessuno?

Per quale ragione dunque a causa di essa si condanna l'uomo nel quale, lui nolente, è sorta la volontà cattiva, della quale egli era soltanto capace e non efficace?

Se poi per essere condannato giustamente, la volontà cattiva è sorta in lui volente, per quale ragione neghi che sia sorta da lui la sua stessa volontà, che non neghi sorta da lui volente e che non neghi che non sarebbe potuta sorgere se non da lui volente?

Ma essendo sorta da lui, è sorta dalla natura, perché l'uomo è natura e, poiché poté anche non volere ciò che volle, è sorta dal suo libero arbitrio, che appartiene anch'esso alla natura, come tu confessi.

Per quale ragione dunque neghi ad occhi chiusi verità aperte come questa, che cioè dalla natura dell'uomo sorga la volontà dell'uomo, mentre temi che Manicheo accusi l'Autore di questa natura?

È sufficiente a respingere tale pestilenza ciò che predica la verità cattolica: dall'ottimo Dio l'uomo fu creato così da non avere la necessità di peccare e da non peccare se non voleva peccare, potendo sempre certamente anche non volerlo.

Chi infatti può essere tanto cieco di mente da non vedere che nelle condizioni in cui l'uomo fu creato primitivamente, è un grande bene della natura il poter non peccare, per quanto sia un bene ancora più grande il non poter peccare, e che con ottimo ordine fu stabilito che il poter non peccare ci fosse prima come fonte del merito dell'uomo e il non poter peccare ci fosse dopo come premio di chi avesse ben meritato?

57 - Senza la libertà non esiste ciò che essa non costringe ad esistere

Giuliano. La buona possibilità dunque del male e del bene non costringe la volontà, ma le permette di sorgere.

Nessuno dunque è buono per questo, che è stato dotato di libero arbitrio: ci sono appunto molti uomini ugualmente liberi, ma tuttavia pessimi; nessuno però è cattivo per questo, che è di libero arbitrio: ci sono molti ugualmente partecipi di questa libertà e tuttavia ottimi.

Né buono quindi, né cattivo è l'uomo per questo che è libero, ma né buono né cattivo potrebbe essere se non fosse libero.

Questa possibilità dunque, che si indica con il nome di libertà, è stata costituita così dal sapientissimo Dio che senza di essa non ci sia ciò che non è costretto da essa ad esserci.

Con una e sola capacità dei contrari si preserva infatti la volontà dalla predeterminazione dell'uno e dell'altro, cioè non si può dire causa e necessità né della volontà cattiva né della volontà buona una volontà che ospita l'una e l'altra senza forzare all'esistenza né l'una né l'altra.

Delle azioni necessarie dunque è singolo l'itinerario e uno solo è in qualche modo il filo: è quasi come la lunghezza geometrica senza la larghezza, né qui si può dividere l'unione.

Finché dunque l'itinerario si estende singolo, mantiene la forza della sua natura, ma dove gli capita di scindersi in direzioni diverse, subito allora cessa quella necessità.

Questo vuol dire la frase: Il buon Dio fece buono l'uomo.

Agostino. Per quale ragione dunque hai detto che l'uomo non è né buono né cattivo se non per volontà propria, e che quanto ha da Dio lo ha dalla parte del necessario e non dalla parte del possibile?

Il che lo vuoi far intendere dalla parte della natura e non dalla parte della volontà, così che l'uomo sia buono con la propria forza e non con la forza di Dio, o certamente migliore con la propria forza che con la forza di Dio.

Queste sono appunto le tue parole: Nessuno è buono per questo che è stato dotato di libero arbitrio.

E poco dopo tu dici: Né per questo nessuno è cattivo perché è di libero arbitrio.

Con le quali parole che cosa dici se non questo: Dio non fece l'uomo né buono né cattivo, ma l'uomo si fa da sé buono e cattivo come gli piace, usando bene o male del libero arbitrio?

Cos'è dunque quello che dici adesso: Il buon Dio fece buono l'uomo, se egli non è né buono né cattivo per il possesso del libero arbitrio che Dio fece in lui, ma per il buon uso del libero arbitrio, ossia quando ormai da sé vuole in modo buono, non quando ha la possibilità di volere in modo buono?

E in che senso sarà vera la frase: Dio fece l'uomo retto? ( Qo 7,29 )

Era forse retto l'uomo che aveva, non la volontà buona, ma la possibilità della volontà buona?

Dunque era anche cattivo l'uomo che aveva, non la volontà cattiva, ma la possibilità della volontà cattiva, e da lui stesso gli viene la volontà buona, ed è falso ciò che è stato scritto: La volontà viene preparata dal Signore, ( Pr 8,35 sec. LXX ) e: Dio suscita in voi l'operare e il volere. ( Fil 2,13 )

Quantunque tu dica che nemmeno dall'uomo stesso venga all'uomo la volontà buona o cattiva, ma che essa sorge nell'uomo e non dall'uomo.

Così avviene che per la tua mirabile sapienza né Dio abbia fatto retto l'uomo, ma lo abbia fatto tale che potesse essere retto se lo voleva; né l'uomo faccia retto se stesso, ma diventi retto non so per quale caso, perché nemmeno da lui, ma non so donde o non so come sorge in lui la volontà che lo fa retto.

Questa non è la sapienza che viene dall'alto, ma è la sapienza terrena, animale, diabolica. ( Gc 3,15 )

58 - La beatitudine di non poter peccare

Giuliano. Che la sostanza cominci e cominci in modo buono dipende dalla unità del necessario.

Riceve anche la libertà dell'arbitrio e la sostanza è contenuta ancora dentro la linea del necessario, ma ormai c'è la fine delle azioni necessarie e da qui le volontà si fendono in direzioni contrarie.

All'unità del necessario non appartiene dunque la natura della divisione.

Così siamo costretti ad avere la possibilità, ma non siamo costretti ad usare bene o male della stessa possibilità.

Così avviene che anche la possibilità di peccare sia capace del bene e del male, ma volontario, poiché non avrebbe potuto essere capace del proprio bene, se non fosse stata capace anche del male.

Agostino. Di' piuttosto, se vuoi dire la verità, che la natura dell'uomo fu fatta dapprima capace del bene e del male: non perché non avrebbe potuto essere fatta capace del bene soltanto, ma perché dovette progredire ordinatissimamente da quel primo gradino: se non avesse peccato quando poteva peccare, giungesse a quella beatitudine dove non potesse peccare.

Perché, come ho già detto, è un grande bene l'uno e l'altro bene, anche se l'uno è più piccolo e l'altro più grande.

È infatti un bene minore poter non peccare, è invece un bene maggiore non poter peccare, e bisognava giungere dal merito del bene minore al premio del bene maggiore.

Infatti non avrebbe potuto essere capace del proprio bene, come dici tu, se non fosse stata capace anche del male.

Per quale ragione la natura umana, dopo aver trascorso piamente questa vita, sarà capace del bene soltanto e non del male, ossia sarà aliena non solo da ogni volontà o necessità di peccare, ma altresì dalla possibilità di peccare?

Oppure c'è da temere che pecchiamo anche quando saremo uguali agli angeli santi?

Dei quali dobbiamo senza dubbio credere che abbiano ricevuto il dono di non poter peccare per merito della loro perseveranza, perché rimasero fedeli quando, cadendo gli altri, avrebbero potuto anch'essi peccare.

Altrimenti ci sarebbe ancora da temere che questo mondo abbia ad avere molti nuovi diavoli e con essi nuovi angeli cattivi.

Anche la vita dei santi, che sono usciti dai corpi, sarà sospetta per noi: che anche là dove sono giunti abbiano forse già peccato o forse pecchino, se nella natura ragionevole rimane la possibilità di peccare, né può essere capace del bene senza esserlo anche del male.

Le quali asserzioni poiché sono fortemente assurde, tale opinione è da respingersi ed è da credere piuttosto che per questo cotesta natura sia stata fatta primitivamente capace e del bene e del male perché scegliendo per amore l'uno dei due acquistasse il merito di diventare successivamente capace del bene soltanto o del male soltanto, in modo tuttavia che, se fosse colpita dalla condanna eterna, fosse costretta a patire soltanto e non anche lasciata libera di fare il male.

59 - La possibilità è vuota, la necessità è piena

Giuliano. Ma quanta differenza c'è tra il pieno e il vuoto, altrettanta ce n'è evidentemente tra la possibilità e la necessità.

La possibilità infatti apparisce vuota di quella realtà di cui si dice capace, mentre, se non ne fosse vuota, non ne sarebbe nemmeno capace.

Chi riceverebbe infatti ciò che avesse già?

La necessità invece non indica la vacuità, ma la pienezza: essa non può ricevere appunto come se ne fosse vuota ciò che la fa essere, per così dire, piena.

Tanto ci corre quindi tra i necessari e i possibili quanto tra i pieni e i vuoti.

La possibilità dunque per lo stesso accoglimento degli opposti è difesa dalla predeterminazione dell'una o dell'altra qualità di cui è ugualmente capace.

La possibilità ha dunque la necessità del bene soltanto nella natura, per quanto spetta all'onore dell'Autore; e questo bene è l'innocenza non mescolata per natura con nessun male e accoglitrice del proprio operare secondo la proprietà del bene e l'accusazione del male.

Quello dunque che a ciascuno viene dal proprio, ciascuno lo può ferire peccando, ma quanto ciascuno ha ricevuto dall'opera di Dio, non lo può scolorire.

Rimane dunque anche negli uomini cattivi la determinazione tassativa del bene naturale, né sarà mai un male aver potuto fare il bene e il male, ma tale possibilità non gioverà per nulla a quella persona che non condanna certamente gli istituti della sua necessità, ma li ha costretti tuttavia a non giovarle.

Come dunque in quell'uomo in cui si è già esplicata la libertà ascriviamo alla sua volontà il male quando pecca, ma la natura a Dio, autore della creazione, così se di un bambino, che non ha l'uso della volontà e non presenta null'altro all'infuori degli istituti della natura, si dica che è pieno di scelleratezza e che per una necessità ha il male che l'altro riceve dalla possibilità, senza dubbio si incolpa come autore del crimine colui che è l'Autore della natura.

Agostino. Le tue regole le rompiamo apertamente nei grandi, perché tu non le possa trasferire nei piccoli.

Non era un piccolo colui che diceva: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio. ( Rm 7,19 )

Non c'era in lui la vacuità della possibilità, ma la pienezza della necessità, per parlare di questi temi nel modo tuo: non era egli un vuoto capace di ricevere, ma era già pieno del male che aveva ricevuto.

Non dichiarò infatti: Posso compiere il bene e il male: la quale possibilità non fu un male della natura umana, né della volontà; ma dichiarò: Io non faccio il bene che voglio.

Né soltanto, bensì Agostino.giunse pure: Ma compio il male che non voglio.

Ecco, tanto il bene che non compie, quanto il male che compie, non lo deve alla possibilità, come tu stesso stabilisci, ma lo deve alla sua necessità, come egli patisce e asserisce; egli è senza dubbio un uomo insufficiente a fugare le proprie miserie, ma è un martello assolutamente sufficientissimo a frantumare le vostre regole.

Vuole ciò che è buono e non lo compie, non vuole ciò che è male e lo compie: donde questa necessità?

La riconoscono bene i dottori cattolici che intendono il discorso dell'apostolo Paolo rivolto da lui anche a se stesso, e non dubitano che tale necessità venga dalla legge che nelle nostre membra muove guerra alla legge della nostra mente e senza la quale non nasce nessun uomo, e vedono detto anche dai santi: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, per questo che vedono quanto gran bene sia il non concupire nemmeno con la carne le azioni che sono avversate dalla mente, e vedono che i santi lo vogliono e non lo fanno, e vedono che è male, anche se la mente non acconsente, concupire tuttavia tali azioni pur soltanto con la carne, e vedono che i santi non lo vogliono ma lo fanno, certamente senza meritare nessuna condanna, poiché, distrutto dalla rigenerazione il reato di questo peccato, si oppongono con lo spirito per non portare ad esecuzione ciò che concupiscono con la carne; ma non senza qualche loro male, non essendo stata mescolata a loro una natura aliena, ma essendo nella loro mente e nella loro carne la loro natura.

Questo modo pio e vero di sentire contro la vostra cliente voi non lo volete ammettere, quasi che lo facciate apposta, perché nel tribunale dove la difendete non si deponga nulla contro di essa, a vostro dispetto, non solo dalla letteratura, ma nemmeno dagli stessi costumi degli uomini e dai gemiti dei santi, e si deponga a favore di essa con tanto manifesta verità che rimanga non la vostra eloquenza ma la sola vostra impudenza, con la quale non possiate ma vogliate difenderla.

Cos'è infatti questo vostro sforzo di oscurare le verità aperte con una tempesta di torbida loquacità?

Grida l'Apostolo: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio.

Grida anche precedentemente: Non sono io a farlo, ma il peccato che abita in me; so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene. ( Rm 7,17-19 )

Cos'è: Non sono io a farlo? Cos'è se non ciò che spiega successivamente?

Dicendo appunto: Io faccio quello che non voglio, indica che è lui a fare, e dicendo al contrario: Non sono io a farlo, indica che non lo fa la sua mente consenziente, ma la sua carne concupiscente: concupiscendo appunto agisce la carne, anche se non trascina al consenso la mente.

Per questo aggiunge: Io so che non abita in me.

E spiega che cosa non abiti in lui dicendo: Cioè nella mia carne il bene.

Ma siano coteste voci non dell'Apostolo, bensì, come volete voi, di un qualsiasi uomo oppresso dalla sua cattiva abitudine, che non può vincere con la sua volontà.

Non è anche questa abitudine tanto robusta da spezzare e da stritolare con la sua forza le vostre argomentazioni sul possibile e sul necessario, simili alle tavolette da gioco dei ragazzi?

Poiché, anche se voi non lo volete, c'è non solo il peccato volontario e possibile, dal quale è libero astenersi, ma altresì il peccato necessario, dal quale non è libero astenersi e che non è già soltanto peccato, ma pure pena del peccato.

E non volete considerare che quanto si compie in ciascuno per la violenza dell'abitudine, da alcuni dotti chiamata una seconda natura, altrettanto è stato compiuto per la violenza penale di quel sommo e massimo peccato del primo uomo in tutti coloro che erano presenti nei suoi lombi ed erano destinati a nascere per mezzo della sua concupiscenza nel propagarsi del genere umano: la quale concupiscenza coprì nella regione dei lombi il pudore di coloro che peccarono.

Indice

24 Sopra 5,24
25 De nupt. et concup. 2,28,48
26 Ambrosius, De Isaac et anima 7, 670
27 De nupt. et concup. 2, 28,48