La musica

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Ritmo e metro

7.15 - Ritmo e costituzione del metro

M. - Dimmi dunque se, secondo te, il metro è formato dai piedi oppure i piedi dal metro.

D. - Non capisco.

M. - Piedi congiunti formano il metro ovvero i piedi sono formati di metri congiunti?

D. - Ho capito ciò che dici e penso che il metro sia formato da piedi congiunti.

M. - E perché lo pensi?

D. - Perché hai detto che tra il ritmo e il metro vi è questa differenza, che nel ritmo la connessione dei piedi non ha alcun limite determinato, nel metro invece lo ha; perciò la connessione dei piedi è propria del ritmo e del metro, ma nel primo non ha un limite, nel secondo invece sì.

M. - Un piede solo dunque non è un metro.

D. - No, certamente.

M. - E un piede e un semipiede?

D. - Neppure.

M. - Perché? Forse perché il metro è formato di più piedi e non è possibile parlare di più piedi, dove se ne hanno meno di due?

D. - Sì.

M. - Esaminiamo dunque quei metri da me dianzi ricordati e vediamo di quali piedi si compongono.

Non ti è più lecito ormai essere incapace di riconoscerne la struttura. Eccoli:

Ite igitur Camenae

Fonticolae puellae

Quae canitis sub antris

Mellifluos sonores

Credo che siano sufficienti per ciò che ci proponiamo.

Scandiscili e dimmi quali piedi hanno.

D. - Non posso proprio.

Ritengo che si devono scandire quelli che è possibile congiungere normalmente, e non so trarmi d'impaccio.

Se infatti considero il primo piede un coreo, si ha di seguito un giambo che ha tempo eguale, ma cadenza differente; se lo considero un dattilo, non si ha di seguito un piede che gli sia eguale almeno nella durata; se un coriambo, si ha la medesima difficoltà, giacché ciò che rimane non gli si accorda né per durata né per cadenza.

Perciò o questo non è un metro, o è falso quanto è stato da noi discusso sull'unione dei piedi.

Non trovo altro da dire.

7.16 - La funzione della pausa per terminare il metro

M. - È evidente che è un metro, sia perché è più di un piede ed ha un limite determinato, sia anche in base alla percezione dello stesso udito.

Infatti non si pronuncerebbe con una eguaglianza così dilettosa, non avrebbe una cadenza con una modulazione così proporzionata, se in esso non fosse la legge del numero che si può avere soltanto in questo settore della musica.

Mi meraviglio dunque del tuo parere che vi sia un errore nelle nostre argomentazioni.

Niente infatti è più certo dei numeri o più ordinato di questa classificazione e disposizione dei piedi.

Dalla stessa legge dei numeri, che è assolutamente infallibile, è stata derivata la funzione, che abbiamo discusso, di dilettare l'udito e di occupare la precedenza nel ritmo.

Ma mentre io ripeto più volte: Quae canitis/ sub antris e diletto con questo ritmo il tuo udito, osserva quale differenza esiste fra questa frase ed essa stessa se aggiungessi alla fine una sillaba breve ed ugualmente ripetessi: Quae / canitis/ sub antrisve.

D. - Entrambi i ritmi arrivano con diletto al mio udito; tuttavia sono costretto ad ammettere che il secondo, cui hai aggiunto una sillaba breve, ha una durata maggiore, poiché è divenuto più lungo.

M. - E quando ripeto il primo: Quae canitis/sub antris, senza interporre la pausa alla fine, giunge al tuo udito il medesimo diletto?

D. - Anzi mi disturba un non so che di zoppicante, a meno che non pronunci l'ultima più lunga delle altre lunghe.

M. - Dunque, a tuo avviso, il maggiore allungamento o la pausa occupano un determinato spazio di tempo?

D. - Come potrebbe essere altrimenti?

8.17 - Quando la pausa è indispensabile

M. - Bene. Ma dimmi anche, quanto spazio è, secondo te.

D. - Mi è difficile misurarlo.

M. - Giusto. Ma non pensi che a misurarlo sia la sillaba breve?

Dopo che l'abbiamo aggiunta, l'udito non ha più richiesto il prolungamento fuor del normale dell'ultima lunga, né la pausa nella ripetizione del metro.

D. - Sono proprio d'accordo.

Infatti mentre tu declamavi più volte il primo metro, io tra me ripetevo assieme a te il secondo.

Così mi sono accorto che entrambi avevano la medesima durata, poiché la mia ultima breve si accordava alla tua pausa.

M. - Devi ritenere dunque che nei metri vi sono determinate pause.

Perciò quando troverai che ad un piede normale manca qualche cosa, dovrai considerare se non è compensato da una proporzionata pausa ritmica.

D. - Ora ho capito. Passa ad altro.

8.18 - L'astensione della pausa

M. - Ed ora, secondo me, dobbiamo ricercare la misura della durata della stessa pausa.

Nel metro proposto troviamo un bacchio dopo il coriambo.

E poiché al bacchio manca un tempo per avere la durata dei sei tempi del coriambo, l'udito l'ha facilmente percepito ed ha richiesto d'interporre, prima della ripetizione, una pausa di durata eguale a quella di una breve.

Ma se dopo il coriambo si pone uno spondeo, per tornare a capo ci sarà necessario interporre una pausa di due tempi, come nel metro: Quae / canitis / fontem.

Comprendi, credo, che la pausa si deve fare perché, quando si torna a capo, la percussione non zoppichi.

Ma affinché possa riconoscere di quale lunghezza deve esser la pausa, aggiungi una sillaba lunga.

Si avrà, per esempio: Quae canitis / fontem vos.

Ripeti con la percussione e ti accorgerai che la percussione ha tanta durata, quanta nell'altra, sebbene lì, dopo il coriambo, erano state poste due lunghe e qui tre.

È dunque chiaro che è stata interposta una pausa di due tempi.

Se dopo il coriambo si pone un giambo, come in questo caso: Quae canitis / locos, si è costretti a fare una pausa di tre tempi.

Per accertarsi del fatto, i tre tempi si aggiungano o per mezzo di un secondo giambo o di un coreo o di un tribraco, ad esempio: Quae canitis / locos / bonos; o: Quae canitis / locos / monte; o Quae canitis / locos / nemore.

Aggiungendo questi piedi la ripetizione scorre dilettosa ed egualita senza la pausa e mediante la cadenza si avverte che ciascuno dei tre piedi ha una durata eguale a quella, in cui si interponeva la pausa.

È dunque evidente che si aveva una pausa di tre tempi.

Dopo il coriambo si può mettere una sola sillaba lunga, in modo da avere una pausa di quattro tempi.

Infatti il coriambo può anche dividersi in maniera che arsi e tesi siano in rapporto di uno a due.

Esempio di questo metro è: Quae canitis/ res.

Se ad esso aggiungeremo o due lunghe o una lunga e due brevi o una breve, una lunga e una breve o due brevi e una lunga o quattro brevi, si avrà un piede di sei tempi che pertanto può essere ripetuto senza interporre la pausa.

Tali sono: Quae canitis /res pulchras, Quae canitis /res in bona, Quae canitis /res bonumve, Quae canitis /res teneras, Quae canitis /res modo bene.

Conosciuti con evidenza questi concetti, ti sarà, come penso, abbastanza chiaro che non è possibile una pausa minore di un tempo e maggiore di quattro.

Questo è dunque quello sviluppo proporzionato, su cui abbiamo detto tante cose; inoltre in tutti i piedi non si hanno arsi e tesi che occupano più di quattro tempi.

8.19 - Bastano un piede, un semipiede e la pausa a dare un metro

Quando si canta dunque o si declama qualche cosa che abbia una fine determinata e più di un piede e che per movimento naturale, ancor prima del riconoscimento dei ritmi, diletta l'udito per una certa proporzione, si ha già un metro.

Ma supponiamo che abbia meno di due piedi.

Se comunque è più d'uno ed esige la pausa, non è senza misura, quantunque nel limite che è sufficiente a completare la durata dovuta al secondo piede.

Così l'udito percepisce come due piedi ciò che, prima di tornare a capo, ha la durata di due piedi per il fatto che si aggiunge al suono anche una determinata pausa ritmica.

Ed ora vorrei che tu mi dica se hai conoscenza certa delle nozioni esposte.

D. - Sì ne ho conoscenza certa.

M. - Perché presti fede a me o perché sei certo da te che sono vere?

D. - Da me sono certo, sebbene le conosco come vere dietro la tua esposizione.

9.20 - Il verso richiede due cola

M. - Or dunque, poiché abbiamo scoperto il minimo che costituisce il metro, esaminiamo anche fin dove può essere esteso.

Il metro ha come minimo due piedi o interi mediante il loro stesso suono o aggiungendo la pausa per completare ciò che manca.

Pertanto ora devi considerare lo sviluppo fino al quattro ed espormi fino a quanti piedi si deve estendere il metro.

D. - Questo è davvero facile.

La ragione insegna che si estende fino ad otto piedi.

M. - Abbiamo detto anche che i letterati hanno chiamato verso un ritmo di due commi proporzionatamente congiunti secondo una determinata regola. Ricordi?

D. - Lo ricordo bene.

M. - E non è stato detto che il verso è formato di due piedi, ma di due cola ed è chiaro che il verso non ha un solo piede, ma più piedi.

Dunque il fatto stesso non mostra che il colon è più lungo del piede?

D. - Certo.

M. - Ma se i due cola nel verso fossero eguali, non si potrebbero invertire di posto in modo che indiscriminatamente la prima parte divenga ultima e l'ultima prima?

D. - Capisco.

M. - Dunque perché questo non avvenga e perché appaia con sufficiente distinzione che nel verso altro è il colon con cui esso comincia ed altro quello con cui si chiude, non possiamo negare la necessità che i cola siano disuguali.

D. - No, certo.

M. - Consideriamo dunque, per primo, se vuoi, il caso nel pirrichio.

Puoi vedere, penso, che in esso il colon non può essere minore di tre tempi perché il primo è più d'un piede.

D. - Sono d'accordo.

M. - Quanti tempi avrà dunque il verso più corto?

D. - Direi sei, se non mi trattenesse la suddetta inversione di posto.

Dunque ne avrà sette, giacché un comma non può avere meno di tre tempi e ancora non è stato scoperto un divieto che ne abbia di più.

M. - Hai compreso bene, ma dimmi quanti pirrichi sono contenuti in sette tempi.

D. - Tre e mezzo.

M. - Bisogna dunque aggiungere la pausa di un tempo prima di tornare a capo, perché si possa completare la durata di un piede.

D. - Certamente.

M. - Con l'aggiunta della pausa quanti tempi si avranno?

D. - Otto.

M. - Come dunque il piede più piccolo, che è anche il primo, non può avere meno di due tempi, così il verso più corto, che è anche il primo, non può avere meno di otto tempi.

D. - Sì.

M. - E il verso più lungo, di cui non si può avere uno più esteso, di quanti tempi deve essere allora?

Lo capirai subito, se ci riconduciamo l'attenzione a quello sviluppo, di cui tanto a lungo abbiamo parlato.

D. - Ora capisco che il verso non può essere più lungo di trentadue tempi.

9.21 - L'astensione del verso e del metro

M. - E la lunghezza del metro?

Pensi che debba superare quella del verso, giacché anche il metro più corto è più corto del verso più corto?

D. - No.

M. - Dunque il metro più corto è di due piedi e il verso di quattro, o anche il metro più corto è della durata di due piedi e il verso più corto della durata di quattro, pausa compresa; inoltre il metro non supera gli otto piedi.

Non è necessario dunque, giacché anche il verso è metro, che il verso non superi gli otto piedi?

D. - Sì.

M. - Inoltre il verso non supera i trentadue tempi e il metro costituisce anche la stessa lunghezza del verso, se non ha il congiungimento dei due cola, che è indispensabile al verso, ma si chiude soltanto con una fine determinata; infine il metro non deve essere più lungo del verso.

Non è dunque evidente che, come il verso non deve superare gli otto piedi, così il metro non deve superare i trentadue tempi?

D. - Sono d'accordo.

M. - Il metro e il verso avranno dunque la medesima durata, il medesimo numero di piedi, il medesimo limite, oltre il quale entrambi non devono andare.

Tuttavia il metro ha il suo limite quadruplicando il numero dei piedi, da cui si ha il più corto, e il verso quadruplicando il numero dei tempi, da cui si ha il verso più corto.

Così nell'osservanza dell'ideale legge del quattro il metro partecipa al verso in piedi la misura dell'espandersi e il verso al metro in tempi.

D. - Comprendo e approvo e mi piace che esista questo reciproco collegamento.

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