Il lavoro dei monaci

Indice

9.10 - Interpretazioni assurde e faziose

Ci ritorna ancora, e in più forme e a più riprese l'Apostolo ricorda ciò che gli sarebbe stato lecito e che egli ha sempre rifuggito.

Dice: Voi ben sapete come gli addetti ai lavori del tempio vivono delle rendite del tempio e coloro che prestano servizio all'altare partecipano delle offerte dell'altare.

Similmente, ordinò il Signore che i banditori del vangelo debbono vivere del vangelo.

Io, nondimeno, di queste concessioni non ho mai voluto usare. ( 1 Cor 9,13-15 )

Si possono immaginare parole più chiare e più esplicite?

Mi viene fatto di temere che, mentre prolungo il ragionamento e l'esposizione, finisca col diventare oscuro quello che di per se stesso è evidente e manifesto.

Che se c'è della gente che tali parole o non riesce a capirle o fa finta di non riuscirci, tanto meno comprenderà le mie o riconoscerà che le mie sono comprensibili.

A meno che un tale riconoscimento non sia dovuto al fatto che, riguardo alle mie parole, si sentono liberi di burlarsi di quello che hanno inteso, mentre altrettanto non è loro permesso quando si tratta delle parole dell'Apostolo.

È per questo che, se non ce la fanno a interpretarle diversamente, in modo che quadrino con la loro opinione, si ostinano a rispondere che tali espressioni, siano pure chiare e lampanti quanto si vuole, hanno un significato oscuro e incerto.

Ciò, naturalmente, perché non possono qualificarle come false e sballate.

L'uomo di Dio asserisce perentorio: Il Signore ha comandato che quanti predicano il vangelo abbiano a trarre il sostentamento dal vangelo: disposizione della quale peraltro io mi sono sempre rifiutato di trarre profitto.

Uomini grossolani, eccoli a far di tutto per traviare le idee giuste, ingarbugliare quelle ovvie, rendere oscure quelle chiare.

L'apostolo Paolo - sentenziano - si occupava in lavori spirituali e da questi traeva il sostentamento.

In tal modo egli viveva del vangelo.

Ma allora come fa egli a dire: Il Signore ha dato facoltà ai banditori del vangelo di vivere da esso; io però non ho voluto mai far uso di questa concessione?

Che se anche il verbo " vivere " avesse ad intendersi in senso spirituale, povero Apostolo!, cui non sarebbe restata alcuna speranza di salvezza presso Dio, dal momento che - come egli stesso afferma allorché dice: Io però mi sono rifiutato di trarre profitto da tali cose - del vangelo non ci viveva.

Se al contrario vogliamo concedere che l'Apostolo aveva certa la fiducia della vita eterna, dobbiamo concludere che i vantaggi della vita spirituale dal vangelo egli ce li traeva.

Per cui, quando afferma che nessuna utilità ha tratto dal vangelo, deve intendersi senza alcun dubbio dei vantaggi della vita temporale.

Egli si riferisce alla concessione fatta dal Signore ai predicatori del vangelo, i quali debbono vivere del vangelo, vale a dire che dal vangelo debbono ricavare il necessario sostentamento per la vita mortale di quaggiù, quella che ha bisogno di vitto e di vestito.

L'aveva già asserito dei suoi compagni di apostolato, e l'aveva detto il Signore in persona: L'operaio ha diritto a nutrirsi, ( Mt 10,10 ) e ancora: L'operaio merita il giusto compenso. ( Lc 10,7 )

Orbene, questi alimenti e questo salario, che gli evangelizzatori erano autorizzati a percepire per il loro sostentamento dalle popolazioni cui recavano la buona novella, san Paolo non volle mai accettarlo.

Proprio come dice: Ma io di tutte queste cose non ho voluto profittare.

10.11 - Il disinteresse favorisce l'accettazione del Vangelo

L'Apostolo prosegue aggiungendo dei particolari, affinché nessuno resti dell'idea che egli non accettò le offerte per il fatto che nessuno gliene dava.

Non scrivo queste cose affinché facciate altrettanto con me.

Sarebbe per me molto meglio morire che permettere che qualcuno venga a strapparmi questo titolo di gloria. ( 1 Cor 9,15 )

Quale gloria se non quella che s'era proposto d'avere dinanzi a Dio adattandosi per amore di Cristo alle esigenze dei fratelli più deboli?

Lo dirà subito appresso in termini perentori: Se mi dedico al vangelo, ciò non è per me un vanto; è una necessità che mi si impone.

Dice questo riferendosi alla necessità di sostentare la vita presente, poiché soggiunge: Guai a me se non predicassi il vangelo; ( 1 Cor 9,16 ) il che vuol dire: Rifiutandomi di predicare il vangelo, lo farò a tutto mio danno perché avrò da patire la fame né troverò mezzi per vivere.

Notiamo tuttavia come proseguendo dice: Se invece lo faccio di propria spontanea volontà, ne traggo del compenso.

Può dire che lo fa spontaneamente se non vi è spinto da alcun bisogno di provvedere alle necessità della vita presente e, in tal caso, certo può attendersi della ricompensa e precisamente dinanzi a Dio nella vita eterna.

Dice ancora: Ma se lo faccio per forza, è un incarico che mi è stato affidato. ( 1 Cor 9,17 )

E vuol significare: Se contro voglia sono costretto a predicare il vangelo per tirare avanti la vita, è sempre un compito che mi è stato affidato.

E in termini ancor più chiari: Potrà succedere che dal mio ministero, dalla predicazione che io fo di Cristo e della verità, altri traggano profitto; ma io, avendo agito per opportunismo o per tornaconto o perché costretto da necessità materiali, dinanzi a Dio non conseguirò l'eterna ricompensa di gloria.

Quale dunque sarà la mia ricompensa?, dice.

È un interrogativo che si pone, e quindi la lettura qui va interrotta un momento, finché non venga la risposta.

Per capirci meglio, proviamo noi stessi a rivolgergli la domanda: Quale sarà dunque, o Apostolo, la tua ricompensa, dal momento che tu rifiuti d'accettare quella materiale che è dovuta agli zelanti araldi del vangelo, i quali, per quanto non mossi dalla prospettiva di questi vantaggi materiali a svolgere il loro lavoro di evangelizzazione, tuttavia li accettano come un provento aggiuntivo a titolo d'offerta basata sulla disposizione del Signore?

Dicci: Quale sarà la tua ricompensa? Eccoti quello che ti risponderebbe: Nell'evangelizzare voglio spargere la buona novella senza alcun lucro.

Cioè: Non voglio che a causa del vangelo ai convertiti ne vadano delle spese, né voglio dar loro motivo di pensare che in tanto lo si predica in quanto il predicatore vi esercita una specie di commercio.

E, pur tuttavia, ama tornare di bel nuovo a presentarci quel che, a norma delle facoltà accordate da Cristo, gli sarebbe stato consentito di esigere e che egli si rifiuta di esigere per non usare in misura indebita - come egli si esprime - del diritto che pur possiede nei confronti del vangelo. ( 1 Cor 9,18 )

11.12 - Condiscendenza di Paolo verso i deboli:

a) Sotto la legge, con la legge, senza legge;

b) Paolo non è opportunista né simulatore.

Ascoltiamo il brano seguente da cui si ricava che la condotta di Paolo era suggerita da compassione per le persone più deboli nella fede.

Pur essendo libero nei riguardi di tutti, mi sono voluto rendere servo di tutti per portare molta gente a salvezza.

Per chi era soggetto alla legge mi sono reso come un uomo obbligato alla legge - sebbene io non fossi stretto da tale obbligo -, pur di salvare i sottoposti alla legge. 

Per quelli che non hanno la legge mi sono reso come un uomo privo di legge - sebbene un senza legge io non lo sia ma abbia la legge di Cristo -, pur di salvare quelli che sono fuori della legge. ( 1 Cor 9,19-21 )

Si regolava in tal modo non per furberia o voglia di fingere ma perché animato da compassione e carità.

Non fu per apparire giudeo - come certuni hanno ritenuto -, che ad esempio, in Gerusalemme si assoggettò alle osservanze legali dell'Antico Testamento.

Lo fece, anzi, per conformarsi alla sua teoria, adottata liberamente e chiaramente formulata là dove dice: Se uno al momento della chiamata al cristianesimo è circonciso, non faccia scomparire questo segno.

Non dovrà, cioè, costui menare un tenore di vita quasi che fosse ridiventato pagano incirconciso, nascondendo a tal fine ciò che aveva messo allo scoperto.

Come in un altro passo dice: La tua circoncisione è divenuta prepuzio. ( Rm 2,25 )

In conformità dunque col suo principio che " chi è chiamato dal giudaismo non deve occultare la sua circoncisione e chi è chiamato di tra i pagani non deve farsi circoncidere ", ( 1 Cor 7,18 ) Paolo adottò comportamenti che agli occhi di gente ignara o sbadata poterono sembrare simulazioni.

Bisogna però sapere che egli era un giudeo e ricevette la chiamata al cristianesimo quand'era circonciso.

Pertanto, egli si rifiutò di ridiventare incirconciso, cioè di vivere come vivevano i cristiani provenienti dal paganesimo, sebbene una tale linea di condotta egli fosse libero di adottarla.

Egli non era soggetto alla legge mosaica come l'intendevano quelli che ne volevano un'osservanza servile, ma era sotto la legge di Cristo e di Dio, con la quale la legge di Mosè si identificava.

Poiché non erano due leggi diverse, come affermano quegli scellerati dei manichei.

Se dunque Paolo nell'adattarsi alle osservanze dei giudei lo fece per finta, si dovrebbe dire che, sia pure per finta, egli si fece pagano e offrì sacrifici agli idoli, poiché dice che, nei riguardi di quelli che erano al di fuori della legge, si comportò come un uomo senza la legge.

Con la quale espressione egli vuol indicare evidentemente i gentili, cioè coloro che noi siamo soliti chiamare pagani.

Bisogna ricordare a questo proposito che una cosa è essere sotto la legge, un'altra essere con la legge, una terza essere senza la legge.

Sotto la legge è la condizione dei giudei non rinati alla grazia; con la legge è la condizione di coloro che, giudei o cristiani che siano, sono mossi dallo spirito.

Per cui, se giudei, seguitano a regolarsi secondo le costumanze dei loro antenati, ma non impongono ai convertiti dal paganesimo pesi ai quali costoro non sono assuefatti e quindi sono loro soli che seguitano a circoncidersi.

Senza la legge è la condizione dei pagani che ancora non hanno conosciuto né abbracciato la fede: alle cui esigenze l'Apostolo dice di essersi adattato: non per opportunismo o voglia di simulare, ma per misericordiosa compassione, perché si sentiva in dovere d'andare incontro ai bisogni di quanti fra i giudei o i pagani fossero stati ancora uomini carnali, con quella compassionevole carità con cui egli stesso avrebbe desiderato d'essere trattato se si fosse trovato nelle loro condizioni.

Si poneva sulle proprie spalle la loro debolezza abbassandosi caritatevolmente al loro livello, non ingannandoli con una simulazione bugiarda.

Come egli spiega subito appresso: Mi sono reso debole con i deboli, per portare i deboli a salute. ( 1 Cor 9,22 )

Tali i motivi che lo spingevano a dire anche le cose riportate più sopra.

Quindi, come non era una fandonia l'essersi fatto debole con i deboli, allo stesso modo non lo erano gli altri atteggiamenti descritti prima.

Resta da vedere cosa sia stata quella che egli chiama debolezza sua verso i più deboli.

Non fu forse il riguardo che egli, mosso da carità, volle avere per loro, rifiutandosi d'accettare quello che a rigor di diritto divino gli sarebbe spettato?

La qual cosa egli fece per non dar l'impressione d'essere un venditore del vangelo e per non ostacolare così il diffondersi della parola di Dio suscitando sospetti presso della gente ancora impreparata.

Se egli, il suo compenso lo avesse preteso, non avrebbe agito da imbroglione, poiché era un diritto che realmente gli spettava.

Non accettandolo fu ugualmente leale e sincero.

Non disse infatti che non gli spettava, ma che, pur trattandosi d'un suo diritto, ci rinunziava e intendeva rinunziarci in modo assoluto.

Con ciò, vale a dire col non esigere quanto a lui dovuto, si rendeva debole: si rivestiva di quel sentimento di compassione che gli faceva pensare come avrebbe desiderato si agisse con lui nel caso che si fosse trovato nella stessa condizione di spirito tanto malferma da sospettare del traffico affaristico sul conto dei predicatori del vangelo vedendoli accettare compensi materiali.

12.13 - Si preoccupa di eliminare ogni pretesto

Di questa debolezza parla san Paolo in un altro passo delle sue lettere: In mezzo a voi siamo ridiventati dei bambini, come quando una nutrice si sta prodigando intorno ai suoi piccini.

Il contesto del brano sta a indicarci che si tratta proprio di questo.

Dice: Non siamo stati mai degli adulatori nel nostro parlare: voi lo sapete.

E nemmeno sospinti cupidamente da motivi di interesse: Dio ne è testimone.

Non abbiamo cercato gloria dagli uomini, né da voi né da altri.

Pur potendo esservi di peso, come apostoli di Cristo …

Ma abbiamo preferito essere bambini in mezzo a voi, come quando una madre prodiga cure verso i suoi figli. ( 1 Ts 2,5-7 )

Quel che ha detto ai Corinzi, cioè d'avere dei diritti in forza del suo ufficio di apostolo, come ne avevano gli altri suoi colleghi, ma di non averne mai usato, lo ripete nella frase ai Tessalonicesi: Pur avendo l'autorizzazione d'imporvi dei gravami, in quanto apostoli di Cristo …, che poi è lo stesso di quanto asseriva il Signore: L'operaio ha diritto al suo salario. ( Lc 10,7 )

E che tratti proprio di questo, lo si ricava dalle parole dette un po' prima, e cioè: Non per motivi d'interesse, Dio ne è testimone.

Vi erano infatti certuni che traevano motivo di scandalo dalla facoltà concessa da Cristo ai banditori del vangelo, ai predicatori coscienziosi che non annunziavano la buona novella per lucro, ma ricercavano il Regno di Dio lasciando che il resto fosse loro fornito gratuitamente.

C'erano dei tali di cui Paolo dice che sono servi non di Dio ma della loro pancia. ( Rm 16,18 )

E proprio per non dare appiglio a gente di tal fatta, l'Apostolo si rifiutava d'accettare anche quello che giustamente gli sarebbe aspettato.

Testimonianze esplicite in merito ne abbiamo nella seconda ai Corinti, dove Paolo dice che alle sue occorrenze han provveduto altre Chiese.

S'era ridotto, così pare, a tal grado d'indigenza che delle comunità lontane si sentivano in dovere d'inviargli il necessario per vivere, ma dalla gente presso cui si trovava non volle mai accettare niente.

Ecco le sue parole: Che, dunque, feci male allorché, umiliando me stesso al fine di innalzare voi, decisi di predicarvi il vangelo di Dio senza compenso?

Depauperai altre chiese, accettando da esse delle sovvenzioni per adempiere il mio ministero fra voi; e quando, nel mio soggiorno nella vostra città, mi trovai nella strettezza, non volli imporre gravami a qualcuno.

Furono i fratelli venuti dalla Macedonia che mi fornirono l'occorrente.

Quanto a voi, mi sono astenuto dall'imporvi qualunque sorta di gravami e sempre me ne asterrò.

Com'è certo che in me c'è la verità di Cristo, vi assicuro che questo vanto non mi sarà tolto da alcuno nelle regioni di Acaia.

Ma perché? perché non vi voglio bene? Lo sa Iddio.

Il mio agire, attuale e futuro, ha per solo ed unico motivo il proposito di voler togliere ogni pretesto a coloro che vanno in cerca d'un pretesto per poter essere trovati uguali a noi nelle cose di cui menano vanto. ( 2 Cor 11,7-12 )

È dei pretesti che qui dice di non voler offrire a nessuno che occorre intendere anche le altre parole, e cioè: e nemmeno sospinti da motivi di interesse, Dio ne è testimone.

Quello che dice nella sopra citata lettera, e cioè: Umiliando me stesso per innalzare voi, lo si ritrova nella prima lettera ai medesimi fedeli di Corinto: Mi sono fatto debole per riguardo ai deboli, ( 1 Cor 9,22 ) e nella lettera ai Tessalonicesi: Mi sono reso bambino in mezzo a voi, come quando una nutrice prodiga cure verso i suoi piccoli.

Attenzione pertanto a quel che segue: Alla stessa maniera, sentendoci pieni d'affetto per voi, ci sarebbe piaciuto farvi dono non soltanto del vangelo di Dio ma anche della nostra vita, poiché ci siete diventati oltremodo cari.

Vi ricorderete infatti, o fratelli, delle nostre fatiche e dei nostri disagi, come noi lavoravamo notte e giorno per evitare d'essere di peso a chiunque. ( 1 Ts 2,8-9 )

Precisazione che ricalca quanto detto prima e cioè che in qualità di apostoli di Cristo noi potevamo esservi di peso.

La sua condotta fu ispirata a sensi di trepidazione paterna, o materna, e suggerita dai pericoli che sarebbero derivati ai meno robusti nella fede, i quali, turbato l'animo da sospetti sia pure infondati, avrebbero preso a malvolere il vangelo, quasi fosse una cosa commerciabile.

Non diversamente suonano le parole che Paolo - secondo gli Atti degli Apostoli - ebbe a dire allorché, mandando da Mileto un'ambasceria ad Efeso, ne fece chiamare gli anziani della comunità ai quali, fra l'altro disse: Non sono stato mai avido né di argento né di oro né di vesti di alcuno; voi lo sapete.

Alle necessità mie e dei miei collaboratori han provveduto queste mani.

Con ogni cosa ho voluto mostrarvi come sia necessario lavorare e in tal modo andare incontro alle esigenze dei più deboli, tenendo anche in mente il detto del Signore Gesù quando diceva che è sorte più felice quella di dare che non quella di ricevere. ( At 20,33-35 )

13.14 - Il mestiere esercitato da Paolo fu certamente onesto

A questo punto qualcuno potrebbe chiedere: Se l'Apostolo lavorava manualmente per procurarsi da vivere, qual era il mestiere che esercitava e come riusciva insieme a lavorare e a predicare il vangelo?

Rispondo: Poni il caso che una risposta esauriente io non la sappia; resta sempre il fatto, indiscusso, dopo le affermazioni riportate sopra, che egli lavorava con le sue mani per trarne il sostentamento senza aver bisogno di ricorrere alla facoltà concessa dal Signore agli apostoli di vivere del vangelo che predicavano.

Non si trova infatti affermato in un passo soltanto o di sfuggita, di modo che il suo pensiero possa essere svisato o falsato dall'abilità di qualsiasi dialettico, magari il più sottile.

Che se gli argomenti forniti da una persona di così grande autorità qual era Paolo sono così forti e numerosi da ridurre in frantumi le obiezioni di qualunque avversario, a che pro chiedermi qual sorta di lavoro egli facesse o quando avesse il tempo per dedicarvisi?

Una cosa soltanto io so, e cioè che non rubava né depredava, che non era un bandito né un auriga o un combattente contro le fiere nel circo, che non faceva il ciarlatano o il biscazziere.

S'occupava invece in mestieri innocui e onesti e così produceva qualche articolo socialmente utile, come sono quelli degli artigiani, dei muratori, dei calzolai, dei contadini e di altri dello stesso genere.

Non è infatti in contrasto col vero concetto di dignità ciò che disdegna l'alterigia di coloro che amano essere chiamati " i dignitari " ma non amano acquistarne le doti.

L'Apostolo quindi non avrebbe rifuggito dal dedicarsi a qualche lavoro campestre o a qualche mestiere di artigiano.

Non saprei infatti di chi avrebbe dovuto aver soggezione in questa materia colui che aveva detto: Non vogliate essere d'ammirazione né per i giudei né per i pagani né per alcuno nella Chiesa di Dio. ( 1 Cor 10,32 )

Se uno dicesse: Per i giudei; ma anche i patriarchi erano pastori di greggi.

Se: Per i greci, quelli cioè che noi chiamiamo pagani; ma anche certi filosofi da loro ritenuti in grande considerazione facevano i calzolai.

Se: Per la Chiesa di Dio; fu un falegname ( Mt 13,55 ) quel giusto che Dio scelse a testimone della verginità di colei che da sposa e poi per sempre sarebbe rimasta illibata, colui - dico - cui era fidanzata la Vergine Maria, madre di Cristo.

Qualunque mestiere fra quelli elencati più sopra è dunque buono, purché lo si adempia con fedeltà e senza frode.

Poiché anche questa è una cosa da cui l'Apostolo mette in guardia, e cioè che nessuno abbia a sdrucciolare nel male per il bisogno di sostentarsi materialmente.

Dice infatti: Chi prima era dedito al furto smetta ormai di rubare, si dedichi piuttosto a qualche onesto lavoro manuale, in modo d'avere mezzi per andare in soccorso dei bisognosi. ( Ef 4,28 )

Basti dunque sapere questo: che, nel lavoro manuale da lui esercitato, l'Apostolo spiegava un'attività moralmente buona.

14.15 - Contrasto fra l'instancabile attività di Paolo e l'oziosità di certi monaci

Quando poi si dedicasse al lavoro, cioè in quali ore del giorno, senza che ciò gli ostacolasse la predicazione del vangelo, nessuno potrebbe precisarlo.

Ad ogni modo, egli personalmente ci riferisce che lavorava e di giorno e di notte. ( 1 Ts 2,9; 2 Ts 3,8 )

Quanto invece a questa gente che, indaffarata fino alla cima dei capelli, si prende la briga d'indagare sul tempo che Paolo dedicava al lavoro, loro stessi di che cosa si occupano?

Forse che sono stati loro a diffondere il vangelo per tutta la terra, da Gerusalemme via via tutt'all'intorno fino all'Illiria?

O forse che si sono loro assunti il compito di spingersi in mezzo a quante popolazioni barbare ancora ci sono, per arricchirle della pace della Chiesa?

Noi sappiamo bene, al contrario, che essi si trovano riuniti in una di per sé santa associazione ove menano una vita assolutamente inattiva.

Ammirevole condotta, invece, quella dell'Apostolo, il quale, pur in mezzo a tante cure per tutte le Chiese che, o già fondate o da fondarsi, rientravano nella sfera delle sue preoccupazioni e fatiche, trovava il modo di lavorare anche di lavoro manuale.

Eppure, quando durante il suo soggiorno a Corinto venne a trovarsi nell'indigenza, non volle essere di peso per nessuno di quelli del posto, ma alle sue necessità provvidero totalmente i fratelli venuti dalla Macedonia. ( 2 Cor 11,9 )

15.16 - I fedeli debbono essere generosi verso i predicatori del Vangelo

Paolo non ignorava che situazioni d'indigenza talora capitano ai fedeli: i quali, per quanto sottomessi alle norme da lui impartite di procurarsi il nutrimento lavorando in silenzio, per motivi vari possono aver bisogno che altri li riforniscano di quanto loro manca per sostentarsi.

Pertanto, dopo aver detto a guisa d'insegnamento e d'ammonizione: A costoro noi comandiamo e nel nome del Signore nostro Gesù Cristo indirizziamo un appello a procacciarsi di che vivere lavorando in silenzio, perché chi fosse stato in grado di soccorrere i servi di Dio nelle loro necessità non avesse a trarre dalle sue parole un motivo di rilasciamento nel beneficare il prossimo, con preveggente chiarezza soggiunse immediatamente: Ma voi, fratelli, non stancatevi di compiere il bene. ( 2 Ts 3,12-13 )

E scrivendo a Tito dice: Prima di te, al più presto mandami Zena, esperto nel giure, e Apollo, badando che loro non manchi nulla; e per far comprendere quali fossero i motivi per cui essi non dovevano mancare di nulla, soggiunge subito: Che i nostri imparino a organizzare opere di bene per ovviare alle necessità della vita e non rimangano sterili. ( Tt 3,13-14 )

E poi ci sono gli ammonimenti rivolti a Timoteo, che Paolo chiama il figlio del suo cuore.

Sapendolo fisicamente infermiccio, lo esorta a non bere soltanto acqua ma anche del vino, e questo a causa dello stomaco malato e delle altre frequenti indisposizioni. ( 1 Tm 5,23 )

Nei riguardi di Timoteo, dunque, Paolo poteva nutrire timori che, non potendo dedicarsi a lavori manuali e non volendo, d'altra parte, dipendere da coloro cui predicava il vangelo in quel che concerneva il vitto quotidiano, si dedicasse ad attività che avrebbero potuto assorbirlo spiritualmente.

( Poiché un conto è lavorare con le proprie mani mantenendo libero l'animo, come sogliono gli artigiani quando non sono imbroglioni o incontentabili in fatto di denaro o di possessioni; un altro conto è avere lo spirito immerso nelle preoccupazioni sul come accumulare ricchezze senza spenderci lavoro, come fanno i commercianti, gli appaltatori, gli agenti di borsa e di cambio: i quali si tengono su a forza di tensione e non lavorano soltanto con le mani, per cui debbono avere lo spirito sempre immerso nell'ansia del possedere ).

A proposito dunque di Timoteo, per sottrarlo a simili attività - dato che egli a causa della sua costituzione fisica malaticcia non poteva sottoporsi a lavori manuali - Paolo spesse volte torna ad esortarlo, avvertirlo, consolarlo.

Gli dice: Lavora come si conviene a un soldato di Cristo Gesù.

Nessuno che voglia stare sotto le insegne di Dio ha da immischiarsi in faccende secolaresche, per restare accetto a colui dal quale vuol essere approvato.

Difatti chi entra nell'arena per gareggiare non otterrà la corona se non avrà condotto la gara a norma del regolamento. ( 1 Tm 2,3-5 )

E perché il discepolo non avesse a trovarsi in difficoltà e gli venisse fatto di somigliarsi a quel tale che non era capace di vangare e si vergognava di fare l'accattone, ( Lc 16,3 ) gli soggiunge: Il contadino che fatica deve, egli per primo, raccogliere dal fruttato del suo terreno. ( 2 Tm 2,6 )

È lo stesso pensiero che aveva espresso nella lettera ai Corinzi: Chi fa il militare a sue proprie spese?

Chi pianta una vigna e da essa non si prende il necessario?

Chi mena a pascolo un gregge e non si nutre col latte delle pecore? ( 1 Cor 9, 7 )

In tal modo, liberò dalle angustie il probo evangelista, che predicava il vangelo disinteressatamente, ma nello stesso tempo non era in grado di provvedere da sé il necessario per la vita presente.

Egli doveva rendersi conto che accettare il necessario da coloro per i quali combatteva non era un accattonaggio ma un diritto.

I convertiti erano nei suoi riguardi una specie di popolazione di provincia, una vigna che egli coltivava con solerzia, un gregge che egli conduceva al pascolo.

16.17 - San Paolo organizza una colletta per i poveri: esige dei testimoni a scanso di dicerie

In vista delle occupazioni a cui si dedicano i servi di Dio e delle malattie che non si riuscirà mai ad eliminare del tutto dalla vita quaggiù, l'Apostolo non soltanto consente che i buoni fedeli contribuiscano ad alleviare la povertà dei santi nella Chiesa, ma li esorta con ragioni quanto mai salutari.

Omettiamo di considerare il diritto che egli, per quanto affermi che personalmente non se n'è mai servito, tuttavia impone che debba essere rispettato dai fedeli allorché dice: Colui che riceve l'istruzione faccia partecipe il suo catechista di tutti i beni di cui dispone. ( Gal 6,6 )

Omettiamo di fermarci su questo diritto che l'Apostolo più volte riconosce ai predicatori del Vangelo sulla gente che evangelizzano; e vediamo come egli rivolga ordini ed esortazioni alle Chiese della gentilità affinché facciano delle collette per sovvenire alle necessità dei santi di Gerusalemme: i quali avevano venduto tutte le loro proprietà, se n'erano divisi il ricavato e conducevano una perfetta vita comune, e nessuno chiamava proprio quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune, e in Dio godevano di una grande unità di cuore e d'anima. ( At 2,44; At 4,32 )

Di tale iniziativa scrive ai Romani: Adesso mi recherò a Gerusalemme per rendere un servigio ai santi.

Le comunità di Macedonia e di Acaia infatti han creduto bene di fare un gesto di solidarietà verso i poveri di tra i santi di Gerusalemme.

È stato un gesto spontaneo ma era anche un debito che avevano.

I pagani infatti sono stati resi partecipi dei beni spirituali un tempo di pertinenza dei giudei, e quindi è per loro un dovere soccorrerli con beni materiali. ( Rm 15,25-27 )

Pensiero assai affine a quello di prima ai Corinti: Se noi abbiamo sparso fra voi semi spirituali è cosa straordinaria che veniamo a raccogliere frutti materiali? ( 1 Cor 9,11 )

Identico pensiero in seconda ai Corinti: Vogliamo darvi notizia, fratelli, della grazia che Dio ha concessa alle Chiese di Macedonia.

Sebbene in mezzo a grandi prove e tribolazioni, la gioia di cui erano ripieni e la povertà che in loro era estrema han dato frutti copiosissimi di generosità in mezzo a loro.

Sono stati generosi - posso attestarlo con tutta sincerità - conforme alle loro disponibilità e oltre le loro disponibilità.

Ci hanno rivolto numerose suppliche al fine di partecipare alla grazia e alla comunione di servizio in favore dei santi.

E non soltanto nella misura che era lecito aspettarsi ma fino ad offrire volontariamente se stessi prima a Dio e poi, per volere divino anche a noi: tanto che noi abbiamo dovuto scongiurare Tito affinché, come ha cominciato, così porti a termine anche fra voi quest'opera di carità.

E siccome voi siete soliti primeggiare sempre in tutto - fede, eloquenza, scienza, premurosità di vario genere e così pure in affezione verso di noi - vi esortiamo a primeggiare anche in quest'opera di generosità.

Non è un comando quello che vi do, ma solo per saggiare quale sia il meglio della vostra carità dietro l'impulso dell'emulazione per gli altri.

Conoscete infatti quale sia stata la liberalità del nostro Signore Gesù Cristo: il quale, essendo ricco, si è reso povero per voi, allo scopo d'arricchirvi con la sua povertà.

Vengo dunque a darvi un consiglio: ciò infatti si addice a voi che già fin dall'anno scorso prendeste l'iniziativa non solo nell'esecuzione dell'opera ma anche nel deciderla.

Orbene, portate ora a compimento l'opera intrapresa, di modo che, come fu pronto lo spirito nel volere, così lo sia anche nell'attuare il proposito.

Naturalmente, secondo le disponibilità di ciascuno.

In effetti, quando c'è la prontezza di volontà, essa è gradita se offre secondo quel che ha, non in proporzione di ciò che non ha.

Non deve infatti succedere che, mentre si procura il nutrimento agli altri, voi abbiate a trovarvi nella strettezza ma si miri all'uguaglianza.

Nell'ora presente la vostra prosperità si riversi sulla loro indigenza, perché poi il loro benessere si riversi sulla vostra indigenza, e così si ottenga l'uguaglianza, come sta scritto: " Chi aveva molto non ne ebbe d'avanzo e chi aveva poco non si trovò in penuria". ( Es 16,18 )

Ringrazio poi il Signore che ha messo in cuore a Tito uno zelo altrettanto vivo.

Egli ha accettato la mia esortazione, non solo, ma essendo ancor più zelante, di sua spontanea volontà s'è posto in via verso di voi.

Con lui abbiamo inviato anche un altro fratello che riscuote elogi in tutte le chiese per la sua opera di evangelizzazione.

Non solo, ma è stato anche designato dalle chiese come nostro compagno di viaggio per quest'opera di grazia che viene servita da noi a gloria del Signore e come segno della nostra buona volontà.

Vogliamo infatti evitare che ci siano di quelli che vengano a sollevare critiche per l'abbondanza della raccolta che noi amministriamo: poiché è nostro proposito compiere il bene non solo dinanzi a Dio ma anche di fronte alla gente. ( 2 Cor 8,1-21 )

Da queste parole risulta che Paolo esigeva dalle popolazioni divenute sante nel Signore che si dessero da fare per somministrare ai servi di Dio - i santi - quelle sostanze di cui avessero bisogno.

Nel consigliare tale beneficenza, egli adduceva il motivo che essa tornava a vantaggio più di colui che la compiva che non di coloro al cui sostentamento era diretta.

E, riguardo a questi ultimi, l'offerta recava un altro vantaggio ancora: era cioè uno stimolo a usare santamente del dono dei fratelli, e loro non avrebbero servito il Signore per lucro ricevendo il contributo come un mezzo per ovviare alla necessità, non per fomentare la pigrizia.

Nella beneficenza che Tito stava per consegnargli, il glorioso Apostolo dice che ci mette tanta scrupolosità da ricordare come dalle Chiese gli sia stato assegnato un compagno di viaggio, un uomo di Dio stimato da tutti, le cui benemerenze nell'evangelizzazione erano - com'egli si esprime - elogiate in tutte le Chiese.

E nota che quel fratello era stato designato a fargli da compagno per eliminare qualunque diceria della gente: perché cioè nessuno fra le persone deboli nella fede o malvagie di animo potesse pensare che egli trattenesse per sé e mettesse nella sua tasca quello che andava raccogliendo per sovvenire alle necessità dei santi.

Diceria facile a spandersi se fosse mancato l'attestato di fratelli dai costumi irreprensibili che l'avessero accompagnato nel consegnare e distribuire il denaro ai bisognosi.

16.18 - Santa gara di generosità

Un po' più avanti dice: Dell'iniziativa benefica a servizio dei santi non occorre che ve ne scriva.

So infatti che il vostro animo è pronto, e di questa vostra buona disposizione me ne vanto di fronte ai macedoni.

Dico che l'Acaia è pronta già da un anno, e il vostro zelo ha suscitato fra molti una gara di generosità.

Vi abbiamo peraltro mandato dei fratelli affinché il vanto che traiamo da voi non vada in fumo sotto questo aspetto ma, come ho detto, siate veramente preparati.

Qualora infatti venissero con me del macedoni e vi trovassero impreparati avremmo da far cattiva figura noi - per non dire voi - in questa materia.

Ho ritenuto pertanto necessario pregare i fratelli a precedermi da voi per organizzare il dono caritatevole già da voi promesso, di modo che noi troviamo ogni cosa preparata, come si conviene a un gesto di generosità e non sembri una spilorceria.

Vale infatti al riguardo il detto: Chi semina poco raccoglie poco e chi semina con abbondanza raccoglie con abbondanza.

Che ognuno dunque offra secondo quanto ha predisposto nel suo cuore: non di malumore o per forza, poiché Dio ama chi dona con gioia.

E questo Dio è ben potente sì da far abbondare in voi ogni grazia, per cui, avendo sempre e dappertutto quel che vi occorre, ve ne avanzi anche per largheggiare in ogni sorta di opere buone, come sta scritto: Ha largheggiato, ha dato ai poveri; la sua giustizia rimane per sempre.

E colui che provvede del seme chi ha da seminare, lo provvederà anche del pane per mangiare: egli provvederà e moltiplicherà pure la vostra semenza e aumenterà i frutti della vostra giustizia.

In tal modo, arricchiti di ogni sorta di beni, avanzerete in generosità, la quale porterà a un ringraziamento che per nostro mezzo salirà a Dio.

Difatti l'iniziativa di bene che si sta organizzando non solo reca aiuto ai santi nella loro povertà ma trabocca in un ringraziamento che tanta gente eleva al Signore, poiché, con la prova di questo ministero, essi glorificheranno Dio per l'obbedienza che voi professate al vangelo di Cristo e per la sincera generosità con cui fate parte dei vostri beni con essi, e con tutti.

Essi pregheranno per voi e vi manifesteranno vivo affetto a motivo della sovrabbondanza di grazie che Dio ha sparse in mezzo a voi.

Siano rese grazie a Dio per il suo dono ineffabile! ( 2 Cor 9,1-15 )

Ognun vede la piena di letizia celeste che inonda l'animo dell'Apostolo mentre si diffonde a parlare dei mutui vantaggi che ricavano dalle loro prestazioni e i soldati di Cristo e i fedeli del popolo di Dio: questi ultimi mentre tributano ai primi quanto hanno di risorse materiali, gli altri mentre prodigano a costoro beni spirituali.

Ne è così colmo che, quasi traboccando dalla copia di santo gaudio, esclama: Grazie a Dio per il suo dono ineffabile!

16.19 - Le offerte della gente devota non dispensano dal lavoro

L'Apostolo dunque - o, per meglio dire, lo Spirito Santo che aveva preso possesso del suo cuore e lo riempiva e lo muoveva - non si stancava di raccomandare ai fedeli che avessero avuto delle disponibilità materiali per non far mancare nulla ai servi di Dio che nella Chiesa si erano proposti di vivere in un grado di santità superiore all'ordinario, perché così, libero il cuore dai legami di mire secolaresche, potessero dedicarsi con tutta libertà al servizio di Dio.

Allo stesso modo però debbono rispettare gli ordini dell'Apostolo anche questi nostri fratelli, abbassandosi alle esigenze dei più deboli: liberi dall'attaccamento alla proprietà privata, essi debbono lavorare manualmente a vantaggio della comunità, obbedendo senza mormorazioni agli ordini dei superiori.

Che se qualche offerta giunge loro da parte dei fedeli, con questa si provveda a supplire quanto del necessario manca a quei fratelli che, sebbene in via ordinaria siano dediti al lavoro e occupati in qualche mestiere per trarne da vivere, si trovino in necessità per la cattiva salute o perché siano state loro affidate delle incombenze nella Chiesa o perché debbano attendere all'istruzione degli altri nella dottrina della salvezza.

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