La Genesi alla lettera

Indice

Libro XI

8.10 - Perché Dio crea individui che prevede di condannare

Chi, dopo seria riflessione potrebbe dire: "Dio avrebbe fatto meglio a non creare uno che egli prevedeva sarebbe potuto esser corretto per mezzo del peccato d'un altro anziché creare anche uno che prevedeva sarebbe dovuto essere condannato per il suo peccato"?

Ciò infatti equivale a dire: "Sarebbe meglio che non ci fosse alcuno che per la misericordia di Dio venisse premiato per aver fatto buon uso del peccato di un altro, anziché esistesse un malvagio che fosse castigato giustamente per il proprio peccato".

Quando la ragione ci mostra senz'ombra di dubbio due beni non ugualmente buoni, ma uno migliore dell'altro, i tardi di mente non comprendono che, quando dicono: "Questi due beni dovrebbero essere uguali", non dicono altro che: "Dovrebbe esistere solo il bene migliore".

In tal modo, desiderando stabilire l'uguaglianza tra le diverse specie di buoni, ne diminuiscono il numero e, aumentandone a dismisura quello d'una sola specie, sopprimono l'altra specie.

Chi mai però darebbe ascolto a costoro, se dicessero: "Siccome il senso della vista è più eccellente dell'udito, ci dovrebbero essere quattro occhi ma non dovrebbero esserci le orecchie"?

Così pure, se è più eccellente la creatura razionale che senza alcuna paura del castigo e senz'alcuna superbia si sottomette a Dio, e se al contrario tra gli uomini è stato creato un altro fatto in modo che possa riconoscere i benefici di Dio soltanto vedendo il castigo d'un altro - e perciò non monti in superbia ma abbia timore, ( Rm 11,20 ) ossia non presuma di sé ma riponga la sua fiducia in Dio - chi, se fosse sano di mente, potrebbe dire: "Questa creatura dovrebbe essere uguale a quell'altra", senza capire che non direbbe nient'altro che: "Non dovrebbe esistere questa creatura ma solo quell'altra"?

Siffatte affermazioni sono espressioni d'individui ignoranti e sciocchi.

Perché mai Dio non avrebbe dovuto creare anche coloro che prevedeva sarebbero stati malvagi, volendo manifestare la sua collera e far crescere la sua potenza, sopportando perciò con grande pazienza vasi di collera già pronti per la perdizione, al fine di far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia predisposti da lui per la gloria? ( Rm 9,22-23 )

Così però chi si vanta non deve vantarsi se non nel Signore, ( 2 Cor 10,17 ) sapendo che non da lui ma da Dio dipende la propria esistenza ma che anche la propria felicità dipende solo da Colui dal quale ha il proprio essere.

8.11 - Lo stesso argomento

È perciò molto irragionevole dire: "Non dovrebbero esistere individui ai quali Dio concederebbe il gran beneficio della sua misericordia, se non potessero esistere senza ch'esistessero anche quelli per mezzo dei quali egli potesse manifestare la giustizia del suo castigo".

9. Perché mai, infatti, non dovrebbero esistere piuttosto ambedue queste specie di persone, dal momento che per mezzo dell'una e dell'altra viene fatta conoscere - com'è doveroso - la bontà e l'equità di Dio?

9.12 - Prescienza di Dio e libertà dell'uomo

Ma qualcuno potrebbe obiettare: "Se Dio avesse voluto, sarebbero stati buoni anche i cattivi".

Quanto è meglio, invece, che Dio abbia voluto così: che cioè gli uomini fossero come vogliono essere, ma che i buoni non restassero senza il premio né i malvagi senza il castigo, e con ciò stesso fossero utili agli altri!

"Ma Dio - replicheranno - prevedeva che la volontà di siffatti individui sarebbe stata cattiva".

Sì, la prevedeva di certo e, poiché la sua prescienza non può sbagliare, cattiva era la volontà di essi, non quella di Dio.

"Perché allora creò individui che prevedeva sarebbero stati malvagi?".

Perché, allo stesso modo che prevedeva il male che avrebbero commesso, così prevedeva anche qual bene avrebbe ricavato dalle loro cattive azioni.

Egli infatti li creò formandoli sì da lasciar loro la facoltà di compiere anch'essi qualcosa per cui, qualunque cosa avessero scelto anche in modo colpevole, avrebbero potuto costatare che l'azione di Dio nei loro riguardi era degna di lode.

Proprio da loro infatti deriva la loro cattiva volontà, da lui invece la natura buona e il giusto castigo che rappresenta la funzione meritata da essi, e cioè: per gli altri un mezzo perché siano messi alla prova e un esempio per incutere timore.

10.13 - Perché Dio non converte i malvagi

"Ma Dio - si replica - dal momento che è onnipotente, avrebbe potuto volgere al bene anche le volontà dei malvagi".

Lo avrebbe potuto certamente. "E perché allora non lo fece?". Perché non lo volle.

"E perché non lo volle?". Il motivo per cui non lo volle è un segreto che sa lui solo.

Non dobbiamo infatti sapere più di quanto dobbiamo sapere. ( Rm 12,3 )

Credo tuttavia d'aver dimostrato assai chiaramente poco più sopra che non è un bene di poco pregio una creatura razionale, anche quella che evita il male riflettendo sulla sorte dei malvagi.

Ora questa specie di creature non esisterebbe di certo, se Dio avesse convertito tutte le volontà malvagie verso il bene e non avesse inflitto il meritato castigo ad alcuna violazione della legge di Dio; in tal modo non ci sarebbe che la sola specie delle persone che progrediscono nella virtù senza bisogno di considerare i peccati o il castigo dei malvagi.

Così, col pretesto d'ingrandire il numero delle persone più perfette, verrebbe diminuito il numero delle diverse specie dei buoni.

11.14 - Il castigo dei malvagi serve alla correzione degli altri

"Tra le opere di Dio - obiettano ancora - ce n'è dunque qualcuna che ha bisogno del male di un'altra creatura perché quell'altra progredisca nel bene?".

Certi individui, a causa di una non so quale passione per la controversia, sono divenuti pertanto talmente sordi e ciechi da non udire o vedere qual gran numero di persone si correggono quando alcuni sono stati puniti?

Qual pagano, qual Giudeo, qual eretico non lo sperimenta ogni giorno nella propria famiglia?

Ma quando si viene a discutere e indagare la verità, questi individui si rifiutano di riflettere e comprendere da quale opera della divina Provvidenza viene l'impulso d'infliggere loro il castigo in modo che, anche se coloro che vengono puniti non si correggono, nondimeno temeranno il loro esempio tutti gli altri, e il giusto castigo dei malvagi servirà alla salute dei buoni.

È forse Dio la causa della malizia e della malvagità di coloro mediante il cui giusto castigo viene in aiuto a coloro che ha stabilito di soccorrere con questo mezzo? No davvero!

Iddio tuttavia, pur prevedendo che quegli individui sarebbero stati cattivi a causa dei loro vizi personali, non si astenne dal crearli destinandoli all'utilità di quest'altre persone da lui create in modo che non potrebbero progredire nel bene senza riflettere sulla sorte dei malvagi.

Se infatti questi non esistessero, non gioverebbero a nulla.

È forse un piccolo bene che esistano questi individui che per lo meno sono utili all'altra categoria di persone?

Chi desidera che non esistano siffatti individui, non cerca altro che di non essere lui stesso nel numero dei medesimi.

11.15 - Prescienza e provvidenza di Dio

Grandi sono le opere del Signore, da ricercare in tutte le sue volontà! ( Sal 111,2 )

Egli prevede coloro che saranno buoni e li crea; prevede coloro che saranno cattivi e li crea, dando se stesso ai buoni affinché possano trovare la loro gioia in lui; ma anche ai cattivi egli concede generosamente molti dei suoi doni, perdonandoli con misericordia, castigandoli con giustizia, e in modo analogo castigandoli con misericordia e perdonandoli con giustizia, senza temer nulla dalla malizia di nessuno né aver bisogno della giustizia di nessuno; senza cercare per se stesso alcun vantaggio neppure dalle azioni dei buoni, ma avendo di mira il vantaggio dei buoni procurato anche con il castigo dei cattivi.

Perché dunque non avrebbe dovuto permettere che l'uomo fosse tentato perché con quella tentazione si rivelasse, fosse convinto di peccato e punito quando il superbo desiderio d'essere padrone di se stesso avesse partorito ciò ch'esso aveva concepito ( Gc 1,15 ) e sarebbe rimasto pieno di vergogna a causa del peccato commesso e con il suo giusto castigo avrebbe distolto dal peccato di superbia e disubbidienza gli uomini avvenire per i quali era stato stabilito che quei fatti dovevano essere messi in iscritto e fatti conoscere.

12.16 - Perché il demonio tentò per mezzo del serpente

Se poi si chiede perché Dio permise al diavolo di tentare [ l'uomo ] mediante il serpente a preferenza [ di altri animali ], chi non vede che quel fatto avvenne precisamente per indicare qualcosa d'importante, come ricorda la Scrittura, la quale ha un'autorità così grande che, nel suo parlare ispirato da Dio, si basa su tanti argomenti divini quante sono le profezie adempiute e di cui il mondo è ormai ripieno?

Non che il diavolo volesse simbolizzare qualcosa per la nostra intenzione, ma siccome non avrebbe potuto avvicinarsi all'uomo per tentarlo se non ne avesse avuto il permesso, avrebbe forse potuto farlo con un mezzo diverso da quello con cui gli era permesso di accostarglisi?

Per conseguenza qualunque cosa, di cui era simbolo il serpente, dev'essere attribuita alla divina Provvidenza, in dipendenza della quale anche il diavolo ha sì il perverso desiderio di nuocere ma, quanto al potere di effettuarlo, ha solo quello concessogli [ da Dio ] per far cadere o mandare in rovina i vasi di collera o per umiliare o anche mettere alla prova i vasi di misericordia.

Noi sappiamo donde deriva la natura del serpente: la terra, alla parola del Signore, produsse tutti gli animali e le bestie e i serpenti.

Tutte queste creature, dotate di un'anima vivente ma irrazionale, per una legge di gerarchia voluta da Dio, sono sottomesse a tutte le creature razionali, buona o cattiva che sia la loro volontà. ( Gen 1,20-26 )

Che c'è dunque di strano se Dio permise al demonio di compiere un'zione per mezzo del serpente, dal momento che Cristo stesso permise ai demoni d'entrare nei porci? ( Mt 8,32 )

13.17 - La natura del demonio è buona perché creata da Dio

D'ordinario si discute piuttosto con maggior sottigliezza della natura del demonio.

Alcuni eretici infatti, urtati dal fatto che la sua volontà è malvagia, si sforzano di presentarlo assolutamente estraneo alla creazione del sommo e vero Dio e attribuirgli un altro principio che, secondo essi, sarebbe contrario a Dio.

Essi non riescono a capire che tutto ciò che esiste, in quanto è una sostanza, non solo è un bene ma non potrebbe avere l'esistenza se non dal vero Dio da cui deriva ogni bene; che al contrario, quando si preferiscono i beni inferiori a quelli superiori, ciò avviene per un impulso disordinato della cattiva volontà; così avvenne che lo spirito della creatura razionale, compiacendosi del proprio potere, a causa della sua eccellenza si gonfiò di superbia e perciò cadde dalla felicità del paradiso spirituale struggendosi di gelosia.

Tuttavia nel caso di questo spirito è un bene il fatto stesso di vivere e vivificare un corpo, si tratti d'un corpo materiato d'aria, come quello che vivifica lo spirito dello stesso diavolo o dei demoni, sia che si tratti d'un corpo terrestre come quello vivificato dall'anima di qualunque uomo anche se malvagio e perverso.

Per conseguenza costoro, negando che un essere fatto da Dio pecchi di propria volontà, affermano che la sostanza di Dio stesso è stata corrotta e pervertita dapprima per necessità e in seguito irreparabilmente di propria volontà.

Ma di questo dissennatissimo errore abbiamo già parlato a lungo in altre occasioni.

14.18 - La superbia, causa della caduta degli angeli

Nella presente opera, al contrario, noi dobbiamo indagare che cosa bisogna dire a proposito del diavolo attenendoci alla sacra Scrittura.

In primo luogo dobbiamo indagare se proprio all'origine del mondo il diavolo, poiché s'era compiaciuto del proprio potere, si separò da quella comunità e carità in virtù della quale sono beati gli angeli che godono di Dio, o se rimase per qualche tempo nella santa comunità degli angeli anche lui ugualmente giusto ed ugualmente beato.

Alcuni infatti affermano ch'egli fu precipitato dalla dimore celeste perché aveva avuto invidia dell'uomo fatto ad immagine di Dio.

L'invidia infatti è una conseguenza della superbia, non la precede, perché causa della superbia non è l'invidia, ma causa dell'invidia è la superbia.

Poiché dunque la superbia è l'amore della propria eccellenza, l'invidia invece è l'odio della felicità altrui, è evidente quale dei due vizi ha origine dall'altro.

Chiunque infatti ama la propria eccellenza invidia i propri pari perché sono uguali a lui e invidia quelli che gli sono inferiori perché non arrivino allo stesso livello o quelli che gli sono superiori per il fatto di non essere uguale a loro.

È quindi a causa della superbia che si è invidiosi, non a causa dell'invidia che si è superbi.

15.19 - La superbia e l'amor proprio fonti d'ogni male

A ragione la Scrittura definisce la superbia principio del peccato, dicendo: Principio di ogni peccato è la superbia. ( Sir 10,15 )

Con questo testo concorda pienamente anche ciò che dice l'Apostolo: L'avarizia ò la radice di tutti i mali, ( 1 Tm 6,10 ) se per "avarizia" intendiamo in senso generico la "brama" di chi desidera qualcosa che oltrepassa ciò che è necessario a motivo della propria eccellenza e di un certo amore per il proprio interesse personale, amore al quale la lingua latina ha dato saggiamente la qualifica di privatus, cioè di "amore egoistico", aggettivo usato evidentemente per indicare più una perdita anziché un guadagno; ogni privazione infatti comporta una perdita.

Per questo fatto dunque la superba brama di elevarsi viene precipitata nel bisogno e nella miseria poiché, a causa del funesto amore di sé, dalla ricerca del bene comune si restringe al proprio bene individuale.

L'avarizia però, nel senso specifico del termine, è il vizio che più comunemente si chiama "brama del denaro".

Ma l'Apostolo, indicando con il termine specifico il senso generico, con la frase: L'avarizia è la radice di tutti i mali voleva far intendere ogni specie di avidità.

Fu infatti a causa di questo vizio che cadde il demonio il quale non aveva certamente la brama del denaro, ma quella del proprio potere.

È per questo che l'amore perverso di se stessi priva della comunione degli angeli santi lo spirito gonfio di superbia e questo rimane oppresso dal suo misero stato mentre desidera appagare le sue brame compiendo l'iniquità.

Ecco perché, dopo aver detto in un altro passo: Ci saranno uomini amanti di se stessi, l'Apostolo soggiunge immediatamente: amanti del denaro, ( 2 Tm 3,2 ) scendendo dal concetto generico di avidità, la cui sorgente è la superbia, a questo senso specifico che si riferisce propriamente agli uomini.

Anche gli uomini, infatti, non sarebbero avidi di denaro, se non si reputassero tanto superiori quanto più sono ricchi.

A questo perverso amore si oppone la carità che non cerca il proprio interesse, ( 1 Cor 13,5 ) cioè non si compiace della propria eccellenza; a ragione perciò non si gonfia d'orgoglio. ( 1 Cor 13,4 )

15.20 - I due amori e le due città

Di questi due amori l'uno è puro, l'altro impuro; l'uno sociale, l'altro privato; l'uno sollecito nel servire al bene comune in vista della città celeste, l'altro pronto a subordinare anche il bene comune al proprio potere in vista di una dominazione arrogante; l'uno è sottomesso a Dio, l'altro è nemico di Dio; tranquillo l'uno, turbolento l'altro; pacifico l'uno, l'altro litigioso; amichevole l'uno, l'altro invidioso; l'uno che vuole per il prossimo ciò che vuole per sé, l'altro che vuole sottomettere il prossimo a se stesso; l'uno che governa il prossimo per l'utilità del prossimo, l'altro per il proprio interesse.

Questi due amori si manifestarono dapprima tra gli angeli: l'uno nei buoni, l'altro nei cattivi, e segnarono la distinzione tra le due città fondate nel genere umano sotto l'ammirabile ed ineffabile provvidenza di Dio, che governa ed ordina tutto ciò che è creato da lui: e cioè la città dei giusti l'una, la città dei cattivi l'altra.

Inoltre, mentre queste due città sono mescolate in un certo senso nel tempo, si svolge la vita presente finché non saranno separate nell'ultimo giudizio: l'una per raggiungere la vita eterna in compagnia con gli angeli buoni sotto il proprio re, l'altra per essere mandata nel fuoco eterno con il suo re in compagnia degli angeli cattivi.

Di queste due città parleremo più a lungo forse in un'altra opera, se il Signore vorrà.

Indice