Esposizione dei Salmi

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Salmo 119 (118)

Discorso 26

1 - [v 121.] Giustizia e giudizio

Cominciamo ad esaminare ed esporre i versi di questo gran salmo che cominciano così: Ho operato il giudizio e la giustizia: non consegnarmi a chi vuol farmi del male.

Nulla di strano che abbia agito secondo il giudizio e la giustizia colui che poc'anzi aveva chiesto venissero fissate con i chiodi del timore casto di Dio le sue carni, cioè le passioni carnali che sogliono ostacolare il nostro giudizio impedendogli d'essere retto.

Per quanto infatti nel nostro modo di parlare si chiami giudizio tanto quello che è retto quanto quello che non lo è ( per cui nel Vangelo fu necessario specificare: Non giudicate badando alle persone ma con retto giudizio ( Gv 7,24 ) ), tuttavia nel nostro passo "giudizio" è detto in maniera tale che non lo si chiamerebbe appunto giudizio se non fosse retto.

Se così non fosse, non si sarebbe contentato di dire: Ho operato il giudizio, ma avrebbe detto: Ho operato con retto giudizio.

Una espressione di questo tipo usò anche il Signore Gesù quando disse: Voi avete dimenticato i punti più gravi della legge: il giudizio, la misericordia e la fedeltà. ( Mt 23,23 )

Anche qui si parla di giudizio in maniera che tutto lascia sottintendere come un giudizio non retto non sarebbe giudizio.

E molti altri sono i passi delle Scritture divine in cui ci si esprime così.

Ad esempio: La misericordia e il giudizio io canterò a te, o Signore. ( Sal 11,1 )

E ancora presso Isaia: Mi aspettavo che facesse il giudizio e invece operò l'iniquità. ( Is 5,7 )

Non dice: " Ho atteso che operasse secondo un giudizio giusto, essa invece ha operato secondo un giudizio iniquo"; ma si esprime lasciando intendere che un giudizio in tanto è giudizio in quanto è giusto, mentre non sarebbe giudizio se fosse ingiusto.

Riguardo alla giustizia, invece, non c'è una giustizia che sia buona e un'altra che sia cattiva, a differenza del giudizio che talvolta è buono tal altra cattivo.

Essendo giustizia, è per ciò stesso buona.

È vero che nel nostro parlare comune è invalso l'uso di distinguere espressamente se si tratti di giudizio buono o di giudizio cattivo, come anche quello di distinguere fra giudice buono e giudice cattivo.

Comunque, riguardo alla giustizia nessuno parla di giustizia buona e giustizia cattiva, come nessuno parla di giusto buono e di giusto cattivo, poiché per il fatto stesso di essere giusto uno è necessariamente anche buono.

È dunque la giustizia una grande virtù dell'animo, una virtù degna di lode quanto altre mai, della quale non abbiamo ora agio di dissertare a lungo.

Tornando quindi al giudizio, esso, se il rigore della espressione usata lo lascia intendere esercitato nel bene, è l'operazione della giustizia.

Chi infatti ha la giustizia giudica rettamente; anzi, secondo la parola del nostro salmo, chi ha la giustizia giudica, poiché, se non giudicasse secondo giustizia non giudicherebbe affatto.

Col nome di giustizia poi in questo passo si indica non la virtù in se stessa ma le opere che essa fa compiere.

Chi, poi, opera nell'uomo la giustizia se non colui che giustifica l'empio, che cioè con la sua grazia lo rende, da empio, giusto?

Come dice l'Apostolo: [ Siete stati ] giustificati gratis per la grazia di lui. ( Rm 3,24 )

Opera dunque la giustizia, cioè compie opere di giustizia, colui che ha in sé la giustizia, la quale a sua volta è opera della grazia.

2 - Resistere all'antico avversario

Dice: Ho operato il giudizio e la giustizia; non mi consegnare a chi vuol farmi del male.

Cioè: Ho agito secondo un giudizio giusto; non consegnarmi a coloro che per questo motivo mi perseguitano.

Ci sono infatti diversi codici che leggono proprio così: Non consegnarmi a chi mi perseguita.

Il greco in effetti reca: τοίς άντιδιχοϋσι, e questo termine alcuni l'hanno tradotto: A chi mi vuol male, altri: A chi mi perseguita, e altri ancora: A chi mi calunnia.

Mi sorprende il fatto che, fra tutti i codici che ho avuto per mano, nessuno legga: A chi mi avversa, poiché in realtà la parola greca  άντίδιχος, corrisponde al termine latino " avversario ".

Ebbene, pregando il Signore che non lo consegni agli avversari, cosa gli chiede se non quello stesso che chiediamo noi quando nella nostra preghiera diciamo: Non c'indurre in tentazione? ( Mt 6,13 )

Si tratta infatti di quell'avversario a proposito del quale l'Apostolo dice: Affinché non vi tenti colui che tenta. ( 1 Ts 3,5 )

È a lui che Dio dà in mano quanti sono da lui abbandonati.

Il nemico, infatti, non potrà mai sedurre se non colui che Dio abbandona: quel Dio che, nel suo beneplacito, conferisce all'uomo, oltre che la bellezza, anche il vigore.

Se invece, divenuto ricco, dice: Io non mi lascerò smuovere in eterno, ( Sal 30,7-8 ) Dio ritrae da lui il suo volto ed egli si turba e appare a se stesso [ chi veramente sia ].

In conclusione, quanti tengono crocifissa la propria carne mediante il timore casto di Dio e, per nulla intaccati dalle lusinghe della corruzione, praticano il giudizio e compiono le opere della giustizia, costoro debbono pregare per non essere abbandonati in potere dell'avversario.

Debbono cioè pregare affinché, mentre temono di subire il male [ loro minacciato ], non cedano ai persecutori e si lascino indurre a commettere il male.

È infatti lo stesso colui dal quale deriva all'uomo la vittoria sulla concupiscenza, impedendo al piacere di attirarlo, e colui che gli dà la forza della pazienza perché il dolore non lo abbatta.

Di lui infatti si dice in un passo: Il Signore darà la dolcezza, ( Sal 85,13 ) e altrove: Da lui proviene la mia pazienza. ( Sal 62,6 )

3 - [v 122.] Continua poi: Abbi cura del tuo servo per il suo bene; non lancino i superbi calunnie contro di me.

Loro mi spingono a cadere nel male; tu abbi cura di me per il mio bene.

Alcuni hanno tradotto: Non mi calunnino, riproducendo letteralmente l'espressione greca; questo modo di dire però è in latino poco usato.

O che forse dicendo: Non mi calunnino, si sarà voluto dare alla frase quel valore che avrebbe se in sua vece fosse stato detto: " Che non mi sopraffacciano con le loro calunnie "?

4 - [v 123.] Cristo salvatore rappresentato nel serpente di bronzo

Molte sono le calunnie con le quali i superbi vilipendono l'umiltà cristiana.

Ma tra queste, sempre che il termine superbi sia qui riferito ad uomini, la più grande è senza dubbio quella per cui ci rinfacciano di adorare un morto.

In effetti, con la morte di Cristo si va alla radice stessa dell'umiltà cristiana che da essa riceve un suggello divino.

Viceversa, per gli increduli è occasione di calunnia, e ciò tanto per i Giudei come per i pagani.

Anche gli eretici trovano modo di calunniarci e ciascuno ci rivolge calunnie di suo conio; e ci calunniano, ancora, gli scismatici e tutti quelli che per superbia si sono staccati dalla compagine delle membra di Cristo.

Riguardo poi al diavolo, qual è la calunnia di fondo che egli con accanimento ci rivolge se non quella con cui un giorno calunniò il giusto, dicendo: Forse che Giobbe adora Dio disinteressatamente? ( Gb 1,9 )

Ebbene, le calunnie di tutti questi superbi sono come veleno di serpenti, e le si vince mirando con pietà sommamente vigile e amorosa Cristo crocifisso.

A raffigurare questo, Mosè nel deserto, eseguendo il comando di Dio misericordioso, ( Gv 3,14 ) fece sollevare su un'asta di legno l'effigie di un serpente. ( Nm 21,9 )

Significava così in anticipo come la carne del peccato ha da essere crocifissa in Cristo.

Guardando dunque questa croce salutare, noi allontaneremo ogni sorta di veleno inoculatoci dai superbi calunniatori.

Guardava infatti ad essa, e con molta attenzione ( se così è lecito dire ), anche colui che diceva: I miei occhi sono venuti meno guardando alla tua salvezza e alla parola della tua giustizia.

Infatti, per amor nostro Dio ha reso Cristo peccato, dandogli una carne peccatrice come la nostra, ( Rm 8,3 ) perché noi in lui siamo giustizia di Dio. ( 2 Cor 5,21 )

Dice dunque il salmista che i suoi occhi sono venuti meno nel parlare di tale giustizia di Dio: l'ha cioè guardata con vivissimo ardore, come uno che è assetato.

Ricordando insomma la debolezza umana, egli vive desiderando la grazia divina donata a chi è in Cristo.

5 - [v 124.] Per questo continua: Opera nel tuo servo conforme alla tua misericordia, non conforme alla mia giustizia; e insegnami - dice - le vie della tua giustizia: certamente quelle con cui Dio ci rende giusti, non quelle con cui l'uomo giustifica se stesso.

6 - [v 125.] Crescere continuamente in intelligenza spirituale

Io sono tuo servo: non mi giovò, infatti, l'aver preteso di essere libero e padrone di me stesso, e non tuo servo.

Dammi intelletto per conoscere le tue testimonianze.

È una richiesta che non deve mai interrompersi.

Non basta, infatti, aver ricevuto una volta l'intelligenza e aver appreso le testimonianze di Dio.

Occorre riceverla di continuo e, per così dire, bere di continuo alla fonte della luce eterna.

Le testimonianze di Dio, infatti, si conoscono in maniera sempre più completa man mano che uno diviene più dotato di intelligenza.

7 - [v 126.] Legge e grazia

Dice: Tempo d'operare per il Signore.

Così la maggior parte dei codici: non, come qualcuno reca: O Signore.

Qual è dunque questo tempo a cui si riferisce?

E cos'è ciò che, secondo lui, deve essere fatto dal Signore?

Senza dubbio ciò che aveva indicato con le parole precedenti: Opera nel tuo servo conforme alla tua misericordia.

Di operare questo è ora tempo per il Signore.

E di che si tratta, se non della grazia che a suo tempo si è rivelata in Cristo?

Di questo tempo dice l'Apostolo: Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio. ( Gal 4,4 )

Allo stesso riguardo l'Apostolo cita una testimonianza profetica che suona: Nel tempo propizio ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. ( Is 49,8 )

E precisa: Eccolo ora il tempo favorevole, eccolo ora il giorno della salvezza. ( 2 Cor 6,2 )

Ma che senso hanno le parole che il salmista, quasi a mostrare perché sia per il Signore giunto il momento d'operare, immediatamente aggiunge dicendo: Essi hanno dissipato la tua legge?

Sembra che in tanto è giunto al Signore il tempo d'agire in quanto i superbi hanno annullato la sua legge: quei superbi che, misconoscendo la giustizia di Dio e volendo affermare la propria, non si assoggettano alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )

Che significa infatti: Hanno dissipato la tua legge, se non che, rendendosi colpevoli di trasgressione, essi non ne hanno conservata l'integrità?

Era quindi necessario che a questi orgogliosi, presuntuosamente fieri delle risorse del proprio libero arbitrio, fosse imposta una legge causa di trasgressioni.

Trovandosi in tale situazione, essi si sarebbero umiliati e compunti e avrebbero ricorso all'aiuto della grazia, guidati non dalla legge ma dalla fede.

Quando poi fu annullata la legge, era ormai tempo che fosse inviata la misericordia ad opera dell'unigenito Figlio di Dio.

Infatti la legge subentrò perché il delitto, ad opera del quale la legge stessa sarebbe stata annullata, raggiungesse il colmo; ma allora, essendo i tempi ormai maturi, apparve il Cristo, per il quale là dove il delitto era stato abbondante la grazia divenne più abbondante ancora. ( Rm 5,20 )

8 - [v 127.] La Legge di per sé opprime, non salva

Dice: Per questo io ho amato i tuoi precetti più dell'oro e del topazio.

La grazia tende a questo: far eseguire con la forza dell'amore quei precetti che mediante il timore non era possibile attuare.

Infatti per tale grazia viene diffusa nei nostri cuori la carità ad opera dello Spirito Santo che c'è stato dato. ( Rm 5,5 )

In vista di ciò diceva il Signore: Non sono venuto per abolire la legge ma per completarla. ( Mt 5,17 )

E l'Apostolo: Pienezza della legge è la carità. ( Rm 13,10 )

Ecco perché più che l'oro e il topazio o, come si legge in un altro salmo, più che l'oro e le pietre preziosissime. ( Sal 19,11 )

Dicono infatti che il topazio sia una pietra delle più pregiate.

Purtroppo però ci furono di quelli che non compresero la grazia che si celava nel Vecchio Testamento, quasi che [ fra i due Testamenti ] si fosse calato un velo, ben rappresentato nel fatto che essi non osavano guardare al volto di Mosè. ( Es 34,33; 2 Cor 3,13 )

Costoro per conseguire una ricompensa terrena e materiale s'arrabattavano a mettere in pratica la legge di Dio, ma non riuscivano appunto perché non amavano la volontà di Dio ma qualcos'altro.

Da questo atteggiamento segui che gli stessi precetti non producessero le opere che potevano attendersi da gente volenterosa, ma rimasero solo pesi imposti a di renitenti.

Al contrario, quando i comandamenti di Dio vengono per se stessi amati più dell'oro e delle pietre di gran pregio, ogni ricompensa terrena è insignificante rispetto agli stessi comandamenti; e tutti gli altri beni, di qualunque sorta siano, non possono in alcuna maniera paragonarsi ai beni per i quali l'uomo diviene lui stesso buono.

9 - [v 128.] Dice: Perciò secondo tutti i tuoi comandamenti io mi raddrizzavo.

Mi raddrizzavo perché li amavo e mediante l'amore m'immedesimavo con loro, affinché, essendo loro retti, divenissi retto anch'io.

Era logico, quindi, s'avverasse quel che aggiunge, e cioè: Ho odiato ogni via dell'iniquità.

Come poteva infatti non odiare la via iniqua se amava quella diritta?

Non diversamente, se avesse amato l'oro e le pietre preziose, avrebbe per forza odiato ogni cosa che poteva compromettergli il possesso di tali cose.

In sostanza, siccome egli amava i precetti di Dio, odiava necessariamente la via dell'iniquità, che rappresentava per lui una specie di scoglio pericolosissimo nel mare che stava attraversando: uno scoglio in cui inevitabilmente si naufraga e si resta privi delle cose preziose [ che si portano ].

Perché questo non gli abbia a capitare, gira le vele a tutt'altra direzione il [ buon ] nocchiero che del legno della croce si è fatto nave, caricandola di quella merce che sono i comandamenti di Dio.

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