La Genesi alla lettera

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Libro XI

1.1 - La tentazione e la caduta dell'uomo in Gen 2,25-3,24

Ora Adamo ed [ Eva ] sua moglie erano tutti e due nudi, ma non provavano vergogna.

Il serpente però era il più astuto di tutti gli animali della terra fatti dal Signore.

Il serpente disse alla donna: È forse vero che Dio vi ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del paradiso?

La donna rispose al serpente: Del frutto degli alberi che sono nel paradiso noi possiamo mangiare, ma riguardo al frutto dell'albero sito nel mezzo del paradiso Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, per evitare di morire.

Ma il serpente rispose alla donna: Voi non morrete affatto.

Poiché Dio sapeva che il giorno in cui ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come dèi, conoscitori del bene e del male.

La donna allora osservò l'albero ch'era buono da mangiare, era delizia per gli occhi e bello da contemplare, e prendendo del suo frutto ne mangiò e poi ne diede anche al marito, ch'era con lei, e ne mangiarono.

Si aprirono allora gli occhi di ambedue e s'accorsero d'essere nudi; intrecciarono perciò foglie di fico e se ne fecero cinture intorno ai fianchi.

Udirono poi la voce del Signore Dio che passeggiava nel paradiso verso sera.

Allora Adamo e sua moglie si nascosero dalla presenza del Signore Iddio in mezzo agli alberi del paradiso.

Ma il Signore Dio chiamò Adamo e gli disse: Dove sei? Rispose: Ho udito la tua voce mentre passeggiavi nel paradiso e ho avuto paura, poiché sono nudo, e mi sono nascosto.

Ma Dio gli rispose: Chi ti ha fatto sapere che sei nudo se non il fatto che hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato di non mangiare?

Rispose Adamo: La donna, che mi hai dato per compagna, è stata lei a darmi dell'albero e io ne ho mangiato.

Il Signore Iddio allora disse alla donna: Perché hai fatto ciò?

Rispose la donna: Il serpente mi ha ingannata, e io ho mangiato.

Allora il Signore Iddio disse al serpente: Poiché hai fatto ciò, sarai maledetto fra tutti gli animali e tutte le bestie selvatiche che sono sulla terra.

Sul tuo petto e sul tuo ventre dovrai strisciare e polvere dovrai mangiare tutti i giorni della tua vita.

Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua e la sua discendenza.

Essa insidierà la tua testa e tu insidierai il suo tallone.

Alla donna invece disse: Renderò assai numerose le tue sofferenze e le tue doglie; con dolore dovrai partorire figli; il tuo istinto ti spingerà verso tuo marito, ma egli ti dominerà.

Ad Adamo poi disse: Poiché hai dato ascolto alle parole di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui solo ti avevo proibito di mangiare, maledetta sarà la terra nei tuoi lavori; con dolore ne ricaverai il tuo cibo tutti i giorni della tua vita; essa produrrà per te spini e rovi e mangerai l'erba dei campi.

Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei terra e alla terra tornerai.

Adamo poi chiamò "Vita" sua moglie poiché essa è la madre di tutti i viventi.

Il Signore Iddio fece per Adamo e per la moglie tuniche di pelle e li vestì.

Dio allora disse: Ecco, Adamo è divenuto come uno di noi avendo la conoscenza del bene e del male.

Ora bisogna proibirgli che stenda la sua mano e prenda dall'albero della vita e ne mangi e [ così ] viva per sempre.

Il Signore Iddio allora lo scacciò dal paradiso di delizie e lo pose nella parte opposta al paradiso di delizie e stabilì dei cherubini e la spada di fiamma roteante per custodire l'accesso all'albero della vita. ( Gen 2,25-3,24 )

1.2 - Senso letterale e senso allegorico nella sacra Scrittura

Prima di spiegare frase per frase il succitato testo della Scrittura, credo opportuno ripetere qui l'avvertimento che credo di avere già fatto anche in un altro passo della presente opera, che cioè da noi deve esigersi di difendere il senso letterale dei fatti narrati dall'autore sacro.

Se però tra le espressioni preferite da Dio e da qualsivoglia persona chiamata da Dio al ministero di profeta, se ne trova qualcuna che non può esser presa alla lettera senza che risulti assurda, non c'è dubbio che deve essere intesa in senso figurato, indicante qualcos'altro di natura simbolica; non è lecito tuttavia dubitare che [ quell'espressione ] sia parola di Dio.

Ciò lo esige l'attendibilità del narratore e la promessa del commentatore.

1.3 - Perché i progenitori non si vergognavano della loro nudità

Tutti e due erano nudi. ( Gen 2,25 )

È vero: i corpi dei due [ primi ] esseri umani, che vivevano nel paradiso, erano completamente nudi.

Ma non provavano vergogna. ( Gen 2,25 )

Perché si sarebbero dovuti vergognare, dal momento che non sperimentavano nelle loro membra alcuna legge in guerra con la legge del loro spirito? ( Rm 7,23 )

Quella legge fu inflitta loro come pena del peccato dopo che fu commessa la trasgressione, quando la disubbidienza si appropriò di ciò ch'era stato proibito e la giustizia punì il peccato commesso.

Prima che ciò avvenisse, essi erano nudi - come dice la Scrittura - e non sentivano vergogna; nel loro corpo non c'era alcun moto di cui dovessero vergognarsi; pensavano di non aver nulla da velare poiché non avevano provato alcun moto da frenare.

In qual modo avrebbero procreato figli è già stato discusso in precedenza, poiché prima che morissero, la morte già era germinata nel corpo di quelle persone disubbidienti, fomentando la ribellione delle loro membra disubbidienti con un giustissimo contrappasso.

Questa non era ancora la condizione d'Adamo e di Eva quando erano entrambi nudi ma senza provarne vergogna.

2.4 - Di che specie era e donde proveniva l'astuzia del serpente

C'era però il serpente, il più astuto, è vero, ma solo fra tutti gli animali fatti dal Signore Iddio. ( Gen 3,1 )

Ora, è in senso traslato che il serpente è chiamato il più accorto o, secondo parecchi manoscritti latini, il più saggio, non già in senso proprio, come s'intende di solito la parola "sapienza" quando è riferita a Dio, a un angelo o a un'anima razionale, ma nel senso in cui potrebbero chiamarsi "sapienti" anche le api e le formiche, poiché le loro opere manifestano una sorta di sapienza.

Questo serpente per altro potrebbe dirsi "il più sapiente" degli animali non a motivo della sua anima irrazionale, ma dello spirito d'un altro essere, ossia dello spirito diabolico.

Poiché per quanto in basso siano stati precipitati gli angeli ribelli dalla loro dimora celeste a causa della loro perversità e della loro superbia, tuttavia per la loro natura sono superiori a tutte le bestie a causa dell'eccellenza della loro ragione.

Che c'è dunque di strano se il diavolo, entrando nel serpente e sottomettendolo alla sua suggestione, comunicandogli il proprio spirito alla maniera in cui sogliono essere invasati i profeti dei demoni, l'aveva reso "il più sapiente" di tutte le bestie che vivono in virtù di un'anima viva ma irrazionale.

Ma è in senso improprio che si parla di "sapienza" a proposito di un malvagio, come si parla di "astuzia" a proposito d'una persona buona.

Poiché in senso proprio e secondo l'uso più corrente, almeno nella lingua latina, si chiamano "sapienti" le persone lodevoli, mentre per "astuti" s'intendono coloro che usano il loro senno per il male.

Ecco perché alcuni, come si può vedere su molti manoscritti, hanno tradotto secondo l'esigenza della lingua latina non la parola ma piuttosto l'idea, e così hanno preferito chiamare il serpente "il più astuto", anziché "il più sapiente" di tutti gli animali.

Quale sia il senso proprio di questo termine nell'ebraico, se cioè in quella lingua alcuni si possono chiamare e intendere "sapienti" in rapporto al male non in senso improprio ma in senso proprio, se la vedano gli specialisti in quella lingua.

Noi tuttavia leggiamo chiaramente in un altro passo delle Sacre Scritture di alcuni chiamati "sapienti" in rapporto al male e non al bene; ( Ger 4,22 ) e il Signore afferma che i figli di questo mondo sono più sapienti dei figli della luce per provvedere alla loro vita futura sebbene in modo fraudolento e non secondo giustizia. ( Lc 16,8 )

3.5 - Il diavolo poteva sedurre solo per mezzo del serpente

Noi però non dobbiamo immaginare affatto che il diavolo si scegliesse di proprio arbitrio e potere il serpente per tentare l'uomo e persuaderlo a commettere il peccato ma, essendo insito in lui il desiderio d'ingannare a causa della sua perversa e invidiosa volontà, non poté soddisfarlo se non mediante l'animale con cui gli fu permesso di appagarlo.

In ciascuno infatti la perversa volontà di recar danno può derivare anche dalla propria anima, ma il poterlo compiere non deriva se non da Dio e ciò a motivo d'una giustizia occulta e profonda, poiché in Dio non c'è ingiustizia. ( Rm 13,1 )

4.6 - Perché fu permessa la tentazione

Se dunque si chiede perché Dio permise che fosse tentato l'uomo ch'egli prevedeva avrebbe dato il consenso al tentatore, io non posso scandagliare la profondità dei disegni divini e confesso che [ la soluzione ] del problema sorpassa di molto le mie forze.

Può esserci dunque forse una causa occulta, la cui conoscenza è riservata - non per i loro meriti ma piuttosto per una grazia di Dio - a persone più valenti e più sante di me; ma tuttavia, nei limiti della facoltà che Dio mi concede di capire o mi permette di dire, non mi pare che l'uomo sarebbe stato degno di gran lode, se fosse stato in grado di vivere rettamente per la semplice ragione che nessuno lo avrebbe persuaso a vivere male, dal momento che nella sua natura aveva il potere e, nel suo potere, la capacità di volere per non acconsentire ai consigli del tentatore, sempre però con l'aiuto di Colui che resiste ai superbi, ma concede la sua grazia agli umili. ( Gc 4,6 )

Perché dunque Dio non avrebbe dovuto permettere che l'uomo fosse tentato, sebbene prevedesse che avrebbe acconsentito [ alla tentazione ]?

L'uomo infatti, in quell'occasione, avrebbe agito di propria volontà e avrebbe, così, commesso la colpa e avrebbe dovuto subire il castigo per essere restituito nell'ordine della giustizia di Dio?

In tal modo Dio avrebbe mostrato all'anima, per istruzione dei suoi servi futuri, quanto rettamente egli si serve delle volontà anche perverse delle anime quando queste si servono delle loro nature buone per fare il male.

5.7 - L'uomo soggiacque alla tentazione per la superbia

Non si deve però immaginare nemmeno che il tentatore avrebbe potuto far cadere l'uomo, se prima non fosse sorto nell'animo dell'uomo un sentimento di superbia ch'egli avrebbe dovuto reprimere; mediante l'umiliazione causata dal peccato avrebbe così imparato quanto falsamente presumesse di se stesso.

È assolutamente vero ciò che dice la sacra Scrittura: Prima della rovina lo spirito s'insuperbisce e prima della gloria si umilia. ( Pr 16,18 )

Questa è forse la voce dell'uomo che risuona nel Salmo: Nella mia abbondanza io dissi: Non sarò scosso in eterno. ( Sal 30,7 )

In seguito, dopo aver imparato per esperienza qual male ha in sé la superba presunzione del proprio potere e qual bene ha in sé l'aiuto della grazia, dice: Signore, per la tua volontà avevi dato valore alla mia dignità; ma poi hai distolto la tua faccia da me e io ne sono rimasto sconvolto. ( Sal 30,8-9 )

Ma sia che questa espressione si riferisca al primo uomo, sia che si riferisca a un altro, tuttavia si doveva dare una lezione all'anima che si esalta e presume troppo di quella che crede una forza propria - anche facendole sperimentare il castigo - per mostrarle in qual misero stato viene a trovarsi una creatura quando si allontana dal proprio Creatore.

Con ciò viene messo fortemente in rilievo qual bene è Dio, dal momento che non si sente felice nessuno che si allontana da lui; infatti da una parte coloro, che ripongono il loro godimento nei piaceri mortiferi, non possono sentirsi esenti dalla paura di soffrire; da un'altra parte coloro i quali, come drogati e resi insensibili dall'eccessiva loro superbia, non si accorgono affatto della sventura della loro apostasia, appaiono molto più infelici di coloro che sanno riconoscere la loro diserzione da Dio; in tal modo, se rifiutano di prendere il rimedio per evitare siffatte sventure, serviranno d'esempio per farle evitare ad altri.

Ecco perché l'apostolo Giacomo dice: Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce: la concupiscenza poi concepisce e genera il peccato, e il peccato, una volta commesso, genera la morte. ( Gc 1,14-15 )

Ne segue che, quando è guarita l'enfiagione della superbia, l'uomo si rialza se la volontà di rimanere fedele a Dio, che gli era mancata prima della prova, la possiede dopo la prova per tornare a Dio.

6.8 - Utilità della tentazione

Ora, alcuni rimangono imbarazzati al pensiero che Dio abbia permesso questa tentazione del primo uomo, come se non vedessero che adesso tutto il genere umano viene continuamente tentato dalle insidie del demonio.

Perché Dio permette anche ciò? Forse perché in questo modo viene messo alla prova e si fa esercitare la virtù, e la palma della vittoria di non consentire alla tentazione è più gloriosa di quella di non aver potuto essere tentati.

Poiché anche quegli stessi, che hanno abbandonato il Creatore, seguono il loro tentatore e tentano sempre più coloro che restano fedeli alla parola di Dio e offrono ai loro tentatori - per farli resistere alla passione - l'esempio di come evitare la tentazione e infondono in loro un santo timore per combattere la superbia.

Ecco il motivo per cui l'Apostolo dice: Vigilando su te stesso per non cadere anche tu nella tentazione. ( Gal 6,1 )

È sorprendente come tutte le Sacre Scritture si premurano di raccomandarci continuamente l'umiltà, con cui ci sottomettiamo al Creatore ed evitiamo di credere che non abbiamo bisogno del suo aiuto presumendo delle nostre forze.

Poiché dunque anche i peccatori contribuiscono al progresso dei virtuosi e gli empi al progresso dei timorati di Dio, non ha senso dire: "Dio non avrebbe dovuto creare coloro che prevedeva sarebbero stati cattivi".

Perché mai, infatti, non avrebbe dovuto creare coloro che egli prevedeva sarebbero di giovamento ai buoni affinché da una parte nascessero per essere utili ad esercitare e ammaestrare la volontà dei buoni e, d'altra parte, ricevessero anch'essi un giusto castigo per la cattiva loro volontà?

7.9 - Perché l'uomo non fu creato impeccabile

"Dio - dicono alcuni - avrebbe dovuto creare l'uomo di tal natura che gli fosse assolutamente estranea la volontà di peccare".

Ora, io ammetto che è migliore la natura a cui è assolutamente estranea la volontà di peccare; ma ammettano anch'essi a loro volta che, se da un lato non è cattiva una natura fatta in modo che poteva non peccare qualora non lo avesse voluto, dall'altro lato è giusto il verdetto con cui essa fu punita, dal momento che aveva peccato con il suo libero arbitrio senz'esservi costretta.

Allo stesso modo quindi che la retta ragione c'insegna che è migliore la natura, alla quale non piace assolutamente nulla d'illecito, così la retta ragione c'insegna nondimeno che è buona anche la natura che ha in suo potere di reprimere il piacere illecito qualora esso sorga [ nell'animo ] in modo da rallegrarsi non solo delle altre sue azioni lecite e buone ma anche della repressione dello stesso piacere cattivo.

Poiché quindi questa natura è buona ma l'altra è migliore, perché mai Dio avrebbe dovuto creare quella sola e non piuttosto l'una e l'altra?

Per conseguenza coloro, che erano pronti a lodar Dio d'aver creato solo la prima [ specie di creature ], dovrebbero lodarlo ancora di più per aver creato l'una e l'altra; l'una infatti si trova nei santi angeli, l'altra negli uomini santi.

Coloro invece che hanno scelto per sé di mettersi dalla parte del male, hanno corrotto la loro natura degna di lode; il fatto poi che Dio prevedeva la loro condotta non è certo una ragione che non avrebbero dovuto esser creati.

Anch'essi infatti hanno [ tra gli esseri ] il loro posto che devono occupare per l'utilità dei fedeli servi di Dio.

Poiché Dio non ha bisogno della bontà d'alcun uomo retto, tanto meno dell'iniquità di un malvagio.

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